Sentenza n. 437 del 1990

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SENTENZA N.437

ANNO 1990

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

Dott. Francesco SAJA, Presidente

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO

Dott. Aldo CORASANITI

Prof. Giuseppe BORZELLINO

Dott. Francesco GRECO

Prof. Renato DELL'ANDRO

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

Prof. Antonio BALDASSARRE

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

Avv. Mauro FERRI

Prof. Luigi MENGONI

Prof. Enzo CHELI

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 22, 24, 25, 26 e 27 della legge della Regione Emilia-Romagna riapprovata il 19 marzo 1990 dal Consiglio regionale avente per oggetto <Nuove norme sul diritto allo studio universitario> promosso con ricorso del Presidente del Consiglio dei ministri, notificato il 10 aprile 1990, depositato in cancelleria il 20 aprile 1990 ed iscritto al n. 37 del registro ricorsi 1990.

Visto l'atto di costituzione della Regione Emilia-Romagna;

udito nell'udienza pubblica del 27 giugno 1990 il Giudice relatore Enzo Cheli;

uditi l'Avvocato dello Stato Gaetano Zotta, per il ricorrente, e l'avv. Giandomenico Falcon per la Regione.

Ritenuto in fatto

1.- Con ricorso notificato il 10 aprile 1990 il Presidente del Consiglio dei ministri ha sollevato, in relazione all'art. 117 Cost., questione di legittimità costituzionale nei confronti degli artt. 22, 24, 25, 26 e 27 della legge della Regione Emilia-Romagna, riapprovata il 19 marzo 1990, recante "Nuove norme per il diritto allo studio universitario". Con tale legge la Regione ha inteso disciplinare organicamente la materia del diritto allo studio universitario di cui all'art. 44 del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616, già regolata con la legge regionale 31 gennaio 1983, n. 8, successivamente modificata con la legge regionale 4 agosto 1983, n. 27.

Nella legge in questione si dispone la delega delle funzioni amministrative ai Comuni sede di università o di istituti di istruzione superiore e si stabilisce che i Comuni stessi esercitino le funzioni delegate avvalendosi di apposite aziende, dotate di personalità giuridica di diritto pubblico nonchè di autonomia funzionale ed organizzativa (art. 22, secondo comma). La stessa legge regola inoltre sia gli organi (artt. 24 e 25) che i vari tipi di controllo (artt. 26 e 27) relativi a tali aziende.

Queste disposizioni - ad avviso del ricorrente - violerebbero i limiti della competenza legislativa regionale di cui all'art. 117 della Costituzione, ponendosi i contrasto con la normativa statale che disciplina le aziende speciali comunali stabilita dal T.U. 15 ottobre 1925, n. 2578, concernente l'assunzione diretta dei pubblici servizi da parte dei Comuni e delle Province. Secondo il Presidente del Consiglio, la legge regionale non potrebbe istituire aziende per la gestione di servizi per i quali il citato testo unico n. 2578 del 1925 non contempla tale possibilità o, comunque, la rinvia, in alternativa alla gestione in economia, alla scelta discrezionale degli stessi Comuni. In ogni caso, la legge regionale non potrebbe disciplinare la struttura ed i controlli di tali aziende in modo difforme da quanto previsto nel richiamato testo unico.

Secondo il Presidente del Consiglio, la legge in oggetto avrebbe altresì confuso regole tipiche delle aziende comunali con quelle proprie degli enti strumentali regionali, creando un ente di dubbia natura giuridica, con conseguente lesione del principio generale della certezza del diritto.

2.- Si é costituita in giudizio la Regione Emilia-Romagna, che nelle proprie deduzioni obietta che la legge impugnata non riguarda i servizi che i Comuni, nell'esercizio di funzioni proprie, possono gestire in forma municipalizzata secondo la normativa del 1925, bensì le modalità di svolgimento di una funzione amministrativa regionale delegata ai Comuni.

