Ordinanza n. 269 del 1990

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ORDINANZA N.269

ANNO 1990

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

Dott. Francesco SAJA, Presidente

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO

Dott. Aldo CORASANITI

Prof. Giuseppe BORZELLINO

Dott. Francesco GRECO

Prof. Renato DELL'ANDRO

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

Prof. Antonio BALDASSARRE

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

Avv. Mauro FERRI

Prof. Luigi MENGONI

Prof. Enzo CHELI

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 254-bis e 279 del codice di procedura penale (abrogato), promosso con ordinanza emessa il S dicembre 1989 dal Giudice istruttore presso il Tribunale di Napoli nel procedimento penale a carico di Cecco Giuseppe, iscritta al n. 70 del registro ordinanze 1990 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 9, prima serie speciale, dell'anno 1990.

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 4 aprile 1990 il Giudice relatore Mauro Ferri.

Ritenuto che con l'ordinanza in epigrafe il Giudice istruttore presso il Tribunale di Napoli ha sollevato questione di legittimità costituzionale degli artt. 254-bis e 279 del codice di procedura penale del 1930, in riferimento all'art. 97 della Costituzione, ritenendo che entrambi contrastino con il principio di speditezza del processo penale (implicito nel più vasto concetto di <buon andamento della amministrazione>) nella parte in cui consentono all'imputato la reiterazione di istanze per la concessione della libertà provvisoria o degli arresti domiciliari, in assenza di nuovi elementi di giudizio, e senza che all'Autorità giudiziaria sia consentito pronunciarsi in ordine alla loro ammissibilità.

Considerato che la violazione del principio del buon andamento del l'amministrazione non può essere invocata se non quando si assuma l'arbitrarietà o la manifesta irragionevolezza della disciplina impugnata rispetto al fine indicato dall'art. 97, primo comma, della Costituzione;

che nel caso in esame, al contrario, non soltanto è da escludere che il legislatore abbia operato scelte arbitrarie o irragionevoli, ma anzi la soluzione adottata risponde al fine di un'effettiva integrale difesa di un diritto fondamentale del cittadino, qual è quello relativo alla libertà personale, in aderenza ai principi garantiti dagli artt. 13 e 24 della Costituzione;

che, peraltro, la soluzione auspicata dal giudice a quo, (d'inammissibilità delle istanze defatigatorie) non appare in alcun modo idonea all'efficienza del procedimento poichè, una volta compiuta la delibazione dell'istanza in ordine alla presenza o meno di nuovi elementi di giudizio, diventa irrilevante, ai fini della speditezza, la formula con la quale il mancato accoglimento venga espresso, senza contare che l'aderenza ai principi processuali in ordine alla qualifica dei provvedimenti del giudice esclude che un accertamento sul merito della questione sia definibile come una pronuncia sull'ammissibilità dell'istanza, che in quanto tale sarebbe pregiudiziale all'esame del merito;

che pertanto la questione deve essere dichiarata manifestamente in fondata.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n.87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 254-bis e 279 del codice di procedura penale del 1930, sollevata, in riferimento all'art. 97 della Costituzione, dal Giudice istruttore presso il Tribunale di Napoli con l'ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 23/05/90.

Francesco SAJA, PRESIDENTE

Mauro FERRI, REDATTORE

Depositata in cancelleria il 25/05/90.