Sentenza n. 316 del 1990

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SENTENZA N.316

ANNO 1990

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

Prof. Francesco SAJA, Presidente

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO

Dott. Aldo CORASANITI

Prof. Giuseppe BORZELLINO

Dott. Francesco GRECO

Prof. Renato DELL'ANDRO

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

Prof. Antonio BALDASSARRE

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

Avv. Mauro FERRI

Prof. Luigi MENGONI

Prof. Enzo CHELI

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 11, commi 3° e 4o, del d.l. 23 dicembre 1976, n. 857 (Modifica della disciplina dell'assicurazione obbligatoria della responsabilità civile derivante dalla circolazione dei veicoli a motore e dei natanti) convertito con modificazioni nella legge 26 febbraio 1977, n. 39 promosso con ordinanza emessa il 4 maggio 1989 dal tribunale di Roma nel procedimento civile vertente tra la s.p.a. Sara Assicurazioni e Testa Paolo ed altra, iscritta al n. 85 del registro ordinanze 1990 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 10, prima serie speciale, dell'anno 1990.

Visto l'atto di costituzione della s.p.a. Sara Assicurazioni nonchè l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 22 maggio l99() il Giudice relatore Luigi Mengoni;

uditi gli avvocati Renato Scognamiglio e Alessandro Pace per la s.p.a. Sara Assicurazioni e l'Avvocato dello Stato Paolo Di Tarsia di Belmonte per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1. - Con delibera del Ì ottobre 1984 il Comitato del Fondo di garanzia per le vittime della strada provvide, ai sensi dell'art. 11 del d.l. 25 dicembre 1976, n. 857, convertito nella legge 26 febbraio 1977, n. 39, a ripartire tra dodici imprese autorizzate a esercitare l'assicurazione della responsabilità civile derivante dalla circolazione degli autoveicoli il portafoglio e il personale della s.p.a. La Colombo - Compagnia di assicurazione e riassicurazioni in liquidazione coatta amministrativa, assegnando alla s.p.a. SARA Assicurazioni 870 contratti e un dipendente nella persona di Paolo Testa. Quest'ultimo, avendo l'impresa assegnataria rifiutato di prenderlo in servizio, otteneva dal Pretore di Roma un provvedimento ex art. 700 che ordinava alla società SARA di assumerlo con inquadramento al medesimo livello contrattuale raggiunto presso la società La Colombo.

Nel corso dei giudizio di appello promosso dalla società SARA contro la sentenza di accoglimento della domanda, pronunciata dal Pretore nel successivo giudizio di merito, il Tribunale di Roma, con ordinanza del 4 maggio 1989, pervenuta alla Corte costituzionale il 20 febbraio 1990, ha sollevato, in riferimento agli artt. 23 e 41 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 11, terzo e quarto comma, del citato d.l. n. 857 del 1976.

Secondo il giudice a quo, la norma impugnata viola la libertà di iniziativa economica privata perchè - a differenza delle figure di assunzione obbligatoria esaminate da questa Corte nelle sentenze nn. 38 del 1960, 55 del 1961 e 279 del 1983 - "il vincolo imposto alle imprese con il provvedimento di cui ai comma terzo e quarto dell'art. il citato incide direttamente sulla loro organizzazione economica indipendentemente dalle scelte imprenditoriali sulla dimensione dell'azienda". Gli oneri che ne derivano non possono ritenersi compensati dall'attribuzione di una quota del portafoglio dell'impresa posta in liquidazione, sia perchè nel caso di trasferimento coattivo non ne é garantita la conservazione mediante il blocco biennale del portafoglio, disposto solo nell'ipotesi di trasferimento convenzionale, sia perchè, non essendo stabilito alcun parametro di rapporto tra i due elementi che vengono ripartiti, é ben possibile che la quota di personale assegnata risulti esuberante rispetto al numero di contratti di assicurazione trasferiti.

Per altro verso, in ragione della mancata previsione di criteri di determinazione dell'onere imposto alle imprese, la norma impugnata violerebbe la riserva di legge statuita dall'art. 23 in materia di prestazioni obbligatorie. Si esclude che i termini della questione possano mutare pur se si tenga conto degli arti. 25 e 26 del d.P.R. 16 gennaio 1981, n. 45, che dettano regole per l'applicazione dell'art. 11 della legge in esame. Tali regole non possono considerarsi attuative del principio costituzionale sia per la loro natura di norme secondarie, sia perchè non sono idonee a "delimitare secondo criteri prestabiliti l'entità dell'onere economico imposto alle imprese".

