Sentenza n. 192 del 1990

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SENTENZA N.192

 

ANNO 1990

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

 

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

 

Prof. Giovanni CONSO, Presidente

 

Prof. Ettore GALLO

 

Dott. Aldo CORASANITI

 

Prof. Giuseppe BORZELLINO

 

Dott. Francesco GRECO

 

Prof. Renato DELL'ANDRO

 

Prof. Gabriele PESCATORE

 

Avv. Ugo SPAGNOLI

 

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

 

Prof. Antonio BALDASSARRE

 

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

 

Avv. Mauro FERRI

 

Prof. Luigi MENGONI

 

Prof. Enzo CHELI

 

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 39, primo comma, della legge 11 febbraio 1971, n. 50 (Norme sulla navigazione da diporto), modificata dalla legge 6 marzo 1976, n. 51, e dalla legge 26 aprile 1986, n. 193, promossi con sette ordinanze emesse il 19 ottobre 1989 dal Pretore di Venezia, iscritte ai numeri 665, 666, 667, 668, 669, 670 e 671 del registro ordinanze 1989 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 2, prima serie speciale, dell'anno 1990.

 

Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

 

udito nella. Camera di consiglio del 21 marzo 1990 il Giudice relatore Ettore Gallo.

 

Ritenuto in fatto

 

1.- Con ordinanza 27 dicembre 1988 il Pretore di Venezia aveva sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 39, primo comma, della legge 11 febbraio 1971 n. 50 (Norme sulla navigazione da diporto), così come modificata dalle leggi 6 marzo 1976, n. 51 e 26 aprile 1986, n. 193, con riferimento all'art. 3, primo comma della Costituzione. Riferiva il Pretore nell'ordinanza che tale Holtkamp Hendricus era stato sorpreso dai carabinieri il 12 maggio 1988 nel Rio della Misericordia in Venezia, alla guida di un motoscafo da diporto, immatricolato YM 49-61, munito di motore fuoribordo da 50 HP senza essere in possesso di patente di abilitazione alla guida. L'infrazione, ai sensi del citato art. 39, é punita con l'arresto fino a sei mesi o con l'ammenda da lire 1 milione a 2 milioni. Tale sanzione - ad avviso del Pretore - violerebbe il principio di uguaglianza se messa a confronto con la mite pena dell'ammenda da lire 4000 a lire 40 mila (peraltro oggi depenalizzata) prevista a carico di chi conduce, senza abilitazione alla guida, motoscafi od imbarcazioni con motore entro o fuoribordo, destinati a navigare in servizio privato, cosi come previsto dal combinato disposto degli artt. 1, secondo comma, e 20, primo comma, del regio decreto legge 9 maggio 1932, n. 813 (Disposizioni sulla circolazione dei motoscafi e delle imbarcazioni a motore).

 

Rileva, a tale proposito, l'ordinanza che, ai sensi del terzo comma del citato art. 1, deve intendersi per uso privato qualsiasi uso dal quale esuli il fine di speculazione, così come "é navigazione da diporto quella effettuata a scopi sportivi o ricreativi, dai quali esuli il fine di lucro" (art. 1, secondo comma della legge 11 febbraio 1971, n. 50).

 

E poichè - soggiungeva l'ordinanza - la qualificazione di motoscafo o imbarcazione "ad uso privato" oppure "da diporto" dipende esclusivamente dall'iscrizione nell'uno o nell'altro registro, rimessa alla libera scelta del privato interessato, il trattamento sanzionatorio così diverso sarebbe privo di qualsiasi razionale giustificazione.

 

Nelle more del giudizio costituzionale entrava, però, in vigore la legge 5 maggio 1989, n. 171 (Modifiche alle leggi 11 febbraio 1971, n. SO, 6 marzo 1976, n. si e 26 aprile 1986, n. 193, nonchè nuova disciplina sulla nautica da diporto) che all'art. 10 disponeva l'equiparazione dei motoscafi ad uso privato (di cui al regio decreto legge 9 maggio 1932, n. 812, convertito dalla legge 20 dicembre 1932, n. 1884) alle unità da diporto, ai fini dell'abilitazione al comando e della relativa tassa sulle concessioni governative. A seguito di ciò, questa Corte, con ordinanza n. 433 del 18 luglio 1989, restituiva gli atti al Pretore di Venezia affinchè avesse a verificare se, alla stregua della normativa sopravvenuta, la questione conservasse ancora rilevanza.

