Ordinanza n. 236 del 1990

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ORDINANZA N.236

ANNO 1990

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

Dott. Francesco SAJA, Presidente

Prof. Giovanni CONSO

Dott. Aldo CORASANITI

Prof. Giuseppe BORZELLINO

Dott. Francesco GRECO

Prof. Renato DELL'ANDRO

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

Prof. Antonio BALDASSARRE

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

Avv. Mauro FERRI

Prof. Luigi MENGONI

Prof. Enzo CHELI

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 4, dodicesimo comma, della legge 1° dicembre 1970, n. 898 (Disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio), come sostituito dall'art. 8 della legge 6 marzo 1987, n. 74 (Nuove norme sulla disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio), promosso con ordinanza emessa il 28 novembre 1989 dalla Corte d'appello di Trento nel procedimento civile vertente tra Mattè Gianfranco e Feichter Margit, iscritta al n. 47 del registro ordinanze 1990 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 7, prima serie speciale, dell'anno 1990.

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; udito nella camera di consiglio del 4 aprile 1990 il Giudice relatore Vincenzo Caianiello.

Ritenuto che, con ordinanza emessa il 28 novembre 1989, la Corte d'appello di Trento ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 4, comma dodicesimo, della legge 1° dicembre 1970, n. 898 (Disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio), come sostituito dall'art. 8 della legge 6 marzo 1987, n. 74 (Nuove norme sulla disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio), a tenore del quale l'appello avverso le sentenze pronunziate nei giudizi per la dichiarazione della cessazione degli effetti civili del matrimonio < è deciso in camera di consiglio>; che, ravvisata la rilevanza della questione-perchè l'appello è stato proposto mediante ricorso, depositato entro il termine di trenta giorni dalla notifica della sentenza impugnata e notificato, unitamente al pedissequo decreto presidenziale di fissazione della camera di consiglio, nel termine stabilito dal predetto decreto ma oltre quello ordinario previsto dal codice di rito - nell'ordinanza di remissione il giudice a quo osserva che la norma denunciata, introducendo il rito camerale nel grado di giudizio considerato, si porrebbe in contrasto, in primo luogo, con l'art. 101 della Costituzione, dal momento che la pur possibile deroga al principio di pubblicità delle udienze deve avvenire soltanto per esigenze obiettive e razionali che non sembrano sussistere in materia di divorzio, nella quale le ragioni di celerità dei relativi giudizi possono essere diversamente soddisfatte;

che, inoltre, sempre ad avviso del giudice rimettente, la scelta del rito camerale in luogo di quello ordinario contenzioso in un solo grado di giudizio e la mancata previsione delle norme procedurali applicabili, specie in materia probatoria, produrrebbero una limitazione del diritto di difesa, irragionevole rispetto agli altri gradi che si svolgono con il rito ordinario, con conseguente violazione degli artt. 24 e 3 della Costituzione;

che non si sono costituite in giudizio le parti private; che è invece intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, concludendo per la manifesta infondatezza della questione alla luce delle recenti pronunce di questa Corte.

Considerato che questione sostanzialmente identica è stata già dichiarata non fondata con sentenze nn. 543 e 573 del 1989 e manifestamente infondata con ordinanze nn. 587 del 1989, 120 e 212 del 1990, in riferimento agli stessi parametri ora invocati;

che, in particolare, nella sentenza n. 573 del 1989 si è affermato che < il termine previsto dall'art. 325 del codice di procedura civile deve essere osservato per il solo deposito del ricorso, e non anche per la notifica del pedissequo decreto presidenziale>, che deve ovviamente avvenire nel termine in esso indicato.

Visti gli artt. 26 della legge 11 marzo 1953, n. 87 e 9 delle norme integrative per i giudizi innanzi alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 4, dodicesimo comma, della legge 1° dicembre 1970, n. 898 (Disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio), come sostituito dall'art. 8 della legge 6 marzo 1987, n. 74 (Nuove norme sulla disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio), sollevata, in riferimento agli artt. 3, 24 e 101 della Costituzione, dalla Corte d'appello di Trento con l'ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, il 3 maggio 1990.

Francesco SAJA, PRESIDENTE

Vincenzo CAIANIELLO, REDATTORE

Depositata in cancelleria l'8/5/1990.