2.- Nel giudizio davanti alla Corte si é costituita l'appellante soc. SARA Assicurazioni, aderendo alle argomentazioni dell'ordinanza di rimessione e sviluppandole con ulteriori considerazioni.

Nell'imminenza dell'udienza di discussione la difesa della soc. SARA ha depositato un'ampia memoria dove si rileva, tra l'altro, che in nessun altro settore economico la tutela dei livelli di occupazione in caso di fallimento di un'impresa assume la forma dell'imponibile di mano d'opera a carico delle imprese sane della medesima categoria merceologica, forma gravemente lesiva della libertà di organizzazione dell'impresa. Il plus di coazione imposto alle imprese assicuratrici dalla disciplina impugnata, comportante obblighi di assunzione in soprannumero, non é giustificato, ad avviso dell'appellante, dal trasferimento del portafoglio, il quale può rivelarsi inconsistente o comunque di consistenza tale da poter essere amministrato dal personale già assunto.

3.- É- intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato dall'Avvocatura dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata infondata.

L'Avvocatura sostiene che la norma impugnata, sebbene sia formalmente una figura di "imponibile di mano d'opera", sostanzialmente contempla un obbligo analogo all'istituto delle assunzioni obbligatorie. La mancanza di un rapporto predeterminato tra il numero delle assunzioni imposte e le necessità effettive dell'impresa di assumere personale (trattandosi di assunzioni in soprannumero) é compensata da meccanismi correttivi quali il criterio di proporzionalità dei numero delle assunzioni all'ammontare dei premi dei contratti assegnati e il criterio della gradualità delle assunzioni secondo un programma concordato col commissario liquidatore. Questi criteri, ad avviso dell'interveniente, realizzano "un equo contemperamento degli interessi in gioco" nell'ambito di un intervento legislativo legittimato dal terzo comma dell'art. 41 Cost., e d'altra parte, in quanto sviluppano una indicazione sufficientemente precisa contenuta nella norma impugnata, non possono dirsi disposti senza l'osservanza della riserva di legge stabilita dall'art. 23.

Considerato in diritto

1. - Il Tribunale di Roma ritiene contrastante con gli artt. 3 e 41 della Costituzione l'art. 11, terzo e quarto comma, del d.l. 25 dicembre 1976, n. 857, convertito nella legge 26 febbraio 1977, n. 39, <nella parte in cui prevede a carico delle compagnie assicuratrici cessionarie di quote del portafoglio dell'impresa in liquidazione coatta amministrativa l'obbligo di assumere parte del personale dell'impresa stessa>.

2. - La questione non è fondata.

Data l 'obbligatori età dell'assicurazione per responsabilità civile derivante dalla circolazione degli autoveicoli, in caso di liquidazione coatta amministrativa di un'impresa operante in questo ramo è necessario provvedere a garantire la continuità dei contratti stipulati. A tale esigenza risponde la norma di cui al terzo comma dell'art. 11 del decreto n. 857: qualora il commissario liquidatore non abbia potuto procedere al trasferimento convenzionale del portafoglio ai sensi dei comma precedenti, la parte del portafoglio costituita dai contratti relativi all'assicurazione R.C.A. è, con provvedimento del comitato del <Fondo di garanzia per le vittime della strada>, trasferita di autorità ad altre imprese autorizzate ad esercitare la detta assicurazione, fra le quali viene altresì ripartito il personale già dipendente dall'impresa in liquidazione, escluso quello assunto nei dodici mesi anteriori alla data del decreto di liquidazione.

