Sentenza n. 369 del 1990

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SENTENZA N.369

ANNO 1990

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

Dott. Francesco SAJA, Presidente

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO

Dott. Aldo CORASANITI

Prof. Giuseppe BORZELLINO

Dott. Francesco GRECO

Prof. Renato DELL'ANDRO

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

Prof. Antonio BALDASSARRE

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

Avv. Mauro FERRI

Prof. Luigi MENGONI

Prof. Enzo CHELI

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 3, primo e quarto comma, della legge della Regione Emilia-Romagna, riapprovata il 19 marzo 1990 dal Consiglio regionale, avente per oggetto: <Revisione della dotazione organica delle qualifiche funzionali fino alla quinta compresa e conseguenti norme di inquadramento> promosso con ricorso del Presidente del Consiglio dei ministri, notificato il 10 aprile 1990, depositato in cancelleria il 20 successivo ed iscritto al n. 38 del registro ricorsi 1990.

Visto l'atto di costituzione della Regione Emilia-Romagna;

udito nell'udienza pubblica del 27 giugno 1990 il Giudice relatore Antonio Baldassarre;

uditi l'Avvocato dello Stato Mario Cevaro per il ricorrente e l'avvocato Giandomenico Falcon per la Regione.

Ritenuto in fatto

1.- Con ricorso regolarmente notificato e depositato il Presidente del Consiglio dei ministri ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 3, primo e quarto comma, della legge della Regione Emilia-Romagna (Revisione della dotazione organica delle qualifiche funzionali fino alla quinta compresa e conseguenti norme di inquadramento), riapprovata il 19 marzo 1990, per violazione dell'art. 97, primo e terzo comma, della Costituzione.

Secondo il ricorrente, le disposizioni impugnate, le quali consentono l'inquadramento alla quinta qualifica di personale regionale in possesso di qualifiche inferiori, contrasterebbero con l'art. 97 della Costituzione, primo e terzo comma, perchè difformi dalla normativa contrattuale nazionale, recepita dalla regione, e dai principi generali del pubblico impiego che non prevedrebbero alcun riconoscimento a fini giuridici dell'esercizio delle mansioni superiori.

Il previsto meccanismo di reinquadramento sarebbe ulteriormente illegittimo perchè non motivato da alcuna necessità di introduzione di correttivi al fine di eliminare situazioni squilibrate fra i dipendenti regionali.

Un terzo profilo di incostituzionalità risiederebbe nella estensione, a chi non riveste la qualifica "immediatamente" inferiore alla quinta, della possibilità di partecipare ai suddetti concorsi interni, la quale contrasterebbe con i generali principi di imparzialità e buona amministrazione. La disposizione impugnata, infatti, sarebbe difforme da quanto analogamente Previsto dalla vigente disciplina contrattuale (art. 5 della L.R. 28 ottobre 1987, n. 30), che, nel fissare la riserva dei posti nei pubblici concorsi per il personale già in servizio, richiederebbe il possesso della qualifica immediatamente inferiore a quella per cui si concorre.

2.- Si é regolarmente costituita la Regione Emilia-Romagna per chiedere il rigetto del ricorso.

La Regione premette che le norme impugnate fanno parte di una legge che ha, fra l'altro, aumentato di 390 unità i posti in organico relativi alla quinta qualifica funzionale, lasciando però immutata la dotazione organica complessiva, al fine, come si legge nella relazione al relativo disegno di legge, di adeguare la pianta organica alle esigenze proprie delle nuove metodologie di lavoro conseguenti al diffuso utilizzo di strumenti informatici negli uffici regionali. Tali norme prevedono che i posti vacanti della quinta qualifica funzionale siano attribuiti al personale del ruolo regionale di qualifica inferiore con anzianità di effettivo servizio di almeno quattro anni alla data di entrata in vigore della legge impugnata (ridotti a due in caso di servizio reso nella quarta qualifica funzionale). Le stesse norme richiedono, inoltre, che il suddetto personale sia preposto alle mansioni proprie delle qualifiche relative ai posti da ricoprire alla data di entrata in vigore della legge impugnata e abbia già svolto positivamente le medesime mansioni, in modo prevalente e in via continuativa, per un periodo non inferiore ad un anno alla predetta data.

La legge prevede, poi, una "Commissione tecnica di accertamento", istituita dalla Giunta regionale, avente il compito di presiedere alle operazioni del concorso interno e di provvedere ad individuare il personale di qualifica inferiore alla quinta in possesso dei requisiti sopra indicati.

Ad avviso della Regione, la censura relativa alla asserita violazione della normativa contrattuale, oltre che inammissibile perchè generica, sarebbe infondata per tre diversi ordini di motivi:

a) perchè i provvedimenti di modificazione dello stato giuridico del personale, disciplinati dalla legge impugnata, sarebbero materia che la legge quadro sul pubblico impiego affida alla legge regionale e non alla contrattazione nazionale (art. 2, primo comma, lettera 2, della legge n. 219 del 1984);

b) perchè, comunque, la difformità rispetto alla disciplina contrattuale troverebbe la propria giustificazione in una situazione particolare della regione, situazione che, secondo l'insegnamento di questa Corte, consente alla legge regionale di discostarsi dalla normativa prevista negli accordi nazionali;

c) perchè, infine, nessun contrasto vi sarebbe tra la legge impugnata e l'accordo nazionale, giacchè l'art. 5 del d.P.R. 13 maggio 1987, n. 268, si riferirebbe all'accesso all'impiego regionale, mentre le disposizioni censurate riguardano esclusivamente personale già in servizio presso la regione.

