Sentenza n. 433 del 1990

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SENTENZA N.433

ANNO 1990

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

Dott. Francesco SAJA, Presidente

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO

Dott. Aldo CORASANITI

Prof. Giuseppe BORZELLINO

Dott. Francesco GRECO

Prof. Renato DELL'ANDRO

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

Avv. Mauro FERRI

Prof. Luigi MENGONI

Prof. Enzo CHELI

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 35, commi 2o, 3o, 4° e 7° della legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale), in relazione all'art. 22, comma 1° della stessa legge, promosso con ordinanza emessa il 30 gennaio 1990 dal Pretore di Lecco nel procedimento civile vertente tra il Comune di Lecco e l'Ispettorato provinciale del lavoro di Como, iscritta al n. 207 del registro ordinanze 1990 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 19, prima serie speciale, dell'anno 1990.

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio dell'11 luglio 1990 il Giudice relatore Luigi Mengoni.

Ritenuto in fatto

1.- Nel corso del giudizio di opposizione proposto dal Comune di Lecco contro l'ordinanza-ingiunzione emessa dall'Ispettorato del lavoro provinciale di Corno per la violazione dell'obbligo di cui all'art. 4, quinto comma, del d.l. 6 luglio 1978, n. 352, convertito in legge 4 agosto 1978, n. 467, Pretore di Lecco, con ordinanza del 30 gennaio 1990, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 35, secondo, terzo, quarto e settimo comma, della legge 24 novembre 1981, n. 689, nella parte in cui non prevedono "un adeguato coordinamento fra riti processuali esperibili a fronte di ipotesi peculiari del genere di quelle in esame".

Ad avviso dei giudice a quo, la diversità di giudice e di rito processuale prevista dalle norme denunciate, a seconda che le violazioni in materia di previdenza obbligatoria punite con la sola ammenda comportino o no, direttamente o indirettamente, l'omissione totale o parziale dei versamento di contributi o premi, urta contro il principio di eguaglianza e il diritto di difesa, soprattutto considerando che, ove fossero emessi due distinti provvedimenti ingiunzionali per la medesima condotta illegittima, correlati l'uno a violazioni ex secondo e terzo comma dell'art. 35, l'altro a violazioni ex settimo comma, il giudice del lavoro potrebbe trovarsi vincolato dal giudicato sull'esistenza del rapporto di lavoro formatosi nell'altro procedimento mediante semplice ordinanza di convalida emessa a norma dell'art. 23, quinto comma, per mancata presentazione dell'opponente.

2.- Nel giudizio davanti alla Corte é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato dall'Avvocatura dello Stato, chiedendo che la Questione sia dichiarata inammissibile o, in subordine, infondata. Inammissibile per difetto di motivazione sulla rilevanza della questione, non essendo fornite nell'ordinanza indicazioni specifiche circa la fattispecie oggetto dei giudizio a quo. Infondata, perchè la diversità dei riti processuali Previsti dalle norme impugnate é razionalmente giustificata dall'opportunità di riservare le procedure proprie delle controversie di lavoro e presidenziali all'opposizione a ingiunzioni intimate per violazioni degli obblighi di previdenza in senso stretto (omesso versamento, totale o parziale, di contributi o premi).

Nemmeno può prospettarsi, ad avviso dell'Avvocatura, una violazione dei diritto di difesa, nè con riguardo all'art. 22, ultimo comma, dato che il doppio grado di giurisdizione non é un principio costituzionalizzato, nè per la possibilità di conflitto tra giudicati ipotizzato dal giudice remittente, la quale é di ordine meramente teorico e non pratico.

Considerato in diritto

1. - Il Pretore di Lecco dubita della legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, dell'art. 35, secondo, terzo, quarto e settimo comma, della legge 24 novembre 1981, n. 689, nella parte in cui non prevede un adeguato coordinamento tra i diversi riti processuali applicabili ai giudizi di opposizione contro ordinanze-ingiunzioni, a seconda che riguardino violazioni in materia di previdenza obbligatoria comportanti direttamente o indirettamente omissione totale o parziale del versamento di contributi o premi oppure altre violazioni.

Per le violazioni della prima specie l'art. 35, quarto comma, attribuisce la competenza al pretore in funzione di giudice del lavoro del luogo in cui ha sede l'ufficio dell'ente o dell'organo statale che ha emanato l'ordinanza, e assoggetta il giudizio di opposizione alla disciplina prevista dal codice di procedura civile per le controversie previdenziali (artt. 442 ss.), integrata dal richiamo di alcune norme contenute negli artt. 22 e 23 della stessa legge n. 689. Per le violazioni non comportanti evasioni contributive è competente, ai sensi del settimo comma, il pretore del luogo in cui è stata commessa la violazione e il giudizio di opposizione procede secondo il rito ordinario regolato dagli artt. 22 e 23 della legge citata, i quali prevedono, tra l'altro (con norma analoga all'art. 647 cod. proc. civ., salva la diversità del presupposto di fatto della sanzione, determinata dall'essere qui l'opposizione proposta con ricorso e non con citazione), che, se l'opponente non si presenta alla prima udienza senza comunicare un legittimo impedimento, il pretore convalida con ordinanza il provvedimento opposto (art. 23, quinto comma).

