Sentenza n. 317 del 1990

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SENTENZA N.317

ANNO 1990

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

Prof. Francesco SAJA, Presidente

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO

Dott. Aldo CORASANITI

Prof. Giuseppe BORZELLINO

Dott. Francesco GRECO

Prof. Renato DELL'ANDRO

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

Prof. Antonio BALDASSARRE

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

Avv. Mauro FERRI

Prof. Luigi MENGONI

Prof. Enzo CHELI

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 12 della legge 12 giugno 1973, n. 349 (rectius: dell'art. 3 della legge 12 febbraio 1955, n. 77, come modificato dall'art. 12 della legge 12 giugno 1973, n. 349, dal titolo: Modificazioni alle norme sui protesti delle cambiali e degli assegni bancari), promosso con ordinanza emessa il 26 aprile 1989 dal Pretore di Latina nel procedimento civile vertente tra Provenzano Giancarlo e la Camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura di Latina, iscritta al n. 152 del registro ordinanze 1990 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 14 - prima serie speciale - dell'anno 1990.

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 23 maggio 1990 il Giudice relatore Antonio Baldassarre.

Ritenuto in fatto

l.- li Pretore di Latina, dopo aver emesso un provvedimento di urgenza con il quale ordinava alla Camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura di Latina di sospendere la pubblicazione sul bollettino dei protesti di un assegno bancario emesso da Giancarlo Provenzano, all'esito del giudizio di merito ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 12 della legge 12 giugno 1973, n. 349 (rectius: dell'art. 3 della legge 12 febbraio 1955, n. 77, nel testo modificato dall'art. 12 della legge 12 giugno 1973, n. 349), nella parte in cui non prevede per il traente di un assegno bancario la possibilità di adire il Presidente del Tribunale per ottenere la cancellazione del proprio nome dal bollettino dei protesti.

Il giudice a quo ravvisa una irragionevole disparità di trattamento tra il traente di una cambiale o di un vaglia cambiario, il quale, ove adempia l'obbligazione cambiaria nei cinque giorni successivi al protesto, può esperire il procedimento previsto dalla disposizione impugnata, ottenendo in tale modo la sospensione della pubblicazione o la cancellazione del proprio nome nel bollettino dei protesti, ed il traente di un assegno bancario al quale tale possibilità non é concessa. Questa diversità di disciplina sarebbe irragionevole per il giudice a quo anche in relazione al fatto che in entrambi i casi il protesto assolverebbe alla medesima funzione di sanzione civile per il mancato pagamento, mentre la conseguente pubblicazione nell'apposito bollettino avrebbe il carattere di sanzione accessoria.

Da tale differente disciplina risulterebbe altresì violato l'art. 24 della Costituzione, dal momento che non é consentito al traente di un assegno bancario protestato di agire in giudizio a difesa dei propri diritti ed interessi legittimi.

2.- É intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, chiedendo, in primo luogo, che la questione sia dichiarata inammissibile, dal momento che non risulterebbero indicati i termini concreti della fattispecie oggetto del giudizio a quo in relazione alla fattispecie assunta a tertium comparationis. La disposizione impugnata, infatti, prevede la possibilità di chiedere la cancellazione dei nome dal bollettino dei protesti sia quando il pagamento della cambiale o del vaglia cambiario venga effettuato nei cinque giorni successivi al protesto, sia quando l'istituto di credito o il pubblico ufficiale incaricato della levata dei protesto si avvedono che la stessa é avvenuta illegittimamente o erroneamente. Secondo l'Avvocatura dello Stato, il giudice a quo avrebbe dovuto specificare quale delle due ipotesi si sia verificata nel caso dedotto in giudizio.

In ogni caso, sempre ad avviso dell'Avvocatura, la questione sarebbe infondata, in quanto le situazioni comparate dal giudice a quo sarebbero disomogenee. Infatti, mentre la cambiale assolverebbe alla funzione di strumento di credito, l'assegno bancario, invece, sarebbe essenzialmente un mezzo di pagamento, la cui emissione sarebbe basata sul presupposto che presso il trattario esistano, al momento della emissione stessa, fondi equivalenti a quelli indicati nel titolo. Inoltre, mentre il mancato pagamento di una cambiale o di un vaglia cambiario non determinerebbe altra conseguenza che la levata del protesto ed eventualmente la successiva esecuzione, l'emissione di un assegno senza copertura, invece, darebbe luogo, oltrechè alla responsabilità cambiaria, alla responsabilità penale. In altre Parole, conclude l'Avvocatura dello Stato, la posizione del debitore cambiario e quella del traente di un assegno senza copertura non sono in alcun modo assimilabili ed anzi la loro assimilazione ai fini della facoltà prevista dalla disposizione impugnata si tradurrebbe in un ingiustificato ed inconcepibile beneficio per il secondo.

Quanto alla pretesa violazione dell'art. 24 della Costituzione, l'Avvocatura osserva che in assenza di una norma che attribuisce ad un soggetto una posizione di diritto sostanziale, manca il presupposto stesso perchè possa porsi un problema di diritto alla tutela giurisdizionale.

Considerato in diritto

1. -Il giudice a quo dubita della legittimità costituzionale dell'art. 12 della legge 12 giugno 1973, n. 349 (rectius: dell'art. 3 della legge 12 febbraio 1955, n. 77, come emendato dall'art. 12 della legge 12 giugno 1973, n. 349), nella parte in cui non consente al traente di un assegno bancario protestato di adire il Presidente del Tribunale per ottenere la cancellazione del proprio nome dal bollettino dei protesti. A suo avviso, tale omissione costituirebbe una violazione del principio di eguaglianza (art. 3 della Costituzione), in quanto stabilirebbe un'irragionevole differenziazione rispetto al debitore cambiario, al quale è consentita l'anzidetta cancellazione qualora paghi, nel termine di cinque giorni dal protesto, l'importo della relativa obbligazione cambiaria.

