Sentenza n. 225 del 1990

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SENTENZA N.225

ANNO 1990

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

Prof. Giovanni CONSO, Presidente

Prof. Ettore GALLO

Dott. Aldo CORASANITI

Prof. Giuseppe BORZELLINO

Dott. Francesco GRECO

Prof. Renato DELL'ANDRO

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

Prof. Antonio BALDASSARRE

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

Avv. Mauro FERRI

Prof. Luigi MENGONI

Prof. Enzo CHELI

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 1, 2 e 13 della legge 7 febbraio 1958, n. 88 (Provvedimenti per l'educazione fisica), promosso con ordinanza emessa il 14 luglio 1988 dal T.A.R. per la Puglia-Sezione di Lecce - sul ricorso proposto da Antonaci Cinzia ed altre contro il Provveditorato agli Studi di Taranto ed altri, iscritta al n. 643 del registro ordinanze 1989 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 51, prima serie speciale, dell'anno 1989.

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 21 marzo 1990 il Giudice relatore Francesco Greco.

Ritenuto in fatto

 

1.- Antonaci Cinzia ed altre, abilitate all'insegnamento dell'educazione fisica nelle scuole medie, hanno proposto ricorso al T.A.R. per la Puglia - Sezione di Lecce - contro il provvedimento del Provveditore agli Studi di Taranto di conferma della loro nomina definitiva per un numero di ore eguale a quello dell'anno precedente, mentre gli insegnanti di sesso maschile della stessa disciplina avevano ottenuto la nomina per cattedre a orario pieno. Si sono dolute della mancata attuazione delle disposizioni ministeriali che consentivano alle docenti prive di titoli di studio di insegnare attività ginnico-sportive anche agli alunni di sesso maschile, mentre si era fatta rigorosa applicazione degli artt. 1, 2 e 13 della legge 7 febbraio 1958, n. 88, la quale prevede, per l'insegnamento dell'educazione risica, la distinzione degli alunni per sesso con la conseguente differenziazione delle cattedre e dei posti. E nel periodo suddetto le classi maschili avevano una maggiore disponibilità di posti rispetto a quelle femminili.

Il T.A.R., in accoglimento della eccezione proposta dalle ricorrenti, ha sollevato questione di legittimità costituzionale degli artt. 1, 2 e 13 della legge n. 88 del 1958 nella parte in cui prevedono, per l'insegnamento dell'educazione fisica, classi diverse per alunni maschi e femmine con la conseguente possibilità per i docenti maschi di insegnare solo a classi di alunni e per le docenti di insegnare solo a classi di alunne.

Secondo il remittente risulterebbero violati gli arti. 3, 4, 37 e 97 della costituzione in quanto, essendo identica la natura degli insegnamenti impartiti dai docenti, basata sulla conoscenza fisiologica del corpo umano e sulle tecniche del lavoro sportivo, e solo parzialmente diverse le attività ginniche svolte dagli alunni di ciascun sesso, si verificherebbe una irrazionale disparità di trattamento tra docenti con pari titolo Solo Per diversità di sesso, e una chiara violazione dei principi costituzionali della parità di sesso (art. 37 della Costituzione), della imparzialità della pubblica amministrazione (art. 97 della costituzione) nonchè la compressione dei diritto al lavoro (art. 4 della Costituzione).

L'ordinanza é stata regolarmente comunicata e pubblicata.

2.- Nei giudizio dinanzi a questa Corte non si sono costituite parti private.

3.- É intervenuta l'Avvocatura generale dello Stato in rappresentanza del Presidente del Consiglio dei ministri, la quale ha rilevato che la normativa in questione - relativa solo agli insegnamenti impartiti nelle scuole medie ed in quelle superiori, e non anche nelle elementari - é giustificata dall'esigenza di evitare turbamenti sessuali in alunni e alunne che, per l'età puberale ed adolescenziale che attraversano, sono particolarmente sensibili a impulsi che inevitabilmente sarebbero indotti da movenze, dimostrazioni, posizioni assunte da docenti di sesso diverso da quello degli alunni o delle alunne, il cui contatto fisico con gli insegnanti é talora inevitabile.

Ad avviso dell'Avvocatura sarebbe razionale la differenziazione, in base al sesso, non già degli insegnanti ma degli alunni, anche per la necessità della tutela del loro pudore che é uno dei diritti fondamentali della persona (art. 2 della Costituzione), ed in osservanza dell'art. 31 della Costituzione, che tutela l'infanzia e la gioventù.

L'inconveniente verificatosi nella specie in danno, delle insegnanti di sesso femminile, sarebbe del tutto occasionale ed assolutamente contingente, perchè legato al dato, meramente accidentale, dei numero e del sesso degli alunni; non sarebbe correlabile per nessun profilo alla irragionevolezza delle scelte, certamente non discriminatorie, del legislatore, tenuto anche conto che potrebbe capovolgersi, e determinare in un momento diverso, il completamento di orario da parte delle insegnanti di sesso femminile e non di quelli di sesso maschile.

