Sentenza n. 330 del 1990

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SENTENZA N.330

ANNO 1990

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

Prof. Francesco SAJA, Presidente

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO

Dott. Aldo CORASANITI

Prof. Giuseppe BORZELLINO

Dott. Francesco GRECO

Prof. Renato DELL'ANDRO

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

Prof. Antonio BALDASSARRE

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

Avv. Mauro FERRI

Prof. Luigi MENGONI

Prof. Enzo CHELI

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 15, settimo comma, della legge 10 maggio 1976, n. 319 (Tutela delle acque dall'inquinamento) e successive modifiche, promosso con ordinanza emessa il 17 gennaio 1990 dal Pretore di Padova nel procedimento penale a carico di Falaguasta Ferdinando ed altri, iscritta al n. 181 del registro ordinanze 1990 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 16, prima serie speciale, dell'anno 1990.

Visto l'atto di costituzione di Falaguasta Ferdinando, nonchè l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 12 giugno 1990 il Giudice relatore Ettore Gallo;

uditi l'avvocato Emanuele Fracasso per Falaguasta Ferdinando e l'Avvocato dello Stato Franco Favara per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1.- Con ordinanza 17 gennaio 1990 il Pretore di Padova sollevava questione di legittimità costituzionale dell'art. 15, settimo comma, della legge 10 maggio 1976, n. 319 (Tutela delle acque dall'inquinamento) e successive modificazioni, con riferimento agli arti. 24, secondo comma e 3 della Costituzione.

La questione veniva sollevata nel corso di un processo penale contro un imprenditore, imputato, fra l'altro, di plurime violazioni all'art. 21, terzo comma della legge predetta che incrimina chi effettua scarichi di qualsiasi tipo in acque superficiali o sotterranee, sia pubbliche che private, o in fognature, superando i limiti di accettabilità previsti dalle tabelle allegate alla legge.

Lamenta il Pretore che la norma impugnata non imponga ai funzionari tecnici dei presidi e servizi multizonali di prevenzione di dare avviso al titolare dello scarico, nel corso delle operazioni di prelievo e campionamento, della facoltà di farsi assistere immediatamente da un difensore o da un tecnico di sua fiducia. Secondo l'ordinanza, tale omissione darebbe luogo ad irragionevole disparità di trattamento rispetto alla disciplina delle perquisizioni, sia domiciliari che personali, prevista dagli artt. 304-bis, 304-ter, comma terzo, e 334 cod. proc. pen. 1930, nonchè dagli artt. 354 e 356 cod. proc. pen. Vigente e 114 d.l. 28 luglio 1989, n. 271, e nel contempo violerebbe il diritto di difesa di cui all'art. 24, secondo comma, della Costituzione: ciò tenendo conto della nozione di "procedimento penale" espressa dalla sentenza 15 luglio 1983, n. 248 di questa Corte.

Orbene, secondo il Pretore, la Corte nella citata sentenza, pur avendo risolto positivamente, quanto all'esecuzione delle analisi, la questione in allora sollevata dal Pretore di Milano, non avrebbe invece affrontato il problema relativo al campionamento nell'angolazione proposta dallo stesso pretore, e sarebbe perciò pervenuta sul punto ad implicito giudizio negativo.

Ritiene, perciò, l'ordinanza che la questione, limitatamente alla parte irrisolta (di cui é cenno solo nella motivazione ma non nel dispositivo) possa essere utilmente riproposta.

2.- Si é costituito innanzi a questa Corte, Ferdinando Falaguasta, imputato nel processo a quo, che deduce, senza alcuna motivazione, l'illegittimità sollevata dall'ordinanza di rimessione.

É anche intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato dall'Avvocatura generale dello Stato, che ha innanzitutto eccepito l'inammissibilità della questione per difetto di motivazione sulla rilevanza, non avendo il Pretore riferito se le operazioni riguardassero scarichi relativi a sostanze inquinanti suscettibili di rapido deterioramento, presupposto essenziale - ad avviso dell'Avvocatura - per l'applicabilità dei principi affermati nella sentenza 15 luglio 1983, n. 248 di questa Corte.