 

2.- Con ordinanza 19 ottobre 1989 (n. 665 registro ordinanze 1989) il Pretore risollevava la questione, ritenendo che non solo essa non avesse perduto la rilevanza posseduta prima d . ella modifica legislativa, ma che, anzi, proprio la disposta equiparazione avesse messo in evidenza l'assurdità del diverso regime sanzionatorio.

 

Ad avviso del Pretore, infatti, l'equiparazione delle abilitazioni, prevista dalla nuova normativa fra le unità ad uso privato e quelle da diporto, non comporterebbe alcuna modifica nei rispettivi regimi sanzionatori,. ma soltanto il diritto di chi é abilitato a condurre motoscafi ad uso privato di comandare anche unità da diporto senza necessità di munirsi di altra abilitazione. Nessun riferimento vi é nella legge alle sanzioni, che rimarrebbero, pertanto, immutate secondo le rispettive fattispecie di guida abusiva: anche perchè la legge non le abroga nè esplicitamente nè implicitamente. Non vi sarebbe, infatti, secondo il Pretore, incompatibilità fra vecchie e nuova disposizione, nè si verificherebbe l'altra alternativa ipotesi, prevista dall'art. 15 delle preleggi, secondo cui la nuova legge regola l'intera materia già regolata dalla legge anteriore, giacchè invece la legge recente integra una serie di specifiche modifiche della precedente.

 

Ma quand'anche - soggiunge il Pretore - si dovesse ritenere abrogata la disciplina sanzionatoria differenziata, non potendosi ritenere applicabile il regime sanzionatorio più favorevole perchè la legge non consente una siffatta interpretazione, l'applicazione della normativa penale anche alle ipotesi previste dal regio decreto legge n. 83 dei 1932 incontrerebbe comunque un limite d'irretroattività nell'art. 2, primo comma, codice penale.

 

E allora la questione conserverebbe ugualmente rilevanza, in quanto, fino all'entrata in vigore della nuova legge, il regime sanzionatorio permaneva irragionevolmente differenziato.

 

3.- Con altre sei ordinanze di pari data (dal n. 666 al n. 671 registro ordinanze 1989), il Pretore di Venezia sollevava identica questione nei processi penali a carico rispettivamente di Zanon Bruno, Zecchini Alberto, Betteo Redenzio, Beltrame Roberto e Cecchetto Francesco.

 

Le questioni erano riferite allo stesso parametro e sostenute dalle medesime argomentazioni.

 

4.- Interveniva in tutti i giudizi il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato dall'Avvocatura generale dello Stato, la quale chiedeva che la questione fosse dichiarata infondata.

 

Secondo l'Avvocatura non sarebbe esatto che non sia possibile distinguere la destinazione delle imbarcazioni a semplice uso privato da quelle da diporto, vale a dire specificamente destinate ad attività sportive o ricreative, anche se si riconosce qualche difficoltà nell'accertamento dell'effettiva destinazione nei casi concreti, a causa del fine comune dal quale esula il lucro o la speculazione.

 

In realtà, ad avviso dell'Avvocatura - che si richiama a dottrina e giurisprudenza - il concetto di "uso privato" é tradizionalmente riferito ai motoscafi adibiti ai traffici portuali, ai servizi dei cantieri navali, dei bacini di carenaggio, o al trasporto privato di persone e merci nell'ambito della laguna veneta o delle acque lacunali.

 

Da tale generico uso privato, per espressa volontà legislativa, si é differenziato l'uso privato a specifico carattere sportivo e ricreativo, per il quale é stata dettata una particolare e distinta disciplina giuridica attraverso le leggi susseguitesi dal 1971 al 1986.

