Ordinanza n. 232 del 1990

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ORDINANZA N.232

ANNO 1990

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

Dott. Francesco SAJA, Presidente

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO

Dott. Aldo CORASANITI

Prof. Giuseppe BORZELLINO

Dott. Francesco GRECO

Prof. Renato DELL'ANDRO

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

Prof. Antonio BALDASSARRE

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

Avv. Mauro FERRI

Prof. Luigi MENGONI

Prof. Enzo CHELI

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 425 del codice di procedura penale in relazione agli art. 70 e 222 del codice penale, promosso con ordinanza emessa il 20 dicembre 1989 dal Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Prato, nel procedimento penale a carico di Cantata Piero, iscritta al n. 56 del registro ordinanze 1990 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 8, prima serie speciale, dell'anno 1990.

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 4 aprile 1990 il Giudice relatore Ettore Gallo.

Ritenuto che, nel corso di sommaria istruttoria per i reati di atti di libidine violenta, atti osceni e molestia alle persone, commessi in Prato il 12 agosto 1989, il pubblico ministero presso il Tribunale di Prato, sulla base della denunzia della parte offesa, del rapporto dei carabinieri e delle indagini svolte dagli agenti del Corpo dei vigili urbani, contestava all'imputato i reati di cui sopra mediante ordine di comparizione del 30 agosto 1989, formalmente poi interrogandolo il 4 ottobre successivo;

che, con ordinanza sotto la stessa data, il verbale d'interrogatorio veniva depositato, e il 9 ottobre successivo, il pubblico ministero disponeva perizia psichiatrica sull'imputato, convocando il perito e proponendogli i quesiti, per rispondere ai quali il perito otteneva termine di giorni trenta;

che, depositato il relativo verbale lo stesso 9 ottobre, il 10 novembre successivo il perito presentava la perizia, da cui risultava che l'imputato era affetto, al momento dei fatti, da schizofrenia che lo rendeva totalmente incapace d'intendere e di volere, nonchè socialmente pericoloso in grado elevato;

che, dopo di ciò, il pubblico ministero chiedeva al giudice delle indagini preliminari di disporre il rinvio a giudizio, ma questi, nell'udienza preliminare, a fronte della richiesta della difesa di proscioglimento dell'imputato perchè non imputabile a causa di totale infermità mentale, sollevava questione di legittimità costituzionale dell'art. 425 del codice di procedura penale, in relazione all'art. 222 del codice penale, e con riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione;

che rilevava il giudice nell'ordinanza come l'istruttoria espletata fosse priva di qualsiasi valore probatorio nel contesto del nuovo codice di procedura, mentre il nuovo rito gli avrebbe impedito, d'altra parte, di accertare se il fatto sussistesse e se l'imputato lo avesse commesso, sicchè non sarebbe in grado di decidere se il proscioglimento debba seguire a causa della totale infermità, nel qual caso dovrebbe ordinare il ricovero del prosciolto in ospedale psichiatrico giudiziario per non meno di due anni;

che - ad avviso del giudice - tutto questo determina trattamento differenziato nei confronti dell'ipotesi in cui l'infermità mentale sopravvenga dopo la commissione dei fatti, perchè l'art.70 del codice di procedura penale prevede, invece, che, durante il tempo per l'espletamento della perizia, possano essere assunte, a richiesta delle parti, le prove che consentono di pervenire anche al proscioglimento dell'imputato sul merito;

che una siffatta situazione violerebbe non solo l'art. 3 della Costituzione, ma anche la difesa dell'imputo a, sensi del secondo comma dell'art. 24;

che è intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato dal, Avvocatura generale dello Stato, la quale ha chiesto che la questione sia dichiarata infondata, in quanto le due situazioni poste a raffronto dall'ordinanza sono concettualmente e ontologicamente diverse, sicchè non è a parlarsi di disparità di trattamento, e conseguentemente nemmeno di violazione dell'art. 24 della Costituzione.

Considerato che il giudice delle indagini preliminari non aveva competenza ad emettere alcun provvedimento, e avrebbe dovuto restituire gli atti al pubblico ministero affinchè provvedesse a, sensi del secondo comma dell'art. 242 delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale, approvate con decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271;

che ciò era conseguenza dell'essersi venuta a verificare la situazione processuale prevista dall'art. 242, primo comma, lettera a, delle norme predette, in quanto nel procedimento, in corso alla data di entrata in vigore del codice, era già stato compiuto un atto d'istruzione da parte del pubblico ministero, quale la perizia psichiatrica, il cui verbale era stato depositato, ed inoltre il fatto era stato contestato all'imputato, non soltanto con ordine di comparizione ritualmente notificato a sue mani, ma anche con il suo formale interrogatorio, il cui verbale pure era stato depositato;

che, pertanto, si sarebbe dovuto dare applicazione all'art. 241 delle citate norme (espressamente richiamato dall'art. 242), secondo cui in tal caso il procedimento prosegue con le norme anteriormente vigenti, e conseguentemente, a, sensi del secondo comma dell'art. 242, il pubblico ministero-se ritiene che l'imputato debba andare a giudizio-deve richiedere al Presidente del Tribunale, entro sei mesi dall'entrata in vigore del nuovo codice, il decreto di citazione a giudizio, salvo che quel termine non venga superato, nel qual caso il pubblico ministero trasmette gli atti, con le sue conclusioni, al giudice istruttore, che provvederà a termini dell'ultimo inciso del secondo comma in parola;

che, pertanto, essendo il giudice delle indagini preliminari privo di convenienza sul processo de quo, la questione da lui sollevata dev'essere dichiarata manifestamente inammissibile.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

visti ed applicati gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale;

dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'art. 425 del codice di procedura penale, in relazione all'all'art. 222 del codice penale, e con riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, sollevata dal giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Prato con ordinanza 20 dicembre 1989.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 03/05/90.

Francesco SAJA, PRESIDENTE

Ettore GALLO, REDATTORE

Depositata in cancelleria il 08/05/90.