La questione sarebbe, comunque, infondata perchè la fase di campionamento sarebbe fuori del processo e riguarderebbe attività meramente amministrativa di vigilanza e di controllo.

Considerato in diritto

1. - Lamenta, in sostanza, il Pretore che la norma impugnata non imponga ai funzionari tecnici competenti di avvertire il titolare dello scarico, in occasione di prelievi e campionamenti, che ha facoltà di farsi subito assistere da difensore o da tecnico di sua fiducia. Ricorda il Pretore che questa Corte, con la sentenza n. 248 del 1983, ha riconosciuto spettare la garanzia del diritto di difesa a tutte le attività <preordinate ad una pronunzia penale, che si traducano in processi verbali di cui è consentita la lettura al dibattimento>: e ciò anche se si tratti di attività realizzate al di fuori dell'intervento del magistrato.

Conseguentemente la Corte ebbe già a dichiarare l'illegittimità costituzionale della norma, ora nuovamente denunziata, nella parte in cui non prevedeva che al titolare dello scarico fosse dato formale avviso affinchè potesse presenziare, anche con l'assistenza di difensore e consulente tecnico, alle operazioni di analisi. In tale occasione, però, la Corte - secondo il rimettente - non avrebbe esaminato, nella indicata angolazione, il connesso problema che l'ordinanza di rimessione del Pretore di Milano aveva in allora proposto anche in relazione a prelievi e campionamenti.

Era, perciò, rimasto insoluto questo aspetto nella sua patente incompatibilità rispetto agli artt. 24, secondo comma, e 3 della Costituzione, che ora il Pretore di Padova risolleva.

Rilevava il Pretore che si tratta di tipici mezzi di ricerca della prova, come gli accertamenti urgenti sullo stato dei luoghi e delle cose che il codice di procedura penale prevede quali atti di vera e propria polizia giudiziaria: e, come questi, anche quelli possiedono requisiti di utilizzabilità nel processo penale.

2.-Si costituiva nel giudizio innanzi alla Corte l'imputato del processo penale, senza peraltro nulla aggiungere all'atto di mera costituzione.

Interveniva altresì il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato dall'Avvocatura generale dello Stato, che chiedeva declaratoria d'inammissibilità della questione o almeno d'infondatezza.

A1 dibattimento, parte privata ribadiva i motivi dell'ordinanza di rimessione di cui condivideva le conclusioni. L'Avvocatura generale illustrava e confermava le richieste di cui sopra.

3.-L'eccezione di inammissibilità, opposta dall'Avvocatura generale, non può essere accolta.

Non è esatto, infatti, che presupposto della sentenza n. 248 del 1983 fosse il particolare carattere di rapida deteriorabilità delle acque di scarico da analizzare nella specie. La detta sentenza presuppone, invece, in via generale, per tutte le acque da scarico inquinate che, a causa della loro (naturale) deteriorabilità, debbano essere sottoposte ad analisi con la mas sima tempestività, non essendo queste utilmente ripetibili nel corso del successivo procedimento penale. In altri termini, è la deteriorabilità in genere di tali acque ad essere assunta come ratio decidendi.

4. - Nel merito la questione non è fondata.

Il giudice a quo si è reso ben conto che la Corte ha preso in esame nella citata sentenza del 1983 il punto relativo al momento del prelievo e del campionamento delle acque per escludere che ad esso potesse applicarsi quella declaratoria d'illegittimità che si accingeva, invece, a pronunciare in ordine al successivo momento delle operazioni d'analisi; e ciò per l'ipotesi in cui il titolare dello scarico non fosse stato preavvertito del giorno e dell'ora in cui le analisi sarebbero seguite.

