Ordinanza n. 352 del 1990

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ORDINANZA N.352

 

ANNO 1990

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

 

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

 

 

composta dai signori Giudici:

 

Dott. Francesco SAJA, Presidente

 

Prof. Giovanni CONSO

 

Prof. Ettore GALLO

 

Dott. Aldo CORASANITI

 

Prof. Giuseppe BORZELLINO

 

Dott. Francesco GRECO

 

Prof. Renato DELL'ANDRO

 

Prof. Gabriele PESCATORE

 

Avv. Ugo SPAGNOLI

 

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

 

Prof. Antonio BALDASSARRE

 

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

 

Avv. Mauro FERRI

 

Prof. Enzo CHELI

 

ha pronunciato la seguente

 

ORDINANZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 2 e 45 della legge 16 febbraio 1987 n. 81 (Delega legislativa al Governo della Repubblica per l'emanazione del codice di procedura penale), dell'art. 248 del codice di procedura penale, in riferimento agli artt. 241 e seguenti delle norme transitorie dello stesso codice e degli artt. 563, 444 e 448 del codice di procedura penale, promosso con ordinanza emessa il 14 dicembre 1989 dal Pretore di Nardò nel procedimento penale a carico di Clemente Leonardo, iscritta al n. 155 del registro ordinanze 1990 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 15, prima serie speciale, dell'anno 1990.

 

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

 

udito nella camera di consiglio del 13 giugno 1990 il Giudice relatore Ettore Gallo.

 

Ritenuto che, con ordinanza 4 dicembre 1989, il Pretore di Nardò sollevava questione di legittimità costituzionale degli artt. 2 e 45 (rectius: dell'art. 2, numero 45) della legge 16 febbraio 1987 (Delega legislativa al Governo della Repubblica per l'emanazione del codice di procedura penale), 248, in relazione agli artt. 241 e seguenti, delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale 1988 (Testo approvato con decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271) e 563, 444, 448 del codice di procedura penale 1988, per contrasto con gli artt. 3, 101, secondo comma, 102, primo comma, 27, secondo e terzo comma, 24, 25 e 111 della Costituzione;

 

che, premessa una lunghissima esposizione della storia e delle vicende attraverso le quali si è pervenuti all'emanazione del nuovo codice di procedura penale e delle relative disposizioni di attuazione, di coordinamento e transitorie, osserva il Pretore che, applicando l'istituto di cui agli artt. 444 e seguenti del nuovo codice processuale penale anche ai procedimenti sorti sotto il codice abrogato (ma ancora in corso e in una fase diversa da quella istruttoria) si violerebbero gli artt. 3 e 101 della Costituzione, in quanto si applicherebbe a situazioni differenziate la stessa disciplina, privando così il giudice dei poteri di piena giurisdizione che gli spettavano secondo il codice previgente;

 

che altrettanto dovrebbe ritenersi (ed il contrasto verrebbe anzi ad estendersi all'art. 102, primo comma, della Costituzione) per quanto si riferisce al potere del giudice di prosciogliere, nonostante la richiesta di applicazione della pena, non soltanto nei limiti di cui all'art. 152 del codice abrogato;

 

che peraltro-secondo l'ordinanza-la diminuzione automatica della pena, applicabile esclusivamente in funzione della scelta del rito, e quindi prescindendo da qualunque valutazione in ordine alla gravità del reato e alla personalità del reo, si pone in contrasto con l'art. 27, terzo comma, della Costituzione, che vuole la pena finalizzata alla rieducazione del condannato;

 

che tutto ciò verrebbe altresì a pregiudicare il diritto di difesa dell'imputato (art. 24 della Costituzione), ma anche il principio del giudice naturale (art. 25 della Costituzione) in quanto, dando rilievo alla convergenza d'interessi delle parti per una particolare definizione del giudizio, l'imputato viene distolto dal suo giudice naturale;

 

che, infine, non essendovi, nella decisione ex art. 444 cod. proc. pen., una effettiva motivazione, dato che il riferimento va ad accertamenti approssimativi più formali che sostanziali, si determinerebbe altresì palese incompatibilità rispetto all'art. 111 della Costituzione;

 

che è intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato dall'Avvocatura generale dello Stato, la quale ha concluso per l'infondatezza della questione.

 

Considerato che ormai il Pretore può-così come auspicava-valuta re la congruità della pena di cui le parti chiedono l'applicazione, perchè questa Corte, con sentenza 26 giugno 1990 n. 313 ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art . 444, comma secondo, proprio nella parte in cui non prevede siffatto potere, in riferimento all'art. 27, terzo comma, della Costituzione;

 

che, per quanto si riferisce alle altre questioni concernenti il nuovo codice e le sue norme di attuazione, di coordinamento e transitorie, questa Corte ne ha già dichiarato l'infondatezza con la stessa citata sentenza, nè l'ordinanza prospetta ragioni o profili nuovi;

 

che uguale sorte va riservata alla questione relativa all'art. 2, n. 45, della legge delega, giacchè tale direttiva non esclude che il giudice debba pur sempre osservare il principio di cui all'art. 27, terzo comma, della Costituzione, sicchè spettava al legislatore ordinario dettare le opportune disposizioni a salvaguardia del principio sovraordinato.

 

PER QUESTI MOTIVI

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale;

 

a) dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'art. 248, in relazione agli artt. 241 e seguenti, delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale 1988 (testo approvato con decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271), e 563, 444, 448 del codice di procedura penale 1988, sollevata dal Pretore di Nardò in riferimento all'art. 27, terzo comma, della Costituzione, perchè è già stata dichiarata, con sentenza 26 giugno 1990, n. 313, l'illegittimità costituzionale dell'art. 444, secondo comma, del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevede che il giudice possa valutare la congruità della pena di cui le parti hanno richiesto l'applicazione;

 

b) dichiara la manifesta infondatezza di tutte le altre questioni di legittimità costituzionale dei medesimi articoli, sollevate dalla stessa ordinanza in riferimento agli artt. 3, 101, secondo comma, 102, primo comma, 27, secondo comma, 24, 25 e 111 della Costituzione.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 11/07/90.

 

Francesco SAJA, PRESIDENTE

 

Ettore GALLO, REDATTORE

 

Depositata in cancelleria il 20/07/90.