Ordinanza n. 367 del 1990

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ORDINANZA N.367

ANNO 1990

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

Dott. Francesco SAJA, Presidente

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO

Dott. Aldo CORASANITI

Prof. Giuseppe BORZELLINO

Dott. Francesco GRECO

Prof. Renato DELL'ANDRO

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

Prof. Antonio BALDASSARRE

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

Avv. Mauro FERRI

Prof. Luigi MENGONI

Prof. Enzo CHELI

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 9, sesto (rectius. Settimo)ma, e 47 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 (Disposizioni comuni in materia di accertamento delle imposte sui redditi) e successive modifiche e integrazioni, promosso con ordinanza emessa il 13 ottobre 1986 dalla Commissione tributaria di primo grado di Treviso sul ricorso proposto dalla s.r.l. <M.d.M.> contro l'Ufficio II.DD. di Montebelluna, iscritta al n. 185 del registro ordinanze 1990 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 16, prima serie speciale dell'anno 1990.

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 26 giugno 1990 il Giudice relatore Vincenzo Caianiello.

Ritenuto che nel corso di un giudizio proposto contro il provvedimento di irrogazione della sanzione prevista dall'art. 47 del d.P.R. n. 600 del 1973-per avere un soggetto, sostituto di imposta, presentato tempestivamente la dichiarazione prescritta dall'art. 7 dello stesso decreto, ma ad ufficio incompetente (Ufficio imposte dirette di Treviso), e per essere tale dichiarazione pervenuta a quello competente (Ufficio imposte dirette di Montebelluna) oltre il termine di cui all'art. 9, ultimo comma, del medesimo decreto presidenziale con la conseguenza di essere considerata omessa -la Commissione tributaria di primo grado di Treviso, con ordinanza del 13 ottobre 1986 (pervenuta a questa Corte il 20 marzo 1990), ha sollevato questione di legittimità costituzionale degli artt. 9, sesto comma (rectius: settimo comma) e 47 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, per violazione dell'art. 3 della Costituzione;

che il giudice a quo ritiene che verrebbe riservata una ingiustificata disparità di trattamento a due fatti sostanzialmente identici, poichè, nell'un caso, l'erroneo invio della dichiarazione dei redditi (modelli 740, 750 e 760) ad ufficio incompetente, pur nel rispetto dei relativi termini e dell'obbligo del versamento della imposta dovuta, una volta che la dichiarazione sia pervenuta all'ufficio competente oltre il mese dalla data di scadenza e sia, di conseguenza, considerata omessa, è punito ai sensi dell'art. 46, primo comma, del d.P.R. n. 600, con una pena pecuniaria da un minimo di L. 50.000 ad un massimo di L. 500.000, in considerazione del fatto che <non sono dovute imposte>; nel secondo caso, invece, l'erroneo invio della dichiarazione del sostituto d'imposta (modello 770), sempre ad ufficio incompetente ma previa effettuazione delle ritenute e versamento all'erario di quanto dovuto, nel caso che il documento fiscale sia pervenuto all'ufficio competente con ritardo superiore al mese dalla scadenza, è sanzionato ai sensi del successivo art. 47, con la pena pecuniaria da due a quattro volte l'ammontare delle ritenute;

che, pertanto, sempre ad avviso del giudice a quo, la stessa infrazione di carattere meramente formale-essendo stati in entrambi i casi assolti gli obblighi tributari e rispettati i termini di presentazione delle dichiarazioni, sia pure ad uffici incompetenti - verrebbe così punita in modo macroscopicamente diverso;

che, nella stessa ordinanza, il giudice della rimessione denuncia altresì il sesto (rectius: settimo) comma dell'art. 9 citato - secondo cui <le dichiarazioni presentate con ritardo superiore al mese si considerano omesse a tutti gli effetti, ma costituiscono titolo per la riscossione delle imposte dovute ... e delle ritenute indicate dal sostituto di imposta> - poichè la norma, in maniera contradditoria, mentre riconosce per lo Stato l'esistenza di un titolo per la riscossione delle ritenute, nello stesso tempo nega al contribuente la possibilità di far valere lo stesso titolo per dimostrare l'avvenuto adempimento dell'obbligo tributario, così operando una ingiustificata discriminazione tra Erario e sostituto d'imposta;

che non si è costituita la parte privata e che è invece intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, sostenendo genericamente la inammissibilità o, in sub- ordine, la in fondatezza della questione, sulla quale questa Corte si sarebbe già più volte pronunciata (da ultimo ord. n. 103 del 1990 e, prima, ordd. n. 490 del 1987 e n. 212 del 1989).

Considerato che, successivamente alla ordinanza di rimessione, è entrato in vigore il decreto legge 2 marzo 1989, n. 69 (convertito con modificazioni nella legge 27 aprile 1989, n. 154), il quale all'art. 21 nel testo modificato dalla legge di conversione dispone (comma 3), che: <sono considerate valide> (tra l'altro) <lett. b) le dichiarazioni di cui al titolo I del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, considerate omesse perchè pervenute all'ufficio competente oltre i termini previsti dalla legge, a condizione che siano state presentate, ancorchè ad ufficio incompetente, entro il 31 dicembre 1988> e (comma 4) che <non si applicano le pene pecuniarie previste: a) dall'art. 46, primo comma, e dall'art. 47, primo comma, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, per le dichiarazioni di cui al comma 3, lett. b)>;

che il giudizio a quo verte sulla sanzione applicata ai sensi del l'art. 47, primo comma, del d.P.R. n. 600 del 1973, per l'avvenuta presentazione della dichiarazione di un sostituto di imposta ad ufficio incompetente;

che, di conseguenza, si rende necessario restituire gli atti al giudice della rimessione perchè accerti, alla stregua della sopravvenuta normativa, se la questione sollevata sia ancora rilevante nel giudizio principale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

ordina la restituzione degli atti alla Commissione tributaria di primo grado di Treviso.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 11/07/90.

Francesco SAJA, PRESIDENTE

Vincenzo CAIANIELLO, REDATTORE

Depositata in cancelleria il 24/07/90.