 

Ne deriverebbe, in definitiva, che é la effettiva specifica destinazione a rilevare agli effetti della disciplina sanzionatoria, nel senso che pure ad una nave da pesca o da traffico a fine di lucro, qualora venga adibita a diporto anche occasionale, in ipotesi di indebita assunzione di comando non si applicherebbe la norma penale di cui all'art. 1117 codice navigazione ma soltanto quella espressamente prevista per la navigazione da diporto: e altrettanto avverrebbe nel rapporto generica destinazione privata-destinazione da diporto, indipendentemente dal registro in cui l'unità é inscritta.

 

Non vi sarebbe, pertanto, alcuna irrazionalità nel diverso trattamento sanzionatorio trattandosi di situazioni diverse.

 

Considerato in diritto

 

1. - Poichè tutte le ordinanze sollevano la stessa questione rispetto allo stesso parametro, possono essere riunite per essere decise con unica sentenza.

 

2. - Secondo il Pretore di Venezia la qualificazione di motoscafo o imbarcazione < ad uso privato> oppure < da diporto> dipenderebbe esclusivamente dalla iscrizione dell'unità nell'uno o nell'altro registro: iscrizione che la legge, peraltro, lascia alla libera disponibilità del proprietario, comune essendo per ambo le specie l'esclusione del fine di lucro. Sulla base di tali premesse il giudice rimettente trova senza razionale giustificazione che diverso sia il trattamento sanzionatorio per chi si ponga alla guida o al comando dell'una o dell'altra imbarcazione senza avere conseguito la prescritta abilitazione.

 

Mentre, infatti (fino all'intervento della legge 5 maggio 1989, n. 171) la guida senza patente del motoscafo ad uso privato, prima punita con lieve ammenda, risulta addirittura depenalizzata (e, perciò, colpita da semplice sanzione amministrativa), la guida di unità da diporto senza abilitazione comporta alternativamente pena detentiva contravvenzionale o ammenda.

 

Nè la sopravvenienza della nuova legge n. 171 del 1989, che ha equiparato le due specie agli effetti dell'abilitazione e a quelli fiscali, toglierebbe rilevanza alla sollevata questione, perchè per i fatti precedentemente compiuti resterebbe pur sempre applicabile la norma più favorevole concernente la guida abusiva dei motoscafi < ad uso privato>, lasciando così immutato il discrimine irrazionale del regime sanzionatorio fra le due sostanzialmente identiche situazioni: anche il diporto essendo sempre un < uso privato> dell'imbarcazione.

 

Diverso è, invece, l'avviso dell' Avvocatura generale dello Stato che, affidandosi a recente dottrina ma a molto meno recente giurisprudenza, ritiene che il diporto sia un settore specifico dell'uso privato, per il quale il legislatore ha elaborato particolare disciplina normativa proprio in vista della sua peculiarità, sicchè a caratteri diversi delle singole attività nautiche corrisponde trattamento ragionevolmente differenziato.

 

Secondo l'Avvocatura, nonostante qualche difficoltà nell'accertamento concreto, ciò che conta ai fini della sanzione è l'effettiva destinazione d'uso dell'unità in quel certo particolare caso, e non l'iscrizione nell'uno o nell'altro registro.

 

Infondata, quindi, sarebbe la sollevata questione.

 

3. - Nè l'una nè l'altra contrapposta tesi è convincente, nè trova nella legge adeguato supporto.

 

Non è esatto, intanto, che alcuna differenza obbiettiva non esista fra le imbarcazioni delle due specie, sì da giustificare l'iscrizione in distinti registri. Il regio decreto legge 9 maggio 1932, n. 813, definisce < motoscafo> all'art. 1, primo comma, < ogni imbarcazione di stazza lorda uguale od inferiore a 25 tonnellate, provvista di motore a scoppio od a combustione interna>; e nel secondo comma dichiara soggetti alle norme dei decreto < i motoscafi e le imbarcazioni, con motore entro o fuori bordo, destinati a navigare per uso privato>, escludendone soltanto le imbarcazioni per motori a scoppio fuori bordo di cilindrata non superiore a 500 cc., oppure di potenza non superiore ad 11 HP qualora si tratti di altri motori.