Secondo il giudice a quo le norme denunciate, in quanto omettono di indicare criteri per la determinazione quantitativa delle assunzioni di personale che il Comitato di garanzia ha il potere di imporre alle imprese cessionarie del portafoglio, sarebbero lesive della riserva di legge stabilita dall'art. 23 Cost . in materia di prestazioni obbligatorie. In realtà l 'art . 11 inesame-sebbene si preoccupi esplicitamente, mediante il richiamo dei criteri indicati nell'art. 88 del testo unico approvato con d.P.R. 13 febbraio 1959, n. 449, di regolare soltanto il potere di individuazione delle imprese assegnatarie del portafoglio, in guisa che ne sia garantita la capacità di assorbimento-, consente di argomentare anche un criteriolimite del potere impositivo delle assunzioni di personale. La <ripartizione del personale dell'impresa in liquidazione>, prevista dal quarto comma in connessione con la <ripartizione del portafoglio> prevista dal terzo, implica chiaramente una regola di proporzionalità del numero dei lavoratori trasferiti all'ammontare dei premi dei contratti assegnati a ciascuna impresa: regola esplicitata nell'art. 26 del regolamento approvato con d.P.R. 16 gennaio 1981, n. 45, al quale, dato il carattere relativo della riserva di legge di cui all'art. 23 Cost. (cfr. sentenza n. 127 del 1988), ben poteva essere rimesso lo svolgimento di una direttiva già implicita nella legge. Detta regola (parallela al criterio di proporzione del numero dei contratti assegnati all'ammontare dei premi acquisiti dall'impresa nel ramo R.C.A.) è sufficiente a escludere che la quantità della prestazione imposta possa essere fissata in modo arbitrario. Giova ricordare in proposito che dell'organo titolare del potere impositivo fanno parte tre rappresentanti delle imprese assicuratrici designati dall'associazione di categoria più rappresentativa sul piano nazionale (art. 37 del d.P.R. 24 novembre 1970, n. 973), e inoltre che l'esercizio del potere è soggetto al controllo del giudice amministrativo.

4. - Più complesso è l'esame della censura di incostituzionalità in relazione all'art. 41, primo comma, della Costituzione.

Sebbene la questione sia formulata con riferimento esclusivo alla norma del quarto comma dell'art. 11, il giudice remittente coinvolge nell'impugnativa anche il terzo comma, giustamente reputando che le due norme formano un insieme inscindibile, tale che simul stabunt aut simul cadent. Ma proprio da questa connessione scaturisce un criterio ermeneutico contrastante con la valutazione che riconduce il quarto comma al concetto di imponibile di mano d'opera, traendone argomento per invocare, a sostegno della denunciata incostituzionalità, la sentenza n. 78 del 1958 che ha dichiarato costituzionalmente illegittimo il decreto del 1947 sull'imponibile di mano d'opera in agricoltura.

In senso stretto e proprio l'imponibile di mano d'opera è negativamente qualificato dalla mancanza di correttivi che valgano a bilanciare o temperare in qualche modo l'onere economico derivante all'impresa dall'obbligo di assumere lavoratori in soprannumero. Nel caso di cui si controverte, invece, l'obbligo di assunzione fuori organico è compensato dall'incremento del volume di affari portato dalla contestuale cessione di una quota proporzionale del portafoglio dell'impresa in liquidazione, e in questa acquisizione esso trova il suo fondamento giuridico giusta il principio dell'art. 2112, primo comma, cod. civ. Invero, nell'ipotesi di trasferimento coattivo il personale dell'impresa in liquidazione, i cui rapporti di lavoro si risolvono di diritto alla data del provvedimento di liquidazione (art. 5 del d.l. n. 576 del 1978), non è riassunto direttamente dalle imprese cessionarie, bensì dal commissario liquidatore, il quale provvede poi a trasferirlo gradualmente alle imprese cessionarie secondo le quote di ripartizione stabilite dal comitato del Fondo di garanzia (artt. 10 del d.l. n. 857 del 1976 e 23 e 26 del d.P.R. n. 75 del 1981).

Pertanto, qualora non si contesti, come in effetti non viene contestata, la legittimità costituzionale della norma di cui al terzo comma dell'art. 11 del d.l. n. 857, una censura autonoma di costituzionalità del quarto comma sotto il profilo dell'art. 41 Cost. non potrebbe fondarsi se non sulla dimostrazione che il limite imposto alla libertà di organizzazione dell'impresa a tutela dell'utilità sociale comporta un aggravio eccessivo del costo del lavoro tale da pregiudicare gli equilibri finanziari di bilancio. Ma in contrario va rilevato che l'onere derivante alle imprese cessionarie dall'obbligo di accollarsi una quota dei contratti di lavoro con cui il commissario ha riassunto il personale già dipendente dall'impresa in liquidazione (eccettuati i dirigenti), oltre che contenuto entro la proporzione con l'ammontare dei premi dei contratti di assicurazione a ciascuna assegnati, è ridotto: a) dall'esclusione, in deroga all'art. 2112 cod. civ., del personale assunto nei dodici mesi antecedenti il provvedimento di liquidazione; b) dalla gradualità delle dismissioni da parte del commissario, programmata di concerto con le imprese cessionarie: benchè prevista dalla legge in funzione delle esigenze della liquidazione, essa giova indirettamente anche alle imprese destinatarie consentendo la compensazione almeno parziale delle nuove assunzioni col turn over maturato nel frattempo; c) infine dall'azzeramento dell'anzianità precedentemente raggiunta dai lavoratori alle dipendenze dell'impresa in liquidazione, considerato che essi vengono riassunti dal commissario col trattamento minimo stabilito dal contratto collettivo di categoria per la qualifica spettante.

