Sentenza n. 341 del 1990

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SENTENZA N.341

ANNO 1990

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

Prof. Francesco SAJA, Presidente

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO

Dott. Aldo CORASANITI

Prof. Giuseppe BORZELLINO

Dott. Francesco GRECO

Prof. Renato DELL'ANDRO

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

Prof. Antonio BALDASSARRE

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

Avv. Mauro FERRI

Prof. Luigi MENGONI

Prof. Enzo CHELI

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 273 e 274 del codice civile in relazione all'art. 316 dello stesso codice, promosso con ordinanza emessa il 30 novembre 1989 dal Tribunale per i minorenni di Ancona nel procedimento per dichiarazione di paternità naturale instaurato da Michelangeli Laura nell'interesse del figlio minore Michelangeli Flavio, iscritta al n. 165 del registro ordinanza 1990 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 16, prima serie speciale, dell'anno 1990.

Udito nella camera di consiglio del 26 giugno 1990 il Giudice relatore Luigi Mengoni.

Ritenuto in fatto

Nel corso di un procedimento instaurato da L.M., per essere ammessa, ai sensi dell'art. 274 cod. civ., a promuovere l'azione per la dichiarazione giudiziale di paternità nell'interesse del figlio minore, il Tribunale per i minorenni di Ancona, con ordinanza del 30 novembre 1989, ha sollevato, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale degli artt. 273 e 274 cod. civ. "nella parte in cui non prevedono, nel caso di azione proposta dal genitore che esercita la potestà prevista dall'art. 316 cod. civ. nell'interesse del figlio infrasedicenne, che si valuti l'interesse del minore alla dichiarazione giudiziale di paternità o maternità".

Premesso che il significato dell'attribuzione della competenza al Tribunale dei minorenni, disposta dall'art. 68 della legge 4 maggio 1983, n. 184, quando l'azione di cui all'art. 269 cod. civ. é esercitata per conto di minori, non si esaurisce in quello di un semplice spostamento di competenza, il giudice a quo lamenta che la funzione di tutela dell'interesse dei minori, caratteristica di questo giudice specializzato, non possa esplicarsi nel caso di cui si controverte, a differenza di altri casi concernenti la costituzione tardiva o la modificazione dello status dei minore, quali il caso di opposizione del genitore, che per primo ha riconosciuto il figlio, al riconoscimento da parte dell'altro (art. 250, quarto comma), il caso di esercizio dell'azione di dichiarazione della paternità o maternità naturale da parte del tutore (art. 273, primo comma) e il caso di domanda di legittimazione (art. 284).

Tale disparità di disciplina é ritenuta contraria al principio di eguaglianza.

Considerato in diritto

1. - II Tribunale dei minorenni di Ancona ritiene contrastanti con l'art. 3 della Costituzione gli artt. 273 e 274 cod. civ. nella parte in cui non prevedono, nel caso di azione proposta dal genitore che esercita la potestà prevista dall'art. 316 per conto del figlio infrasedicenne, che il giudice valuti l'interesse del minore alla dichiarazione giudiziale di paternità o maternità naturale.

2. - Diversamente da quanto sembra ritenere il giudice a quo, la questione non può investire congiuntamente gli artt. 273 e 274 a guisa di <combinato disposto>. In realtà l'ordinanza propone due questioni, una principale, l'altra subordinata. La prima prospetta l'estensione al genitore del requisito dell'autorizzazione del giudice, previsto dall'art. 273 nel caso di esercizio dell'azione da parte del tutore. La seconda prospetta la valutazione dell'interesse del minore, quando l'azione sia promossa dal genitore esercente la potestà di cui all'art. 316, come un elemento del giudizio di delibazione previsto dall'art. 274, impugnando il primo comma di questo articolo in quanto non subordina l'ammissibilità dell'azione, oltre che al concorso di specifiche circostanze tali da farla apparire giustificata, anche alla condizione che ne sia valutata la rispondenza all'interesse del minore.

L'articolazione nelle due questioni ora distinte risulta dalla motivazione dell'ordinanza, 1à dove, dopo avere osservato che nel caso del tutore la legge ritiene necessario un preventivo apprezzamento dell'interesse del minore da parte dell'organo statuale nella forma dell'autorizzazione, il giudice a quo afferma: <Orbene non si comprende perchè il genitore che esercita la potestà prevista dall'art. 316 possa invece liberamente agire in giudizio e la sua richiesta, neppure nella successiva fase di esame di ammissibilità dell'azione, non debba essere valutata quale corrispondente o meno all'interesse del minore>.

3. -In ordine all'art. 273 la questione non è fondata. Che il tutore soltanto, e non pure il genitore, debba chiedere l'autorizzazione del giudice si giustifica in base alla regola generale dell'art. 374 n. 5 cod. civ., secondo cui il tutore non può promuovere giudizi senza l'autorizzazione del giudice, tranne quelli espressamente indicati, mentre il genitore è in generale legittimato ad agire senza bisogno di autorizzazione, tranne che per i giudizi relativi agli atti per i quali è richiesta l'autorizzazione dall'art. 320, terzo comma.