Anche la: censura relativa alla violazione dei principi generali del pubblico impiego sarebbe inammissibile perchè generica, essendo impossibile individuare quale sia il principio generale violato e da quale disposizione lo si dovrebbe dedurre.

Riguardo alle restanti censure, la Regione Emilia-Romagna sostiene che il terzo comma dell'art. 97 della Costituzione non rileverebbe nel caso in esame, in quanto concernerebbe soltanto l'"accesso" nella pubblica amministrazione. Quanto, poi, alla pretesa violazione del primo comma dello stesso articolo, la regione sottolinea come il previsto passaggio di fascia sia subordinato ad una congrua valutazione dell'attività pregressa del dipendente, la quale farebbe ragionevolmente ritenere che, per poter essere reinquadrato in livelli superiori, vi sia il bisogno di essere comunque in possesso dei requisiti obiettivi richiesti, a prescindere dall'appartenenza alla fascia "immediatamente" inferiore.

Considerato in diritto

1. - Con il ricorso indicato in epigrafe il Presidente del Consiglio dei ministri ha sollevato questioni di legittimità costituzionale nei confronti dell'art. 3, primo e quarto comma, della legge della Regione Emilia-Romagna (Revisione della dotazione delle qualifiche funzionali fino alla quinta compresa e conseguenti norme di inquadramento), riapprovata il 19 marzo 1990, per violazione dell'art. 97, primo e terzo comma, della Costituzione.

2. - Occorre preliminarmente esaminare l'eccezione d'inammissibilità per indeterminatezza o genericità formulata dalla Regione nei confronti delle censure che lo Stato ha proposto in riferimento alla pretesa violazione, da parte delle disposizioni impugnate, della normativa contrattuale nazionale e dei principi generali del pubblico impiego (questi ultimi sotto il profilo della non rilevanza del riconoscimento a fini giuridici dell'esercizio di mansioni superiori).

L'eccezione va respinta.

É fuor di ogni dubbio che il ricorso del Presidente del Consiglio dei ministri, in relazione alle censure ora esaminate, non indica con precisione le norme contrattuali e i principi generali sul pubblico impiego che integrano il parametro di costituzionalità che si pretende violato.

Tuttavia, ai fini dell'ammissibilità dei giudizi di legittimità costituzionale in via principale, è sufficiente che i motivi addotti per l'annullamento delle disposizioni impugnate siano indicati in modo tale da permettere alla controparte di rendersi conto del significato sostanziale delle censure formulate (v., con riferimento ai motivi del rinvio che devono sostanzialmente corrispondere ai motivi del ricorso, le sentt. nn. 289 e 525 del 1987; 726 e 1127 del 1988; 38 e 561 del 1989) e da porre in grado questa Corte di venire a conoscenza, senza possibilità di equivoco, dei termini della questione di legittimità costituzionale sottopostale e di compiere i necessari esami preliminari sulla ammissibilità del ricorso (v. sentt. nn. 517 del 1977; 19 e 242 del 1989).

Sotto tale profilo, non ha alcun fondamento l'eccezione della resistente relativa alla indeterminatezza dei motivi: in un caso, infatti, è agevole individuare con precisione la norma-parametro che si pretende violata, in quanto che il ricorrente denuncia un contrasto delle disposizioni impugnate con norme del contratto nazionale recepito dalla Regione stessa; nel secondo caso, il principio di cui si lamenta la lesione è, addirittura, precisamente definito ed enunciato nel suo contenuto, di modo che l'unica carenza effettiva è data dalla formale indicazione dei numerosi articoli dai quali si pretende di dedurre quel principio.

3. - Priva di fondamento è la prima delle questioni di legittimità costituzionale sollevate dal ricorso del Presidente del Consiglio dei ministri, secondo la quale le disposizioni impugnate-nel consentire l'inquadramento alla quinta qualifica del personale regionale in possesso di qualifiche inferiori a seguito di un concorso interno e sulla base dello svolgimento di fatto (con certe caratteristiche) delle funzioni corrispondenti alla qualifica nella quale è previsto l'inquadramento - si porrebbero in contrasto con le norme del contratto nazionale recepite dalla Regione.

In realtà, l'art. 2 della legge quadro sul pubblico impiego 29 marzo 1983, n. 93, nell'individuare le materie da disciplinare con legge (statale o regionale, in dipendenza della ripartizione costituzionale delle competenze), anzichè con contratto, indica fra questi oggetti i <procedimenti di (...) modificazione dello Stato giuridico> (art. 2, numero 2, della legge n. 93 del 1983).

