Ordinanza n. 287 del 1990

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ORDINANZA N.287

ANNO 1990

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

Prof. Francesco SAJA, Presidente

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO

Dott. Aldo CORASANITI

Dott. Francesco GRECO

Prof. Renato DELL'ANDRO

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

Prof. Antonio BALDASSARRE

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

Avv. Mauro FERRI

Prof. Luigi MENGONI

Prof. Enzo CHELI

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 2 della legge 26 gennaio 1983, n. 18 (Obbligo da parte di determinate categorie di contribuenti dell'imposta sul valore aggiunto di rilasciare uno scontrino fiscale mediante l'uso di speciali registratori di cassa) promossi con le seguenti ordinanze:

1) ordinanza emessa l'8 luglio 1989 dalla Commissione tributaria di primo grado di Reggio Emilia sul ricorso proposto da Di Luca Girolamo contro l'Intendenza di finanza di Reggio Emilia, iscritta al n. 628 del registro ordinanze 1989 e pubblicata sulla Gazzetta della Repubblica n. 51, prima serie speciale, dell'anno 1989;

2) ordinanza emessa l'8 luglio 1989 dalla Commissione tributaria di primo grado di Reggio Emilia sul ricorso proposto da Serri Giovanni contro l'Intendenza di finanza di Reggio Emilia, iscritta al n. 629 del registro ordinanza 1989 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica, n. 51, prima serie speciale, dell'anno 1989.

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 7 marzo 1990 il Giudice relatore Vincenzo Caianiello.

Ritenuto che nel corso di due giudizi proposti avverso la chiusura (rectius: la sospensione delle licenze) di esercizi commerciali, disposta in conseguenza di più violazioni dell'obbligo di emissione dello scontrino fiscale da parte degli esercenti, la Commissione tributaria di primo grado di Reggio Emilia, con due ordinanze di identico contenuto emesse l'8 luglio 1989, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 2 della legge 26 gennaio 1983 n. 18 (Obbligo da parte di determinate categorie di contribuenti dell'imposta sul valore aggiunto di rilasciare uno scontrino fiscale mediante l'uso di speciali registratori di cassa), per contrasto con l'art. 3 della Costituzione, perchè, a differenza di quanto previsto dalla disciplina relativa alla ricevuta fiscale, la norma impugnata non reca la punibilità del destinatario dello scontrino fiscale per la violazione dell'obbligo di conservazione dello stesso e non prevede che il commerciante trasgressore sia sentito personalmente prima dell'emissione del provvedimento sanzionatorio consistente nella sospensione della licenza;

che, ad avviso del giudice a quo, la diversità di trattamento tra le due fattispecie non si giustificherebbe perchè, nei casi di omissione o irregolare rilascio delle ricevute o degli scontrini fiscali, si verterebbe in situazioni complementari tra di loro, come è dimostrato dalla previsione dell'art. 5 del d.l. 16 aprile 1987, n. 142, che consente l'opzione per il rilascio di scontrino o ricevuta fiscale; che, inoltre, per effetto della norma denunciata si avrebbe una limitazione del diritto di difesa in violazione dell'art. 24 della Costituzione, perchè colui che emette lo scontrino fiscale non può opporre agli agenti accertatori la testimonianza del cliente, per la mancanza di una norma che, così come avviene nelle ipotesi di rilascio di ricevuta fiscale, lo coinvolga nel sistema sanzionatorio; che non si sono costituite le parti private;

che il Presidente del Consiglio dei ministri, intervenuto in entrambi i giudizi, ha chiesto che la questione sia dichiarata in parte inammissibile e, comunque, infondata;

che, secondo la difesa dello Stato, il giudice a quo, sottoponendo al sindacato della Corte l'intero art. 2 della legge n. 18 del 1983 senza specificazione delle singole disposizioni, mira ad ottenere una pronuncia di carattere additivo sotto un duplice profilo: della introduzione di una sanzione pecuniaria a carico di coloro che non richiedono o non conservano lo scontrino fiscale-così com'è previsto per la ricevuta fiscale- e della introduzione di un onere di previa audizione del trasgressore nel corso del procedimento amministrativo di sospensione della licenza commerciale;

che, ad avviso dell'interveniente, la questione sarebbe per il primo profilo inammissibile, in quanto l'obbligo di accettare lo scontrino fiscale e di conservarlo per un breve tratto di tempo e di spazio già esisterebbe a carico del destinatario, dovendosi ritenere che costituiscano illeciti sanzionati sia il rifiuto della presa in consegna dello scontrino fiscale emesso ed offerto, sia il consapevole concorso del destinatario nella mancata emissione dello stesso; che, a sostegno della eccezione di inammissibilità, l'Avvocatura generale dello Stato afferma altresì che gli obblighi strumentali di tenuta, redazione e conservazione di documenti sono posti dal legislatore a presidio di interessi pubblici e non per rafforzare il diritto di difesa dell'imprenditore commerciale ;

che, nel merito, e relativamente ad entrambi i profili, la stessa Avvocatura ritiene che non sia giustificato elevare a tertium comparationis la normativa particolare relativa alla ricevuta fiscale e che il diritto di difesa non subisca limitazioni per effetto dell'assenza di un obbligo specifico, a carico dei destinatari degli scontrini, di <esibire> il documento, sia perchè sussiste sempre la possibilità di autodifesa del trasgressore in sede di verbalizzazione della infrazione, sia perchè la censura si riferisce ad un'empirica possibilità di addurre circostanze in una sede pre-giudiziaria, donde la infondatezza della questione.