5. -Si obietta che, non essendo previsto, diversamente dal caso di trasferimento convenzionale, il blocco biennale delle disdette da parte degli assicurati, le quote di portafoglio assegnate possono risultare inconsistenti o comunque di consistenza tale da poter essere amministrate dal personale in organico.

Alla prima parte dell'obiezione si può rispondere anzitutto che le imprese cessionarie devono imputare a se stesse la mancata fruizione del blocco delle disdette, previsto dall'art. 2 del d.l. n. 576 del 1978 come incentivo al trasferimento consensuale; in secondo luogo che, se il paventato recesso degli assicurati (con effetto, comunque, solo alla scadenza dei contratti in corso) si verificasse con dimensioni tali da intaccare significativamente la consistenza della quota di mercato attribuita, sarebbe giustificato il ricorso alle procedure di licenziamento per riduzione del personale, il quale colpirà in prima linea i lavoratori provenienti dall'impresa posta in liquidazione, avendo essi perduto l'anzianità raggiunta alle dipendenze dell'originario datore di lavoro.

La seconda parte dell'obiezione sottolinea nelle norme impugnate una remora legale all'aumento dei carichi o dei ritmi di lavoro del personale già occupato analoga alle limitazioni del lavoro straordinario, la cui legittimità, in quanto strumenti di lotta contro la disoccupazione, non può essere contestata.

Si obietta ancora che in nessun altro settore economico, in caso di crisi occupazionale determinata dal fallimento di un'impresa, la libertà organizzativa delle altre imprese subisce una compressione così grave. In effetti nel settore dell'industria l'art. 25 della legge 12 agosto 1977, n. 675, modificato dalla legge 27 luglio 1979, n. 301, impone alle imprese della medesima categoria merceologica soltanto l'obbligo di comunicare agli organi pubblici del collocamento il numero e la specie dei posti disponibili nei loro organici ai fini dell'attivazione di un sistema di avviamento privilegiato dei lavoratori dipendenti dalle imprese in crisi o fallite. Ma occorre aggiungere che in favore dei lavoratori in mobilità di questo settore è istituita la Cassa integrazione guadagni, il cui finanziamento grava in misura prevalente sulle imprese, mentre tale forma previdenziale non è praticata nel settore del credito e delle assicurazioni.

Più in generale, e conclusivamente, va rilevato che l'obbligatorietà dell'assicurazione della responsabilità civile derivante dalla circolazione degli autoveicoli accentua fortemente l'inerenza dell'interesse pubblico alle imprese autorizzate ad esercitarla, e perciò giustifica l'assoggettamento dell'esercizio del diritto d'impresa a limiti più penetranti, a salvaguardia non solo dell'interesse alla continuità dei contratti di assicurazione nel caso di liquidazione coatta di un'impresa, ma anche dell'interesse di conservazione dei livelli occupazionali.

Tali limiti sono corrispettivi allo specifico vantaggio che a queste imprese è procurato dall'obbligo imposto ai proprietari di autoveicoli di assicurarsi presso di esse.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 11, terzo e quarto comma, del decreto legge 23 dicembre 1976, n. 857, convertito nella legge 26 febbraio 1977, n. 39 (Modifica della disciplina dell'assicurazione obbligatoria della responsabilità civile derivante dalla circolazione dei veicoli a motore e dei natanti), sollevata, in riferimento agli artt. 23 e 41 della Costituzione, dal Tribunale di Roma con l'ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 26/06/90.

Francesco SAJA, PRESIDENTE

Luigi MENGONI, REDATTORE

Depositata in cancelleria il 05/07/90.