Sentenza n. 244 del 1990

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SENTENZA N.244

ANNO 1990

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

Prof. Giovanni CONSO, Presidente

Prof. Ettore GALLO

Dott. Aldo CORASANITI

Prof. Giuseppe BORZELLINO

Dott. Francesco GRECO

Prof. Renato DELL'ANDRO

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

Prof. Antonio BALDASSARRE

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

Avv. Mauro FERRI

Prof. Luigi MENGONI

Prof. Enzo CHELI

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 2 della legge 2 maggio 1983, n. 175 (Interpretazione autentica dell'articolo 24 e integrazione e modifica di norme della legge 20 settembre 1980, n. 576, concernente la riforma della previdenza forense), modificativo dell'art. 10 della legge 20 settembre 1980, n. 576 (Riforma del sistema previdenziale forense), promosso con ordinanza emessa il 22 settembre 1989 dal Pretore di Firenze nel procedimento civile vertente tra Torricelli Raffaello ed altri e la Cassa di previdenza ed assistenza avvocati e procuratori, iscritta al n. 664 del registro ordinanze 1989 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 2, prima serie speciale, dell'anno 1990.

Visto l'atto di costituzione del Sig. Raffaello Torricelli ed altri, nonchè l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 20 marzo 1990 il Giudice relatore Giuseppe Borzellino;

uditi gli avvocati Fulvio Ferlito e Paolo Soldani Benzi per Torricelli Raffaello ed altri e l'Avvocato dello Stato Luigi Siconolfi per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

Con ordinanza emessa il 22 settembre 1989 il Pretore di Firenze, nel procedimento civile vertente tra Raffaello Torricelli ed altri e la Cassa di previdenza ed assistenza avvocati e procuratori, ha sollevato questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3 e 38 della Costituzione, dell'art. 2 della legge 2 maggio 1983, n. 175 (Interpretazione autentica dell'articolo 24 e integrazione e modifica di norme della legge 20 settembre 1980, n. 576, concernente la riforma della previdenza forense), modificativo dell'art. 10 della legge 20 settembre 1980, n. 576 (Riforma del sistema previdenziale forense), nella parte in cui non fa decorrere la ridotta aliquota del 3% del contributo soggettivo obbligatorio dalla data di entrata in vigore della predetta legge n. 576 del 1980.

Secondo il giudice a quo, stante il carattere "unitario ed organico" della riforma previdenziale forense dell'80, non sarebbe razionalmente giustificato il fatto che la legge n. 175 del 1983 stabilisca termini di decorrenza diversi da quelli (anteriori) della riforma.

La maggiore aliquota del 10% (per gli anni 1980-82) verrebbe ad assumere nei loro confronti, d'altronde, una funzione meramente solidaristica. Con memoria depositata il 27 gennaio 1990 si sono costituiti i ricorrenti, sollecitando una declaratoria di illegittimità nei sensi di cui all'ordinanza di rimessione.

Con atto depositato il 25 gennaio 1990 é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, che ha eccepito l'inammissibilità della questione, per errata individuazione - si assume - dell'oggetto della censura, che resterebbe circoscritto all'art. 10 della legge n. 576 dei 1980 e non relativo all'art. 2 della successiva legge n. 175 del 1983; ed inoltre, la discrezionalità legislativa non avrebbe comportato violazione degli invocati parametri costituzionali. In subordine, l'Avvocatura ravvisa infondata, comunque, la questione.

In prossimità dell'udienza le parti private hanno presentato ulteriore memoria di conferma di quanto in precedenza osservato.

Considerato in diritto

1.1 -La legge 20 settembre 1980, n. 576 (Riforma del sistema previdenziale forense) stabilì all'art. 10 che il contributo soggettivo a carico di ciascun professionista iscritto fosse commisurato, secondo le risultanze delle rispettive dichiarazioni dell'I.R.P.E.F., al 10% del reddito prodotto nell'anno per i cespiti di più modeste entità (fino a quaranta milioni) e al 3% per la parte eccedente.

La contribuzione, dovuta anche dai pensionati che proseguono nell'esercizio della professione, era oggetto per costoro di una successiva modifica (art. 2 della legge 2 maggio 1983, n. 175), determinandosi, al compimento di cinque anni dalla continuazione dell'attività, la relativa aliquota nella misura unitaria del 3%.

1.2-Il giudice a quo ritiene che tale ultima disposizione, più favorevole, dovrebbe aver decorrenza sin dall'entrata in vigore della legge di riforma (n. 576 del 1980). In difetto, essa sarebbe irrazionale, ex art. 3 Cost., rispetto alle organiche finalità della riforma medesima, con riflessi negativi anche sulle garanzie di adeguatezza previdenziale di cui al successivo art. 38.

2.1 - L'Avvocatura dello Stato eccepisce che la censura andava rivolta all'art. 10 della legge di riforma (n. 576/1980) e non già alle modifiche intervenute con l'art. 2 della successiva legge n. 175/1983: da qui l'inammissibilità dell'incidente.

L'assunto non ha pregio: la doglianza, oggetto della fattispecie, concerne proprio la norma modificativa del 1983, nel senso che essa non è stata resa operante retroattivamente, con una saldatura-assume il remittente - indispensabile, invece, per i contenuti organici della riforma.

2.2 - La questione non è fondata.

La Corte ha più volte sottolineato, anche di recente (da ultimo, ordinanze nn. 441 del 1989, 120 del 1989), come nella regolamentazione dei trattamenti pensionistici vada riconosciuto al legislatore il potere di determinare nel tempo i benefici e le relative condizioni di accesso: situazione questa tanto più manifesta nel caso odierno, limitato, nel riferimento generale alla attuazione della riforma in discorso, ad un assai breve periodo.

Più concretamente si è voluto evitare, nel rispetto delle regole concernenti l'irretroattività della legge e proprio per la compiutezza organica che alla riforma stessa si riconosce, la fissazione di differenti momenti temporali di decorrenza a seconda di questo o quello degli interessi particolaristici in gioco (in tali sensi, sent. n. 171 del 1987).

Non risulta violato, conclusivamente, alcun principio di proporzionalità, meramente incentrata com'è la questione sui limiti temporali d'una norma della cui validità, nell'ambito dei parametri costituzionali proposti, non è, pertanto, a dubitarsi.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art . 2 della legge 2 maggio 1983, n. 175 (Interpretazione autentica dell'art. 24 e integrazione e modifica di norme della legge 20 settembre 1980, n. 576, concernente la riforma della previdenza forense), modificativo dell'art. 10 della legge 20 settembre 1980, n. 576 (Riforma del sistema previdenziale forense), sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 38 della Costituzione, dal Pretore di Firenze, con l'ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 03/05/90.

Giovanni CONSO, PRESIDENTE

Giuseppe BORZELLINO, REDATTORE

Depositata in cancelleria il 15/05/90.