 

Diversamente, l'art. 1 della legge 11 febbraio 1971, n. 50 definisce < imbarcazione da diporto> ogni costruzione a vela, anche se con motore ausiliario, o a motore, destinata alla navigazione da diporto, e di stazza lorda fino a 50 tonnellate. Restano escluse dalla disciplina soltanto le piccole unità, definite < natanti>, esenti da ogni obbligo di iscrizione nei registri.

 

Ne consegue che mai una unità da diporto a vela, anche se munita di motore ausiliario, potrebbe essere iscritta nel registro dei motoscafi ad uso privato: e nemmeno l'imbarcazione a solo motore, se di stazza superiore a 25 tonnellate.

 

Inoltre, mentre nelle unità da diporto è prevista dalla legge anche la categoria delle < navi> quando la stazza lorda superi le 50 tonnellate, altrettanto non è per i motoscafi ad uso privato che-secondo la legge del 1932-non potevano -come detto-superare le 25 tonnellate.

 

Soltanto limitatamente alle imbarcazioni a solo motore, che non superino le 25 tonnellate di stazza, potrebbe perciò teoricamente sussistere un'alternativa fra i due registri, per la quale rileverebbe o la destinazione concreta al semplice uso privato, oppure la destinazione all'uso da < diporto>.

 

A tale proposito, deve riconoscersi che il tradizionale concetto di < motoscafo ad uso privato>, richiamato dall' Avvocatura dello Stato, trova fondamento proprio nelle situazioni da cui storicamente trasse origine la legge del 1932.

 

In realtà è vero che nei primissimi anni '30 (la legge è del maggio 1932) la destinazione ad uso privato delle imbarcazioni a motore era limitata ai traffici portuali, ai servizi dei cantieri navali e dei bacini di carenaggio, o al trasporto privato di persone e di merci nell'ambito della laguna veneta o delle acque lacunali: più raramente nelle acque marittime.

 

Inoltre, benchè la prima guerra mondiale avesse sviluppato gli studi per la costruzione dei famosi MAS , la relativamente pionieristica tecnologia dell'epoca produceva mezzi di non grande velocità (salvo i prototipi sportivi) e di scarsa diffusione, atteso il loro costo sopratutto in relazione alla poca clientela disponibile: talchè non furono mai costruiti in serie proprio per la scarsa richiesta.

 

Si spiega allora come la poca diffusione e la ridotta pericolosità delle imbarcazioni consentissero la previsione di un'abilitazione alla guida di un unico tipo, che permetteva la circolazione in acque interne, o in acque marittime, a seconda del soggetto pubblico che la rilasciava: rispettivamente, capitaneria di porto o ispettorato compartimentale della motorizzazione civile (art. 16, terzo comma, legge n. 813 del 1932).

 

Ma col trascorrere degli anni la tecnologia si andava affinando, e particolarmente si andavano evolvendo e specializzando le costruzioni nautiche destinate alle attività sportive e ricreative, anche a vela: le quali assumevano spesso stazzamenti notevoli ed elevate velocità, percorrendo acque marittime anche di altura. A quel punto, parve necessario al legislatore emanare una specifica disciplina organica per le imbarcazioni da diporto, sia a vela che a motore, che si concretò nella legge 11 febbraio 1971, n. 50 e successive modificazioni.

 

Si ebbero così tre distinte specie di unità da diporto, e cioé:

 

1) le navi, a vela o a motore, con stazza lorda superiore a 50 tonnellate;

 

2) le imbarcazioni, a vela o a motore, di stazza lorda fino a 50 tonnellate;

 

3) i natanti: vale a dire piccole unità a remi, oppure di lunghezza non superiore a sei metri, di stazza non superiore a tre tonnellate, e con motore eventuale di potenza non superiore a 25 cavalli (artt. 1 e 13).

 

Le specie di cui alla terza categoria furono escluse dalla iscrizione in registri ed esentate da abilitazione alla guida: esse possono in genere navigare entro sei miglia dalla costa, salvo i più piccoli ( jole, pattini, mosconi, scooters acquatici etc. ...) che non possono superare il miglio (art. 13).