Discende da ciò che l'inquadramento del personale regionale in fasce superiori è lasciato all'autonomia delle regioni stesse, le quali possono disciplinare la materia con propria legge senza essere vincolate dagli accordi. ER, anzi, quand'anche questi ultimi, in contrasto con la ripartizione delle competenze operata dal citato art. 2, dovessero contenere norme o principi sulle modificazioni dello stato giuridico del personale, tali disposizioni non avrebbero carattere vincolante nei confronti del legislatore regionale, il quale potrebbe liberamente derogare ad esse.

Sicchè, essendo precluso agli accordi disciplinare l'anzidetta materia, non può accogliersi la richiesta del Presidente del Consiglio di dichiarare l'illegittimità costituzionale delle disposizioni impugnate perchè contrastanti con norme stabilite da accordi nazionali.

4. - Una seconda questione di legittimità costituzionale dell'art. 3, primo e quarto comma, della legge regionale impugnata è stata sollevata in riferimento ai principi fondamentali stabiliti dalle leggi sul pubblico impiego, sul presupposto che questi ultimi non legittimano il riconoscimento a fini giuridici dello svolgimento di fatto di mansioni superiori.

Anche tale questione non è fondata.

La censura del Presidente del Consiglio dei ministri muove dall'erronea premessa che nelle leggi statali sul pubblico impiego viga il principio che, ai fini dell'inquadramento giuridico del personale, non sia rilevante lo svolgimento di fatto di mansioni riferibili a qualifiche superiori. Al contrario, l'art. 4 della legge 11 luglio 1980, n. 312 (Nuovo assetto retributivo funzionale del personale civile e militare dello Stato) prevede, al decimo comma, che il personale, il quale ritenga di individuare in una qualifica funzionale superiore a quella in cui è stato inquadrato le attribuzioni da esso effettivamente svolte da almeno cinque anni, può essere sottoposto ad una prova selettiva intesa ad accertare l'effettivo possesso della relativa professionalità.

L'esistenza di norme come questa e di altre che conferiscono rilevanza alle funzioni effettivamente svolte ai fini del l'inquadramento giuridico del personale (già assunto), porta a negare l'affermazione del ricorrente circa la sussistenza di un principio fondamentale di significato contrario, sì da indurre a respingere la relativa censura d'incostituzionalità delle disposizioni impugnate.

5.- II Presidente del Consiglio dei ministri prospetta il dubbio che l'art. 3, primo e quarto comma, della legge regionale impugnata contrasti altresì con l'art. 97, terzo comma, della Costituzione, secondo il quale <agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni si accede mediante concorso, salvo i casi stabiliti dalla legge>.

La questione appare manifestamente infondata, sol che si consideri che la norma invocata come parametro costituzionale concerne l'accesso nella pubblica amministrazione, mentre le disposizioni della legge regionale impugnata riguardano il reinquadramento in qualifiche superiori di personale già in servizio nella pubblica amministrazione.

6. - Non fondata è, infine, la questione di costituzionalità basata sulla pretesa violazione dei principi di imparzialità e di buon andamento della pubblica amministrazione (art. 97, primo comma, della Costituzione), in conseguenza del rilievo che le norme impugnate, nel consentire che ai previsti concorsi interni partecipi il personale inquadrato nelle fasce inferiori, anzichè soltanto quello inquadrato nella fascia immediatamente inferiore, conterrebbe una discriminazione irrazionale a danno di quest'ultimo e della funzionalità della amministrazione regionale.

Posto che, con giurisprudenza ormai costante, questa Corte ha precisato che l'esame della costituzionalità delle leggi sotto il profilo della pretesa violazione dei principi di imparzialità e del buon andamento della pubblica amministrazione va svolto come verifica della non irragionevolezza o della non arbitrarietà della disciplina denunciata (v. sentt. nn. 217 del 1987; 331, 964 e 1130 del 1988; 21 del 1989), non può considerarsi esorbitante da tali limiti una normativa, come quella impugnata, che ha lo scopo di porre fine a squilibri che si sono creati nei rapporti tra le varie categorie del personale a seguito di rilevanti mutamenti nell'organizzazione del lavoro e degli uffici (v. sentt. nn. 56 del 1989 e 347 del 1990).

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dall'art. 3, primo e quarto comma, della legge della Regione Emilia-Romagna (Revisione della dotazione delle qualifiche funzionali fino alla quinta compresa e conseguenti norme di inquadramento), riapprovata il 19 marzo 1990, sollevata dal Presidente del Consiglio dei ministri, in riferimento all 'art . 97 , terzo comma, della Costituzione, con il ricorso indicato in epigrafe;

dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 3, primo e quarto comma, della medesima legge della Regione Emilia-Romagna, sollevate dal Presidente del Consiglio dei ministri, in riferimento all 'art . 97 , primo comma, della Costituzione, con il ricorso indicato in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 12/07/90.

Francesco SAJA, PRESIDENTE

Antonio BALDASSARRE, REDATTORE

Depositata in cancelleria il 25/07/90.