Nei confronti del genitore la valutazione dell'interesse del minore da parte del giudice non può essere prospettata nella forma di un atto (autorizzazione) integrativo della legittimazione ad agire.

4. - La questione è fondata in ordine all'art. 274.

Dei vari termini di comparazione proposti dal giudice a quo la Corte ritiene idoneo quello indicato nell'art. 250, quarto comma, cod. civ. Da questa norma si argomenta che, se si tratta di minore infrasedicenne, per il quale l'efficacia del riconoscimento non è subordinata al suo assenso, la legge attribuisce un valore assoluto all'interesse di accertamento dello stato di filiazione quando il minore sia privo di status o il genitore che per primo lo ha riconosciuto consenta al riconoscimento successivo da parte dell'altro. In questi due casi, con una valutazione tipica, il riconoscimento è reputato senz'altro conforme all'interesse del minore.

Quando invece insorga conflitto tra i genitori, in quanto il genitore che ha già riconosciuto il figlio si oppone al riconoscimento tardivo dell'altro giudicandolo non conveniente all'interesse del minore, tale valutazione è assoggettata al controllo del tribunale per i minorenni mediante un procedimento contenzioso promosso dal genitore che a sua volta intende effettuare il riconoscimento.

Analogo controllo non è previsto nell'ipotesi in certo senso inversa di conflitto, in cui il genitore esercente la potestà sul figlio ritiene conveniente al suo interesse anche il riconoscimento dell'altro e, di fronte all'atteggiamento recalcitrante di questi, decide di promuovere, per conto del minore, l'azione di reclamo della paternità o maternità naturale. Fino al 1983 la diversità di disciplina si poteva spiegare in considerazione della competenza esclusiva del tribunale ordinario per l'azione di cui all'art. 269 cod. civ., cioè di un giudice inadatto a esprimere valutazioni del tipo di quella in discorso. Ma, una volta trasferita la competenza al tribunale per i minorenni quando l'azione sia proposta nell'interesse di minori di età (art. 38 disp. att., modificato dall'art. 68 della legge 4 maggio 1983, n. 184), non è più giustificabile, alla stregua del principio di pari trattamento di casi simili, la preclusione a questo giudice, specializzato per la tutela dei minori, della possibilità di esplicare anche in questa ipotesi la sua funzione istituzionale valutando, ove sia in causa un minore infrasedicenne, se l'azione intentata dal genitore che per primo lo ha riconosciuto, al fine di imporre all'altro una paternità o una maternità che quegli rifiuta di riconoscere, sia effettivamente rispondente all'interesse del figlio o non rischi piuttosto di pregiudicarne gli equilibri affettivi, l'educazione e la collocazione sociale. Siffatti inconvenienti non sempre e non interamente possono essere evitati, dopo la costituzione dello status di filiazione, con i provvedimenti previsti dall'art. 277, secondo comma, cod. civ.

Indipendentemente dal confronto con l'art. 250, quarto comma, la norma impugnata appare contrastante anche col principio di razionalità, essendo incoerente col rilievo sistematico centrale che nell'ordinamento dei rapporti di filiazione, fondato sull'art. 30 Cost., assume l'esigenza di protezione dell'interesse dei minori.

5.-Non varrebbe obiettare che il procedimento preliminare di delibazione sull'ammissibilità dell'azione è organizzato dall'art. 274 a tutela del convenuto contro azioni temerarie o ricattatorie. La veridicità del preteso rapporto di filiazione col convenuto, del quale il giudice deve in questa prima fase del giudizio controllare l'esistenza di seri indizi, è pure un elemento dell'interesse del minore. Non vi è quindi alcun osta colo di ordine logico, e tanto meno tecnico, ad allargare il giudizio al controllo dell'altro aspetto di tale interesse, cioé la convenienza al minore dell'accertamento formale del rapporto di filiazione.

Del resto, questa integrazione del giudizio previsto dall'art. 274 si è già prodotta in pratica nel caso di azione esercitata dal tutore. É da ritenere, infatti, che in virtù del citato art. 68 della legge n. 184 del 1983 il tribunale per i minorenni (e non più il giudice tutelare) sia competente anche per l'autorizzazione richiesta dall'art. 273, primo comma, con la conseguenza che il procedimento autorizzativo viene assorbito nel giudizio di delibazione di cui all'art. 274.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 274, primo comma, cod. civ. nella parte in cui, se si tratta di minore infrasedicenne, non prevede che l'azione promossa dal genitore esercente la potestà sia ammessa solo quando sia ritenuta dal giudice rispondente all'interesse del figlio;

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 273, primo comma, cod. civ., sollevata dal Tribunale per i minorenni di Ancona, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, con l'ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 11/07/90.

Francesco SAJA, PRESIDENTE

Luigi MENGONI, REDATTORE

Depositata in cancelleria il 20/07/90.