 

Le altre due categorie, invece, non solo furono assoggettate ad iscrizione in registri distinti, ma per esse la legge ha previsto ben cinque diverse abilitazioni al comando (art. 20): due sono riservate alle imbarcazioni a vela (con o senza motore ausiliario) per la navigazione entro sei miglia dalla costa, oppure senza alcun limite; altre due riguardano, invece, le imbarcazioni soltanto a motore di potenza superiore a 25 cavalli, a seconda che siano abilitate a navigare entro od oltre le sei miglia dalla costa; vi è infine l'abilitazione al comando delle navi da diporto e per la condotta dei motori delle imbarcazioni a vela.

 

4.- Sembra evidente a questo punto che la divaricazione verificatasi nel corso degli anni fra lo specifico uso privato per il diporto e quello tradizionale dei motoscafi in semplice uso privato aveva trovato nella normativa del 1971 una significativa conferma. Anche se, infatti, la tecnologia costruttiva, meccanica e motoristica delle industrie motoscafistiche aveva a sua volta subìto notevoli evoluzioni, per lungo tempo, tuttavia, il divario normativo ebbe a trovare rispondenza in una ben diversa situazione tecnica e di concreto impiego delle due specie d'imbarcazione, essendo di gran lunga più vasta la richiesta delle imbarcazioni da diporto, e molto più modesto l'impiego dei motoscafi nel tradizionale uso privato di cui s'è detto.

 

A parte la già vista inesattezza, almeno per alcune unità, dell'asserita possibilità di iscriverle indifferentemente, ad libitum dell'interessato, dell'uno o nell'altro registro, fra le due specie esisteva la possibilità di notevoli differenze di stazza e di potenza motoristica, cui ovviamente non potevano non corrispondere differenze di accorgimenti costruttivi. Lo stesso impiego si differenziava non soltanto sul piano dell'uso tradizionale, come rilevato dall'Avvocatura, ma anche nella destinazione sul piano normativo, visto che il motoscafo ad uso privato non poteva essere impiegato in competizioni sportive (art.1 legge n. 50 del 1971).

 

Esistevano, dunque, fino al 1989, rigorosi divieti per taluni impieghi, che configuravano, per i motoscafi ad uso privato, una particolare situazione di fatto e di diritto ben diversa da quella più varia e più ampia delle imbarcazioni da diporto: sicchè per nulla irrazionale appariva la differente disciplina sanzionatoria che, tenendo conto di tali differenze, comminava per la guida abusiva dei motoscafi in semplice servizio privato una pena pecuniaria contravvenzionale e, da ultimo, una mera sanzione amministrativa, mentre puniva alternativamente anche con l'arresto, e comunque con più grave ammenda, la guida, senza patente di abilitazione, delle unità da diporto. E si noti che l'ampio spazio di discrezionalità consentito al giudice fra minimi e massimi delle due specie alternative di pena consente la graduazione alla diversa gravità dell'abuso, dalla guida di un'imbarcazione a vela abilitata a navigare entro le sei miglia dalla costa fino al comando senza patente di una nave da diporto.

 

La questione, pertanto, sollevata dal Pretore di Venezia non ha fondamento.

 

Nè è esatto che la modifica intervenuta nel 1989 abbia messo in ancora maggiore evidenza la pretesa illegittimità costituzionale della precedente situazione.

 

É ben vero, infatti, che, a un certo punto, si è avuto un tale sviluppo tecnologico anche nella motoscafistica a tradizionale uso privato sia per il crescere delle stazze, sia per l'aumentata potenza dei motori, sia per le sofisticazioni meccaniche ed elettroniche, il tutto dovuto ad un notevole aumento della domanda, da consentire in realtà al privato un uso promiscuo del mezzo anche per impieghi da diporto di altura, con l'unico limite che la licenza del motoscafo fosse stata rilasciata dall'Ispettorato compartimentale della motorizzazione (art. 16, terzo comma, legge n. 813 del 1932).