2.-L'Avvocatura dello Stato eccepisce preliminarmente l'inammissibilità della questione sul riflesso che la sua rilevanza non è adeguatamente motivata dal giudice a quo. L'eccezione non può essere accolta: sebbene non fornisca una descrizione della fattispecie oggetto del giudizio principale, l'ordinanza di rimessione consente tuttavia di ricostruirla. Dalla motivazione si arguisce: a) che il medesimo accertamento ispettivo ha rilevato la violazione dell'obbligo di cui all'art. 4, primo comma, del d.l. n. 352 del 1978 (omessa denuncia all'I.N.P.S. di un certo numero di lavoratori), e conseguentemente anche la violazione dell'obbligo di cui all'ultimo comma del medesimo art. 4 (omessa consegna a ciascun lavoratore di copia della denuncia); b) che, mentre l'Ispettorato del lavoro ha provveduto senza indugio a intimare l'ordinanza-ingiunzione per la seconda violazione, si è verificato invece un ritardo da parte dell'I.N.P.S. nell'emissione della distinta ordinanza di sua competenza per la prima.

Poichè nel procedimento di opposizione all'ingiunzione dell'Ispettorato, regolato dall'art. 23 della legge n. 689 del 1981, è stata eccepita l'inesistenza dei pretesi rapporti di lavoro, il Pretore ha ritenuto di sospendere il giudizio fino a quando non sia risolta la questione di legittimità costituzionale della disciplina processuale differenziata prevista dall'art. 35, la quale consente che nelle circostanze sopra esposte la pregiudiziale circa la sussistenza del rapporto presupposto dalla norma che si assume violata si a decisa con un modus procedendi diverso da quello proprio delle controversie di lavoro.

3. - La questione non è fondata.

L'articolazione del regime processuale dell'opposizione all'ordinanza-ingiunzione prevista dalle norme impugnate è razionalmente giustificata dalla diversa natura dell'illecito nei due generi di violazioni distinti dalla legge (il primo a sua volta suddistinto in due specie). Solo l'opposizione alle ingiunzioni fondate sull'accertamento amministrativo di violazioni comportanti l'omesso pagamento di contributi o premi dà luogo a una controversia previdenziale in senso stretto, alla quale deve essere riservata la disciplina processuale degli artt. 442 ss. cod. proc. civ. e, con essa, mantenuto il doppio grado del giudizio di merito. Per le altre violazioni di carattere meramente formale, il cui accertamento presenta minori difficoltà, appare più conveniente all'economia dei giudizi l'applicazione della più agile procedura regolata dagli artt. 22 e 23 della legge n. 689. Può bensì accadere, come nella specie, che una violazione del secondo tipo sia conseguenziale a una violazione del primo tipo, e che a causa del ritardo dell'emissione dell'ordinanza- ingiunzione da parte dell'I.N.P.S., dovuto a scarsa tempestività di inoltro del rapporto dell'autorità ispettiva o ad altri intralci burocratici, la questione pregiudiziale circa l'esistenza di un rapporto di lavoro, dalla quale dipende l'esistenza della contestata evasione contributiva, sia sollevata non in opposizione a tale contestazione, ma nel giudizio di opposizione contro l'ingiunzione precedentemente emessa dall'Ispettorato per la violazione, contestualmente accertata, di un obbligo di natura formale. Ma contro la razionalità di una disciplina normativa non fornisce argomento il rilievo che in certe circostanze di carattere eccezionale essa può risultare distorta a causa di disfunzioni dell'attività amministrativa rimediabili con una migliore organizzazione e una maggiore efficenza. Nè si può trarre argomento dalla possibilità di giudicati contraddittori, la quale formalmente non sussiste, essendo diverso l'oggetto dei due giudizi.

4. - Nemmeno è ravvisabile una violazione del diritto di difesa.

Non per quanto riguarda i mezzi di prova, chè anzi l'art. 23, sesto comma, ammette la prova testimoniale con maggiore larghezza dell'art . 42 1 cod. proc. civ., applicabile nel giudizio di opposizione alle ingiunzioni emesse dall'I.N.P.S.; nè a cagione dell'inappellabilità della sentenza (art. 23, ultimo comma), atteso che il doppio grado della giurisdizione di merito non è un principio costituzionalmente garantito Non vale infine osservare che il giudice del lavoro, investito dell'opposizione all'ordinanza ingiuntiva per violazioni del tipo di cui all'art. 35, secondo e terzo comma, potrebbe trovarsi vincolato sul punto dell'esistenza del rapporto di lavoro dal giudicato formatosi nel giudizio precedente mediante semplice ordinanza di convalida del provvedimento opposto, ai sensi dell'art. 23, quinto comma. A parte il carattere puramente teorico dell'argomento, tale possibilità essendo esclusa nella specie perchè l'opponente si è presentato alla prima udienza, va obiettato che il giudicato costituito dalla detta ordinanza fa stato limitatamente all'obbligo di adempiere la sanzione pecuniaria irrogata dal provvedimento opposto, mentre ad ogni altro effetto non impedisce che l'esistenza del rapporto di lavoro possa essere rimessa in discussione.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 35, secondo, terzo, quarto e settimo comma, della legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale), sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, dal Pretore di Lecco con l'ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 24/09/90.

Francesco SAJA, PRESIDENTE

Luigi MENGONI, REDATTORE

Depositata in cancelleria il 03/10/90.