La Corte, infatti, ha trovato <logico che l'Autorità amministrativa, cui compete il diritto di effettuare i campionamenti delle acque, non abbia l'obbligo di preavvisare il titolare dello scarico circa il momento in cui verranno effettuate le operazioni di prelievo, per evitare che possano essere apportate modifiche agli scarichi, e di conseguenza fatte sparire le tracce di ogni irregolarità>.

Il Pretore di Padova ripropone, però, la questione rilevando che l'avviso potrebbe essere dato quando le operazioni sono già in corso e i funzionari tecnici sono in grado di controllare che la situazione non venga alterata.

Ma si tratta di un equivoco. II problema non è quello della presenza del titolare dello scarico, o di un suo rappresentante, al momento del prelievo e della campionatura, perchè quella presenza è pacifica, e dev'essere necessariamente sollecitata dai funzionari procedenti anche sulla base delle norme regolamentari.

L'interessato, infatti, deve controfirmare il verbale e ricevere due delle quattro aliquote sigillate del campione.

Il problema giuridico, che la Corte aveva già esaminato in occasione della precedente sentenza, è invece quello del <preavviso>, che la Corte ebbe ad escludere per le ragioni logiche indicate; ed ora è quello in particolare sollevato dall'ordinanza in esame dell'avvertimento che si assume dovrebbe essere dato al titolare dello scarico, se presente, della facoltà di farsi assistere da un difensore o da altra persona di sua fiducia.

5. -É esatto che questa Corte, nell'intento di garantire il cittadino, ha in più occasioni anticipato la tutela difensiva anche ad attività preprocessuali, quando queste siano univocamente finalizzate alla ricerca della prova di un reato e si rendano utilizzabili nel dibattimento.

Ma è inconferente il richiamo a talune norme del precedente codice di procedura penale, sia perchè non è nemmeno corretto (il confronto, infatti, poteva semmai essere instaurato con il secondo comma dell'art. 222 cod. proc. pen. 1930), sia perchè comunque sono, questi, atti di conservazione e di accertamento (ed eventualmente di sequestro) riguardanti il corpo o le tracce del reato, compiuti da ufficiali ed agenti di polizia giudiziaria, dopo che un reato è stato commesso, allo scopo di assicurarne le tracce o le prove.

Al contrario, i prelievi e i campionamenti delle acque di scarico vengono compiuti da funzionari ed agenti della pubblica amministrazione, nell'ambito di un'attività di normale (e per nulla urgente) controllo di carattere amministrativo che, per sua natura, non è di per se stesso finalizzato all'accertamento di un reato.

Inoltre poi, una volta che l'art. 22 della legge 24 dicembre 1979, n. 650 ha indicato agli operatori l'opportunità di orientare la scelta delle modalità del prelievo (vuoi attraverso campione istantaneo, vuoi tramite campione medio) a seconda del tipo di ciclo produttivo, dei tempi e dei modi di versamento, della portata e della durata dello scarico, è evidente che gli operatori amministrativi dovranno dare atto a verbale del metodo prescelto e delle ragioni che lo giustificano: e il titolare dello scarico, o il tecnico dell'azienda che lo rappresenta, essendo presenti alle operazioni e dovendo sottoscrivere il verbale, ben possono chiedere che sieno inserite le loro eventuali osservazioni.

Si tratta, dunque, di operazioni amministrative, di per se stesse neutre, e tuttavia sufficientemente assistite da garanzie per il cittadino.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 15, settimo comma, della legge 10 maggio 1976, n. 319 (Tutela delle acque dall'inquinamento) e successive modificazioni, con riferimento agli artt. 24, secondo comma e 3 della Costituzione, sollevata dal Pretore di Padova con ordinanza 17 gennaio 1990.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 26/06/90.

Francesco SAJA, PRESIDENTE

Ettore GALLO, REDATTORE

Depositata in cancelleria il 13/07/90.