 

Ed è proprio perchè il legislatore si è reso conto della possibilità di un uso fraudolento di questi mezzi, tanto sul piano fiscale quanto su quello delle sanzioni in caso di guida abusiva, che alla fine si è risolto ad assorbire totalmente la disciplina fiscale e sanzionatoria dei motoscafi ad uso privato in quella per le imbarcazioni da diporto.

 

Non è esatto, perciò, che l'art. 10 della legge 5 maggio 1989, n. 171 si sia limitato-come scrive il pretore nell'ordinanza-< ad equiparare le abilitazioni al comando previste rispettivamente per le unità ad uso privato e per le unità da diporto, senza minimamente modificare il regime sanzionatorio relativo all'abusiva condotta dei due tipi di unità>. Si tratta di un'interpetrazione che contraddice sia la lettera che lo spirito della norma, in quanto fa credere che il legislatore abbia inteso attribuire vicendevole valore giuridico alle due specie di abilitazione, consentendo indifferentemente la guida dell'una o dell'altra specie con l'una o l'altra delle abilitazioni, e per di più tenendo ferme le rispettive ben diverse conseguenze sanzionatorie in caso di guida abusiva.

 

Al contrario, l'art. 10 citato recita testualmente che < I motoscafi ad uso privato, di cui al regio decreto legge 9 maggio 1932, n. 813 ..., sono equiparati ai fini dell'abilitazione al comando e della relativa tassa sulle concessioni governative, alle unità da diporto>. Il che chiaramente significa che l'equiparazione non riguarda le patenti fra di loro ma bensì i motoscafi della legge del '32 alle imbarcazioni da diporto per tutto ciò che riguarda il regime delle patenti di abilitazione alla guida e quello fiscale. In altri termini, è proprio tutta la normativa concernente l'abilitazione alla guida dei motoscafi in uso privato (e il relativo regime fiscale) che viene a cessare con la legge del 1989, giacchè queste imbarcazioni vengono assoggettate interamente, per tale riguardo, alla disciplina delle imbarcazioni da diporto. Si avranno così, anche per i motoscafi, abilitazioni alla guida entro le sei miglia dalla costa oppure senza limiti, così come occorreranno vere e proprie abilitazioni al comando quando la stazza lorda superi le 50 tonnellate (combinato disposto degli artt. 1, quarto comma, primo inciso, e 20, secondo comma, della legge n. 50 del 1971).

 

Ed è appena il caso di rilevare che la violazione della disciplina, ora applicabile anche ai motoscafi, non può che comportare le stesse conseguenze sanzionatorie già per essa previste dalla legge.

 

Ebbene tutto questo comprova che ogni possibile sperequazione fra le due situazioni che di fatto si fosse verificata negli anni intercorrenti fra il 1971 e il 1989 era semmai a tutto favore di coloro che guidavano abusivamente motoscafi destinati al servizio privato tradizionale; sopratutto negli anni vicini al 1989, quando il progresso tecnologico dell'industria motoscafistica aveva già raggiunto quel livello che equiparava di fatto le due specie di unità già prima del riconoscimento giuridico contenuto nella nuova legge. Non è per nulla irrazionale, pertanto, che non sia sottoposta alla più mite disciplina della mera sanzione amministrativa anche la ben più grave violazione della guida senza abilitazione di unità da diporto, quali sono quelle descritte nell'art. 20 della legge n. 50 del 1971 e successive modificazioni.

 

PER QUESTI MOTIVI

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

riuniti i giudizi,

 

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 39, primo comma, della legge 11 febbraio 1971, n. 50 (Norme sulla navigazione da diporto), così come modificata dalle leggi 6 marzo 1976, n. 51, e 26 aprile 1986, n. 193, in riferimento all'art. 3, primo comma, della Costituzione, sollevata dal Pretore di Venezia con le ordinanze numeri 665, 666, 667, 668, 669, 670 e 671 del 1989, tutte datate 19 ottobre 1989.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 04/04/90.

 

Giovanni CONSO, PRESIDENTE

 

Ettore GALLO, REDATTORE

 

Depositata in cancelleria il 12/04/90.