Inoltre, sempre ad avviso del giudice a quo, la ricordata omissione determinerebbe una violazione dell'art. 24 della Costituzione, dal momento che ne risulterebbe compromessa la possibilità di agire in giudizio per la difesa dei propri diritti.

2.-Va previamente respinta l'eccezione di inammissibilità presentata dall'Avvocatura generale dello Stato, per la quale l'ordinanza di rimessione non chiarirebbe a sufficienza quale delle due ipotesi di cancellazione del nome del debitore dal bollettino dei protesti previste nelle disposizioni impugnate costituisca l'oggetto del giudizio sottoposto alla cognizione di questa Corte. In realtà, poichè dall'ordinanza di rimessione si evince con chiarezza che il giudizio a quo è stato instaurato dal traente di un assegno bancario protestato e poichè le argomentazioni svolte dal giudice a quo concernono essenzialmente l'asserita disparità di trattamento tra debitore cambiario e traente di un assegno bancario deve ritenersi, senza dubbio alcuno, che la questione sollevata riguardi l'ipotesi di cancellazione esperibile dal debitore che abbia adempiuto la propria obbligazione entro il termine di cinque giorni dal protesto, e non già quella relativa alla cancellazione esperibile dai pubblici ufficiali o dalle aziende di credito qualora si avvedano che alla levata del protesto si sia proceduto illegittimamente o erroneamente.

3. - La questione non è fondata, poichè, diversamente da quanto opina il giudice a quo, la posizione del debitore cambiario non è comparabile con quella del traente di un assegno bancario in ragione della diversità della funzione tipica dei due titoli di credito considerati e della differenza del regime giuridico che ne consegue.

Come è pure sottolineato nell'ordinanza di rimessione, la funzione tipica dell'assegno è quella di essere mezzo di pagamento. A questa specifica funzione sono correlate le disposizioni di legge le quali esigono che presso la banca trattaria debbano esistere fondi in misura quanto meno pari a quella recata dall'assegno emesso, non solo nel momento del paga mento, ma anche in quello dell'emissione (v. art. 1, n. 5, e art. 116, n. 3, del R.D. 21 dicembre 1933, n. 1736). A1 contrario, funzione tipica della cambiale, come del resto del vaglia cambiario, è quella di essere strumento di credito, sicchè appartiene alla sua natura giuridica di fungere come un mezzo attraverso il quale il traente si procura una disponibilità immediata a fronte dell'impegno di adempiere la relativa obbligazione in un momento successivo.

Questa netta differenza insita nella funzione tipica dei due titoli di credito, evidenziata anche dal diverso significato da assegnare all'indicazione della data nell'uno e nell'altro titolo, induce a concludere che l'ipotizzata estensione al traente di un assegno della disciplina prevista per il debitore cambiario in ordine alla cancellazione del proprio nome dal bollettino dei protesti nel caso di pagamento del proprio debito entro cinque giorni dal protesto non potrebbe trovare nell'art. 3 della Costituzione una congrua base di giustificazione. Non è, infatti, irragionevole che il legislatore, nella sua discrezionale valutazione, abbia predisposto una disciplina differenziata per le due distinte ipotesi e non abbia, quindi, esteso al traente di un assegno bancario la possibilità di richiedere la predetta cancellazione, ritenendo necessario che in quest'ultimo caso i fondi necessari per il pagamento debbano essere disponibili presso il trattario sin dal momento dell'emissione dell'assegno.

Nè questa conclusione può essere invalidata dal rilievo formulato dal giudice a quo, in base al quale l'omogeneità delle ipotesi considerate deriverebbe dal fatto che nell'uno e nell'altro caso l'inadempimento del debito è sanzionato civilmente dalla levata del protesto. Questo rilievo, infatti, oltre a non superare l'ostacolo relativo alla sostanziale diversità di funzione fra la cambiale e l'assegno bancario, non tiene conto del fatto che anche il regime sanzionatorio dell'una e dell'altro, ove sia considerato nella sua globalità, rivela differenze profonde che concorrono a confermare la conclusione raggiunta. Mentre, nel caso dell'assegno bancario, la mancanza di disponibilità di fondi al momento dell'emissione costituisce un illecito penale, al contrario il mancato adempimento delle obbligazioni assunte con la cambiale o con il vaglia cambiario non è sanzionato penalmente. Questa significativa differenza relativa al regime sanzionatorio conferma la non irragionevolezza della scelta compiuta dal legislatore circa la non estensione al traente di un assegno bancario della facoltà di chiedere la cancellazione del proprio nome dal bollettino dei protesti riconosciuta al debitore cambiario.

La conclusione raggiunta toglie qualsiasi base alla pretesa lesione dell'art. 24 della Costituzione, non potendosi a ragione prospettare una tale violazione in difetto di una norma che riconosca una situazione di diritto sostanziale (v., ad esempio, sentt. nn. 8 del 1962, 286 del 1974, 71 e 98 del 1979, 164 e 186 del 1982, 185 del 1986, nonchè, di recente, ordd. nn. 563 del 1987, 205 del 1988, e 141 del 1990).

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 12 della legge 12 giugno 1973, n. 349 (rectius: dell'art. 3 della legge 12 febbraio 1955, n. 77, come modificato dall'art. 12 della legge 12 giugno 1973, n. 349) sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, dal Pretore di Latina con l'ordinanza indicata in epigrafe.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 26/06/90.

Francesco SAJA, PRESIDENTE

Antonio BALDASSARRE, REDATTORE

Depositata in cancelleria il 05/07/90.