Sentenza n. 349 del 1990

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SENTENZA N.349

ANNO 1990

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

Dott. Francesco SAJA, Presidente

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO

Dott. Aldo CORASANITI

Prof. Giuseppe BORZELLINO

Dott. Francesco GRECO

Prof. Renato DELL'ANDRO

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

Prof. Antonio BALDASSARRE

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

Avv. Mauro FERRI

Prof. Luigi MENGONI

Prof. Enzo CHELI

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 453 del codice di procedura penale promossi con le seguenti ordinanze:

1) ordinanza emessa il 27 gennaio 1990 dal G.I.P. presso il Tribunale di Catania nel procedimento penale a carico di Greco Salvatore, iscritta al n. 163 del registro ordinanze 1990 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 16, prima serie speciale, dell'anno 1990;

2) ordinanza emessa il 27 gennaio 1990 dal G.I.P. presso il Tribunale di Catania nel procedimento penale a carico di Parisi Giuseppe, iscritta al n. 211 del registro ordinanze 1990 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 19, prima serie speciale, dell'anno 1990.

Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 26 giugno 1990 il Giudice relatore Ettore Gallo.

Ritenuto in fatto

1.- Con due ordinanze datate 27 gennaio 1990, il Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Catania, previo dichiarazione di rilevanza e non manifesta infondatezza, trasmetteva integralmente a questa Corte la proposta di questione di legittimità costituzionale dell'art. 453 codice procedura penale 1988 che il pubblico ministero aveva eccepito, in due distinti processi per frode fiscale, con riferimento agli artt. 3, 24, 76 e 112 della Costituzione.

La questione é sorta in occasione della richiesta di giudizio immediato avanzata in ambo i processi dal pubblico ministero. Il giudice aveva però rilevato che l'imputato, benchè gli fosse stato notificato - prima dell'entrata in vigore del nuovo codice di procedura penale - ordine di comparizione, non si era presentato a rispondere all'interrogatorio: sicchè non si era verificata la condizione del "previo interrogatorio dell'imputato". Nè poteva ritenersi l'equipollenza, nel nuovo sistema processuale, della mancata presentazione al rifiuto di rispondere all'interrogatorio: effetto che semmai il pubblico ministero avrebbe potuto raggiungere chiedendo l'autorizzazione all'uso di mezzi coercitivi per avere la presenza dell'imputato: libero, poi, questi di non rispondere. Per tali ragioni aveva restituito gli atti al pubblico ministero.

Questi, però, replicava rilevando che la coercizione (art. 376 cod. proc. pen.) trova la sua legittimazione nell'interrogatorio diretto ad acquisire elementi per le indagini, mentre l'interrogatorio di cui all'art. 453, primo comma, avendo natura garantistica, non postula la presenza coatta dell'imputato: ragion per cui egli escludeva di richiedere l'autorizzazione cui accennava il giudice.

Insisteva, perciò, il pubblico ministero nella sua richiesta di giudizio immediato ma, se il giudice riteneva, invece, di tenere fermo il suo punto di vista, allora chiedeva che venisse sollevata questione di legittimità costituzionale dell'art. 453 cod. proc. pen. in riferimento ai parametri sopra indicati.

Secondo il pubblico ministero, infatti, l'accompagnamento coattivo violerebbe, nella specie, il diritto di difesa, non essendo l'imputato tenuto a presentarsi per le ragioni indicate: e, se il giudice non intende riconoscere l'equipollenza della mancata presentazione al rifiuto di rispondere, l'imputato potrebbe bloccare a suo piacimento l'esercizio dell'azione penale, in violazione dell'art. 112 della Costituzione.

Nè egli avrebbe alcun rimedio contro la detta interpretazione del giudice: il che sarebbe in contrasto con l'art. 3 della Costituzione per la disparità di trattamento che verrebbe a verificarsi rispetto all'ipotesi dei decreto penale di condanna, per il quale é, invece, prevista l'opposizione.

Contrasto che coinvolgerebbe anche, per l'irrazionalità della situazione che verrebbe così a determinarsi, l'art. 2 punto 44 della legge di delegazione 16 febbraio 1987, n. 81.

2.- É intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato dall'Avvocatura generale dello Stato, che ha chiesto declaratoria d'infondatezza della sollevata questione.

Considerato in diritto

1. - Le due ordinanze prospettano identica questione, riferita agli stessi parametri costituzionali; i giudizi, pertanto, possono essere riuniti per essere decisi con unica sentenza.

2.-La questione sorge dal dissenso fra pubblico ministero e Giudice delle indagini preliminari circa l'interpetrazione di una delle condizioni poste dall'art. 453 codice procedura penale per l'operatività del giudizio immediato. Si allude all'inciso <previo interrogatorio dell'imputato>.

Nella specie l'imputato aveva lasciato senza effetto un ordine di comparizione ritualmente notificato dal pubblico ministero prima che entrasse in vigore il nuovo codice di procedura penale: ritiene il pubblico ministero che ciò equivalga al rifiuto di rispondere all'interrogatorio.

Di avviso diverso è il giudice, secondo cui il pubblico ministero dovrebbe, in tal caso, richiedere l'autorizzazione all'accompagnamento coattivo dell'imputato per procedere all'interrogatorio: libero, poi, l'imputato di non rispondere.

Conseguentemente restituiva gli atti al pubblico ministero.

