Ordinanza n. 379 del 1990

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ORDINANZA N.379

ANNO 1990

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

Dott. Francesco SAJA, Presidente

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO

Dott. Aldo CORASANITI

Prof. Giuseppe BORZELLINO

Dott. Francesco GRECO

Prof. Renato DELL'ANDRO

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

Prof. Antonio BALDASSARRE

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

Avv. Mauro FERRI

Prof. Luigi MENGONI

Prof. Enzo CHELI

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 256 del codice di procedura civile, promosso con ordinanza emessa il 20 febbraio 1990 dal Pretore di Torino nel procedimento civile vertente tra Chirico Antonio e Caniglia Pietro ed altra, iscritta al n. 321 del registro ordinanze 1990 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 23/1a serie speciale dell'anno 1990.

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio dell'11 luglio 1990 il Giudice relatore Aldo Corasaniti.

Ritenuto che nel corso di un giudizio civile il Pretore di Torino, essendo <sorto il fondato sospetto di falsità> delle deposizioni di due testimoni escussi all'udienza istruttoria del 9 febbraio 1990, senza disporre l'arresto dei testimoni medesimi, con ordinanza emessa il 20 febbraio 1990, ha sollevato questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3 e 97 della Costituzione, dell'art. 256 c.p.c. nella parte in cui consente al giudice istruttore di disporre l'arresto in udienza del teste sulla cui deposizione sia sorto il fondato sospetto di falsità o di reticenza;

che nel giudizio è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato dall'Avvocatura dello Stato, che ha concluso per l'inammissibilità o l'infondatezza della questione.

Considerato che l'art. 214 delle <Norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale>, approvate con d.P.R. 28 luglio 1989, n. 271, stabilisce che <sono abrogate le disposizioni di leggi o decreti che prevedono l'arresto o la cattura da parte di organi giudiziari che non esercitano funzioni penali>;

che tale abrogazione ha evidentemente ad oggetto anche il censurato art. 256, ultima parte, del c.p.c., come emerge peraltro dai lavori preparatori del decreto legislativo recante le norme di coordinamento;

che le citate norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del c.p.p. sono entrate in vigore <contestualmente al codice di procedura penale> (art. 1, secondo comma, del d.P.R. n. 271 del 1989), vale a dire nell'ottobre del 1989, sicchè la norma impugnata era già abrogata il 9 febbraio 1990, data dell'udienza istruttoria e dei provvedimenti nel corso di essa adottabili, e quindi è evidentemente inapplicabile alla fattispecie di riferimento; che la questione va pertanto dichiarata manifestamente inammissibile.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3, primo comma, e 97 della Costituzione, dell'art. 256, ultima parte, del codice di procedura civile sollevata dal Pretore di Torino con l'ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 12/07/90.

Francesco SAJA, PRESIDENTE

Aldo CORASANITI, REDATTORE

Depositata in cancelleria il 25/07/90.