Il ricorso del Presidente del Consiglio si fonderebbe, pertanto, sull'erroneo convincimento che le deleghe regionali in materia di diritto allo studio possano essere assoggettate alla normativa del 1925 sui pubblici servizi.

In realtà, la disciplina regionale delle funzioni di assistenza in materia universitaria non avrebbe nulla a che vedere con i problemi della gestione dei servizi municipalizzati, proprio perchè concerne una funzione che é e rimane regionale. Spetterebbe, pertanto, alla Regione di individuare non solo quali competenze inerenti a tale funzione debbano essere specificamente delegate ai Comuni, ma anche le relative modalità di esercizio della delega, eventualmente prevedendo - come in questo caso - l'utilizzazione di appositi enti pubblici, distinti dall'organizzazione comunale, pur essendo con questa collegati.

Tali enti, ad avviso della resistente, non sono, pertanto, aziende municipalizzate, ma enti pubblici locali non territoriali, riconducibili alla previsione dell'art. 13 del d.P.R. n. 616 del 1977. La legge regionale avrebbe, dunque, legittimamente regolato l'istituzione di enti di tale natura, destinati ad operare in materia trasferita alla Regione e da questa delegata ai Comuni, con la previsione di un raccordo tra tali enti di nuova istituzione e gli stessi Comuni.

Considerato in diritto

1. -Formano oggetto d'impugnativa le disposizioni contenute negli artt. 22, 24, 25, 26 e 27 della legge della Regione Emilia-Romagna riapprovata il 19 marzo 1990 e recante <Nuove norme sul diritto allo studio universitario>.

Con tali disposizioni la Regione, dopo aver delegato ai Comuni sede di università o di istituti di istruzione superiore le funzioni amministrative concernenti gli interventi per il diritto allo studio universitario (art. 22, primo comma), ha stabilito che per la gestione di tali interventi gli stessi Comuni si debbano avvalere <di un'apposita azienda, ente pubblico non economico, retta da propri organi e dotata di personalità giuridica di diritto pubblico, di autonomia funzionale ed organizzativa> (art. 22, secondo comma), azienda rispetto alla quale la legge stessa formula le norme comuni relative agli organi (art. 24), alla loro formazione (art. 25) ed ai controlli, nella duplice tipologia del controllo sugli organi (art. 26) e del controllo sugli atti (art. 27).

Ad avviso della Presidenza del Consiglio tale disciplina risulterebbe lesiva delle competenze spettanti al legislatore statale ai sensi dell'art. 117 Cost. in relazione a tre diversi profili e cioè: a) per aver imposto ai Comuni la costituzione di speciali aziende comunali fuori delle ipotesi contemplate dal testo unico sull'assunzione diretta dei pubblici servizi da parte dei Comuni e delle Province (R.D. 15 ottobre 1925, n. 2578); b) per aver sottratto agli stessi Comuni la possibilità di scelta (consentita dall'art. 15 del richiamato testo unico) tra una gestione in economia del servizio ed una gestione attuata attraverso aziende speciali; c) per avere comunque compromesso il principio generale della certezza del diritto attraverso la previsione di un ente (azienda) di dubbia natura, caratterizzato dalla confusione tra le regole tipiche degli enti strumentali comunali e le regole tipiche degli enti strumentali regionali.

2. -La questione, nei termini proposti dal ricorso, non è fondata.