Nel caso in esame non si tratterebbe di accesso al lavoro, nè di stabilità del posto, ma solo di completamente di orario, e ciò a prescindere dalla considerazione che l'art. 4 é interpretato nel senso che non é garantito ad ogni cittadino il diritto ad una occupazione, e neppure in via assoluta, alla conservazione del posto.

Considerato in diritto

 

1. - Il T.A.R. per la Puglia dubita della legittimità costituzionale degli artt. 1, 2 e 13 della legge 7 febbraio 1958, n. 88, nella parte in cui prevedono la differenziazione delle cattedre per l'insegnamento dell'educazione fisica a seconda del sesso degli alunni e la conseguente possibilità per i docenti di sesso maschile di insegnare solo a squadre di alunni e per le docenti di sesso femminile solo a squadre di alunne, in violazione del diritto al lavoro di tutti i cittadini senza distinzione di sesso.

2. - La questione è fondata per quanto riguarda l'art. 13.

Esso prevede la distinzione delle cattedre di ruolo di educazione fisica in maschili e femminili. Ed è interpretato dal giudice a quo nel senso che le cattedre maschili sono conferite a docenti di sesso maschile e quelle femminili a docenti di sesso femminile.

In tale situazione si ritiene che sussista una palese discriminazione tra i docenti solo in base al sesso, onde la violazione dell'art. 37 della Costituzione che statuisce la parità di diritti della donna lavoratrice rispetto all'uomo che lavora.

Invero, gli insegnanti di educazione fisica, sia maschi che femmine, sono in possesso di un identico titolo di studio e della stessa abilitazione all'insegnamento. Avuto riguardo ai vari gradi dell'insegnamento e all'età degli alunni, sono quindi parimenti idonei ad impartire ad essi, indipendentemente dal sesso, l'insegnamento della suddetta materia, compreso l'esercizio di attività ginnico-sportive adeguate.

Non hanno alcuna rilevanza giuridica nè la natura meramente organizzatoria della norma, dovendosi tenere conto solo degli effetti che essa produce, nè la sussistenza di un eguale impedimento per i docenti di sesso maschile in quanto gli effetti della decisione e le ragioni che la sostengono valgono anche per essi, nonostante che la questione in esame sia stata sollevata solo da docenti di sesso femminile.

Non ha rilievo nemmeno il carattere contingente della situazione lamentata che ha dato causa al giudizio ed all'incidente di costituzionalità, cioè la temporanea ed occasionale minore disponibilità di cattedre femminili rispetto alle cattedre maschili. Trattasi di una circostanza di fatto che non incide sulla rilevanza della questione, tanto più che non si può con certezza escludere che la situazione possa divenire permanente e stabile.

Devesi assicurare parità di accesso al lavoro, il che si attua eliminando la distinzione censurata e rendendo possibile un'unica graduatoria comprendente docenti maschi e femmine. Le eventuali differenziazioni si verificheranno solo in base al punteggio e non più in base al sesso.

Si considera anche che sono ormai da ritenersi superate le ragioni etico-sociali sussistenti all'epoca dell'emanazione della disposizione censurata e che, in sostanza, l'hanno ispirata.

La società, il costume, i ruoli ed i rapporti uomo-donna sono profondamente mutati; sia che si tratti di giovani che di adulti.

La stessa nozione di pudore, cui ha fatto cenno l'Avvocatura generale dello Stato, è radicalmente mutata.

La disposizione che pone una così netta separazione tra uomini e donne è ormai palesemente irrazionale (violazione art. 3 della Costituzione). Di essa va dichiarata l'illegittimità costituzionale.

Resta assorbita la dedotta violazione dell'art. 97 della Costituzione.

3. - Deve, invece, essere dichiarata inammissibile la questione che ha per oggetto gli artt. 1 e 2 della stessa legge n. 88 del 1958, i quali prevedono rispettivamente la distinzione in maschi e femmine ed in squadre maschili e femminili degli alunni ai quali si impartisce l'insegnamento obbligatorio dell'educazione fisica.

Invero, nel giudizio a quo si controverte solo sulla distinzione delle cattedre di insegnamento in maschili e femminili e sulla loro attribuzione distintamente a docenti di sesso maschile e a docenti di sesso femminile; distinzione posta solo dal secondo comma dell'art. 13 della suddetta legge.

Manca, così, la richiesta rilevanza, non trovando le suddette disposizioni applicazione nel giudizio a quo.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

a) dichiara la illegittimità costituzionale dell'art. 13, secondo comma, della legge 7 febbraio 1958, n. 88 (Provvedimenti per l'educazione fisica), nella parte in cui prevede l'istituzione delle cattedre di educazione fisica distintamente in maschili e femminili e la conseguente loro copertura separatamente con docenti di sesso maschile e docenti di sesso femminile;

b) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale degli artt. 1 e 2 della stessa legge 7 febbraio 1958, n. 88, in riferimento agli artt. 4, 37 e 97 della Costituzione, sollevata dal T.A.R. per la Puglia - Sezione di Lecce - con l'ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 03/05/90.

Giovanni CONSO, PRESIDENTE

Francesco GRECO, REDATTORE

Depositata in cancelleria il 08/05/90.