Ma questi, rilevando che non intendeva richiedere l'accompagnamento coattivo perchè l'interrogatorio previsto dall'art. 453, primo comma, codice di procedura penale ha natura garentistica, mentre l'accompagnamento coattivo è previsto dalla legge quando con l'interrogatorio si debbano acquisire elementi per le indagini, aggiungeva che, se il giudice intendeva tenere ferma la sua interpetrazione, egli chiedeva allora che venga sollevata questione di legittimità costituzionale: I - perchè l'accompagnamento coattivo violerebbe il diritto di difesa dell'imputato che ha diritto a non presentarsi, così dimostrando di non voler rispondere all'interrogatorio (art. 24 della Costituzione), II - perchè, se il giudice insiste nel non riconoscere l'equipollenza della mancata comparizione alla volontà di non rispondere all'interrogatorio, ciò significa che l'imputato potrebbe bloccare quando crede l'esercizio dell'azione penale limitandosi a non aderire all'invito a presentarsi, determinando evidente incompatibilità rispetto al principio di cui all'art. 112 della Costituzione, III - perchè, in tal caso, contro l'interpetrazione del giudice egli non avrebbe alcun rimedio. II che integrerebbe la violazione del parametro di cui all'art. 3 della Costituzione per la disparità di trattamento che verrebbe ad instaurarsi rispetto all'ipotesi del decreto penale di condanna contro il quale è invece prevista opposizione.

Rileva, anzi, il pubblico ministero che, per tali ragioni, anche l'art. 2 punto 44 della delega sarebbe irrazionale.

3. - Il giudice, riportando senza alcun commento tali richieste del pubblico ministero, si limita a trasmettere gli atti a questa Corte chiedendo, con la sua ordinanza, che le questioni vengano decise.

É intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato dall'Avvocatura generale dello Stato, che ha chiesto declaratoria d'infondatezza della sollevata questione.

4. - Non può non osservarsi la scarsa ortodossia del metodo che il giudice di Catania vorrebbe instaurare, riportando senza far motto le questioni di legittimità che il pubblico ministero propone, fra l'altro nemmeno plausibilmente. Il potere di sollevare le questioni di legittimità costituzionale spetta soltanto al giudice: e se questi intende fare sue le proposte avanzate dal pubblico ministero, deve dirlo esplicitamente sollevandole in modo specifico ed ordinato, e debitamente motivate.

Detto questo, essendo evidente che l'interpetrazione, secondo scienza e coscienza, della norma processuale spetta al giudice e non alla Corte, va esaminato il merito. Le questioni di legittimità costituzionale proposte sono infondate.

Tale sicuramente è innanzitutto quella concernente l'art. 24 della Costituzione perchè il giudice ha dato la sua interpetrazione del valore che deve assumere la mancata presentazione dell'imputato (rispetto all'invito a presentarsi emesso dal pubblico ministero) agli effetti del <previo inter rogatorio> di cui all'articolo in contestazione. E, a fronte di ciò, non essendo concepibile un conflitto, il pubblico ministero o si adegua o prosegue con il rito ordinario. In ogni caso, avendo egli dichiarato che non intende assolutamente chiedere al giudice di essere autorizzato ad avvalersi dei poteri coercitivi, una questione in ordine all'art. 24 della Costituzione non si profila nemmeno.

Ma parimenti infondata è la questione concernente l'art. 112 della Costituzione perchè, qualunque sia per essere la corretta interpetrazione del comportamento dell'imputato agli effetti dell'inciso di cui si discute, questi non potrebbe mai impedire l'esercizio dell'azione penale da parte del pubblico ministero; al più riuscirebbe soltanto a non rendere operativo uno dei riti speciali, facendo mancare una delle condizioni essenziali. Ma l'azione penale, di cui all'art. 112 della Costituzione, resterebbe pur sempre esperibile nel rito ordinario.

Del tutto improponibile, infine, il confronto della situazione di cui si va parlando con quella concernente l'opposizione contro il decreto penale di condanna. Si tratta di situazioni assolutamente diverse che escludono ogni possibilità di richiamare l'art. 3 della Costituzione. Il decreto, infatti, con il quale il giudice delle indagini preliminari restituisce gli atti al pubblico ministero, perchè non ritiene ricorrere le condizioni per il rito immediato, è un provvedimento ordinatorio del processo che lascia al pubblico ministero ampia libertà di scelte ulteriori. Il decreto penale di condanna, al contrario, incide direttamente sugli interessi dell'imputato e, in ipotesi di conversione, anche sulla di lui libertà personale, sicchè è ovvio che un'opposizione dev'essere prevista. Per tacere, peraltro, che l'opposizione è consentita esclusivamente a favore dell'imputato e della persona civilmente responsabile per la pena pecuniaria.

Inutile dire che tutto questo mette in luce altresì la razionalità dell'art. 2, punto 44, della legge di delegazione.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 453 codice procedura penale, promossa, in riferimento agli artt. 3, 24, 76 e 112 della Costituzione, dal giudice delle indagini preliminari presso il Tribunale di Catania con le due ordinanze, datate 27 gennaio 1990, di cui all'epigrafe.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 11/07/90.

Francesco SAJA, PRESIDENTE

Ettore GALLO, REDATTORE

Depositata in cancelleria il 20/07/90.