L'impugnativa trova il suo presupposto principale nella tesi secondo cui la Regione, attraverso la previsione di apposite aziende per la gestione degli interventi relativi al diritto allo studio universitario, avrebbe inteso istituire delle aziende comunali speciali riconducibili alla categoria delle aziende municipalizzate regolate dal R.D. 15 ottobre 1925, n. 2578. Tale tesi non può essere condivisa dal momento che nè la struttura nè le competenze proprie delle aziende per la gestione degli interventi per il diritto allo studio previste nella legge impugnata-ma già istituite con la precedente legge regionale 31 gennaio 1983, n. 8 - si presentano, sotto alcun profilo, assimilabili a quelle che vengono a caratterizzare, ai sensi del regio decreto n. 2578 del 1925, le aziende municipalizzate (e ora le aziende speciali di cui all'art. 22, terzo comma, lett. c) della l. 8 giugno, 1990, n. 142). Basti solo considerare che le aziende in questione - al di là del nome impiegato nella legge regionale - non sono chiamate a gestire attività comunali di carattere economico ed imprenditoriale, quali quelle esercitate attraverso le aziende municipalizzate (secondo l'elencazione contenuta nell'art. 1 del regio decreto n. 2578), bensì funzioni amministrative spettanti alla Regione in materia di assistenza scolastica e destinate ad attuare il diritto allo studio, funzioni che la legge ha ritenuto di dover affidare alla gestione di un ente pubblico non economico, dotato di personalità di diritto pubblico e non inquadrabile - a differenza dell'azienda municipalizzata - nella struttura organizzativa propria del soggetto comunale.

Il richiamo, espresso nel ricorso, alla disciplina posta dal regio decreto n. 2578 del 1925 in tema di aziende municipalizzate non risulta, pertanto, appropriato.

3. -In realtà, con la disciplina in esame, la Regione non ha inteso istituire nè un'azienda municipalizzata nè un ente strumentale comunale, bensì un ente pubblico locale non territoriale, destinato ad operare - ai sensi dell'art. 13 del d.P.R. n. 616 del 1977 (e dell'art. 62 dello Statuto della Regione Emilia-Romagna)-in una delle materie (assistenza scolastica) trasferite dallo stesso d.P.R. n. 616 alla sfera regionale. Una conferma indiretta, ma sicura, del carattere non comunale dell'ente così istituito può essere, d'altro canto, reperita - oltre che nella stessa definizione adottata nel secondo comma dell'art. 22 - nelle norme espresse dalla legge impugnata sia in ordine al personale (cui viene applicata la disciplina sullo stato giuridico ed economico del personale degli enti pubblici non economici dipendenti dalle Regioni: artt. 29, 30 e 39), sia in ordine alle risorse economiche (che vengono a derivare in assoluta prevalenza da erogazioni regionali: artt. 33, 35 e 36).

Si potrebbe, d'altro canto, rilevare l'anomalia di una disciplina che, nel mentre dispone la delega ai Comuni dell'esercizio di funzioni amministrative regionali, provvede anche a regolare le modalità di esercizio di tali funzioni mediante l'istituzione di un ente strumentale di derivazione regionale. Tale anomalia sussiste, ma non è in grado di determinare una lesione dell'art. 117 Cost., quale quella denunciata, ove si consideri che la delega di funzioni regionali non esclude la possibilità per il delegante di disciplinare con legge l'esercizio delle funzioni delegate anche nei loro aspetti organizzativi, ove non risulti intaccata la sfera di autonomia costituzionalmente garantita all'ente delegato (cfr. sent. n. 319 del 1983).

La soluzione adottata con la legge impugnata, pur nella sua atipicità, può dunque trovare una giustificazione sul piano della naturale flessibilità delle forme proprie della delegazione amministrativa, flessibilità che, nella specie, ha consentito alla legge regionale di esprimere in uno stesso contesto normativo, senza incidere nella struttura organizzativa dell'ente delegato, sia la volontà di delegare al Comune determinate funzioni regionali, sia l'esigenza di attuare l'esercizio della delega attraverso il tramite necessario di un particolare ente pubblico locale predeterminato nei suoi elementi costitutivi fondamentali e raccordato con lo stesso Comune tanto in sede di costituzione degli organi che di esercizio dei controlli.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata, in relazione all'art. 117 Cost., la questione di legittimità costituzionale sollevata, con il ricorso di cui in epigrafe, nei confronti degli artt. 22, 24, 25, 26 e 27 della legge della Regione Emilia-Romagna riapprovata il 19 marzo 1990, recante <Nuove norme sul diritto allo studio universitario>.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 26/09/90.

Francesco SAJA, PRESIDENTE

Enzo CHELI, REDATTORE

Depositata in cancelleria il 10/10/90.