Considerato che le ordinanze di rimessione prospettano la medesima questione e che, pertanto, i giudizi possono essere riuniti per essere decisi con unica pronuncia;

che, in relazione all'oggetto dei giudizi a quibus, occasionati dalla impugnativa di ordinanze con le quali è stata disposta, ai sensi del quarto e del quinto comma dell'art. 2 della legge 26 gennaio 1983, n. 18, la sospensione di licenze di esercizi commerciali, la questione di legittimità costituzionale, pur proposta nei confronti dell'intero art. 2 citato, deve intendersi necessariamente circoscritta al quarto ed al quinto comma dello stesso art. 2, perchè nell'ambito di questo sono soltanto dette disposizioni a costituire il presupposto normativo in base al quale sono state emanate le ordinanze di sospensione delle licenze, oggetto dei giudizi a quibus;

che, pertanto, in relazione a tale oggetto la prospettata questione è irrilevante per la parte in cui essa investe il procedimento di irrogazione delle pene pecuniarie in caso di mancata emissione dello scontrino fiscale, procedimento disciplinato dal primo, secondo e terzo comma dell'art. 2 citato, di cui si è fatta applicazione ai fini della irrogazione delle pene pecuniarie, cioè di un antecedente che, pur costituendo il presupposto necessario per la sospensione della licenza, è ormai divenuto inoppugnabile in sede di irrogazione di questa ulteriore misura che consegue a tre violazioni già in precedenza accertate e autonomamente definite, per cui il relativo procedimento non può più costituire oggetto di sindacato; che è l'ulteriore autonoma questione di legittimità costituzionale ad investire direttamente le disposizioni (commi quarto e quinto dell'art. 2 cit.) che disciplinano il procedimento, oggetto di sindacato nei giudizi a quibus, di irrogazione della misura della sospensione della licenza, per chè con questa questione si lamenta che tali disposizioni non prevedono l'onere di audizione del trasgressore prima della irrogazione di detta misura, così come-ad avviso del giudice rimettente-sarebbe invece prescritto per le ipotesi soggette al regime della ricevuta fiscale, con conseguente lesione del principio di uguaglianza; che detta questione è manifestamente infondata, perchè non può elevarsi a tertium comparationis la disciplina relativa a quest'ultimo regime che ha una sua peculiare fisionomia connessa al suo carattere di maggior rigore rispetto a quella propria dello scontrino fiscale, tanto è vero che le modifiche apportate dal decreto legge 1° ottobre 1982, n. 697 al regime predetto hanno aggiunto, alla originaria previsione della misura della sospensione in dipendenza di <tre distinte violazioni... nel corso di un quinquennio> (disciplina, questa, omologa rispetto a quella relativa allo scontrino fiscale, dettata dal quarto comma dell'art. 2 della legge n. 18 del 1983), l'ulteriore concorrente ipotesi di irrogazione della medesima misura <qualora sia stato notificato avviso di irrogazione di pena pecuniaria...>, e quindi anche per una sola violazione, per cui solo per tale seconda ipotesi, nella quale la irrogazione è lasciata alla valutazione discrezionale dell'autorità amministrativa, è prevista la previa audizione dell'interessato;

che la supposta identità delle due situazioni non è affatto confermata -come invece si sostiene nelle ordinanze di rimessione-dal legislatore, nel momento in cui ha riconosciuto all'esercente il diritto di opzione nel rilascio di uno dei due documenti fiscali; che, infatti, sulla base (non già dell'art. 5 del d.l. 16 aprile 1987, n. 142, pur richiamato dal giudice a quo, ma non convertito in legge, bensì) del testo dell'art. 5 del d.l. 4 agosto 1987, n. 326-come risultante dalla sua conversione in legge (legge 3 ottobre 1987, n. 403) ed altresì dal suo confronto con quello emanato dal Governo, che è diverso da quello poi convertito-deve escludersi che si tratti di una opzione generalizzata; che deve, invece, ritenersi che si sia in presenza della possibilità per alcune categorie di contribuenti, già assoggettate all'obbligo dello scontrino fiscale, di optare, ove lo ritengano più conveniente, per il regime della ricevuta fiscale, con tutte le conseguenze che questo assoggettamento comporta, dal che non è consentito dedurre che si sia in presenza di regimi identici che, come tali, esigano una identità di disciplina per quanto concerne il procedimento di irrogazione della misura della sospensione della licenza; che, invece, si tratti di regimi sostanzialmente differenti, tali da giustificare la censurata diversità di disciplina, risulta proprio dalla necessità di una formale opzione da parte del contribuente per il passaggio dall'uno all'altro (art. 5, secondo comma, del d.l. n. 326 del 1987, convertito con modificazioni nella legge n. 403 del 1987).

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

1) dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'art. 2 della legge 26 gennaio 1983, n.18 (Obbligo da parte di determinate categorie di contribuenti dell'imposta sul valore aggiunto di rilasciare uno scontrino fiscale mediante l'uso di speciali registratori di cassa), nella parte in cui non prevede un'autonoma sanzione per il destinatario dello scontrino fiscale che non riceva o non conservi il documento per un breve tratto di tempo e di spazio, sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, dalla Commissione tributaria di primo grado di Reggio Emilia con le ordinanze indicate in epigrafe;

2) dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 2 citato, nella parte in cui non prevede l'onere di audizione del trasgressore prima della irrogazione della sanzione della sospensione della licenza commerciale, sollevata, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, dalla Commissione tributaria di primo grado di Reggio Emilia con le medesime ordinanze.

Così deciso in Roma nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 11/06/90.

Francesco SAJA, PRESIDENTE

Vincenzo CAIANIELLO, REDATTORE

Depositata in cancelleria il 14/06/90.