Sentenza n. 154 del 1990

 CONSULTA ONLINE 

SENTENZA N.154

ANNO 1990

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

Dott. Francesco SAJA, Presidente

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO

Dott. Aldo CORASANITI

Prof. Giuseppe BORZELLINO

Dott. Francesco GRECO

Prof. Renato DELL'ANDRO

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

Prof. Antonio BALDASSARRE

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

Avv. Mauro FERRI

Prof. Luigi MENGONI

Prof. Enzo CHELI

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale della legge regionale riapprovata il 18 luglio 1989 dal Consiglio regionale della Toscana, avente per oggetto: <Nuova disciplina dell'I.R.P.E.T. (Istituto Regionale Programmazione Economica della Toscana)> promosso con ricorso del Presidente del Consiglio dei ministri, notificato il 4 agosto 1989, depositato in cancelleria l'11 successivo ed iscritto al n. 66 del registro ricorsi 1989. Visto l'atto di costituzione della Regione Toscana;

udito nell'udienza pubblica del 12 dicembre 1989 il Giudice relatore Antonio Baldassarre;

uditi l'Avvocato dello Stato Gaetano Zotta, per il ricorrente, e l'avvocato Vito Vacchi per la Regione.

Ritenuto in fatto

1.- Con ricorso del 4 agosto 1989, ritualmente notificato e depositato, il Presidente del Consiglio dei ministri ha sollevato questione di legittimità costituzionali nei confronti della legge della Regione Toscana, dal titolo "Nuova disciplina dell'I.R.P.E.T. (Istituto Regionale Programmazione Economica della Toscana)", riapprovata il 18 luglio 1989, la quale, nel suo complesso, contrasterebbe con l'art. 127, ultimo comma della Costituzione e, nei suoi artt. 6, lettera i), e 21, con gli artt. 81 e 117 della Costituzione.

A proposito della prima censura, il ricorrente osserva che il Governo, con nota dell'8 aprile 1989, aveva rinviato al Consiglio regionale della Toscana la predetta legge (proposta n. 10/89), rilevando che gli artt. 6, lettera i), e 21 contrastavano, a suo avviso, con la riserva di legge stabilita dall'art. 81 della Costituzione. Nella seduta del 23 maggio 1989, il Consiglio regionale ha riapprovato la legge senza apportarvi modifiche, ma votandola con la sola maggioranza semplice. Poichè, secondo la giurisprudenza di questa Corte, una tale votazione non può significare, ai sensi dell'art. 127 della Costituzione, approvazione della legge regionale rinviata, il Governo, sul presupposto dell'esaurimento del suo iter procedimentale, si é rifiutato di prendere in considerazione il testo di legge nuovamente inviato ad esso per l'apposizione del visto. Di fronte a tale rifiuto continua il ricorrente nella sua ricostruzione dei fatti - il Consiglio regionale, anzichè iniziare un nuovo procedimento di formazione della volontà legislativa, ha votato ancora una volta il medesimo testo di legge precedentemente non riapprovato, riportando in quest'ultima evenienza la maggioranza assoluta. Dal momento che ciò rappresenterebbe un travisamento e una violazione dell'art. 127 della Costituzione, il Presidente del Consiglio dei ministri chiede, con il ricorso in discussione, che sia dichiarata l'illegittimità costituzionale dell'intera legge per contrasto con il citato art. 127.

Sempre secondo il ricorrente, gli artt. 6, lettera i), e 21, ultimo comma, della legge impugnata, nel prevedere che il compenso per il direttore scientifico e l'aggiornamento della indennità di carica per i componenti degli organi dell'Istituto siano fissati con atti amministrativi, contrasterebbero tanto con il principio costituzionale della riserva di legge stabilito dall'art. 81, quanto con i principi fondamentali della materia (art. 117 Cost.) desumibili dalla legge n. 70 del 1975 (e successive modificazioni e integrazioni), per i quali i compensi e le indennità di carica a favore dei dipendenti degli enti pubblici non economici vanno adottati con atti legislativi di reazione dei contratti collettivi e vanno determinati con l'esclusione di qualsiasi aumento automatico e nel rispetto della manovra di contenimento della spesa pubblica.

2.- La Regione Toscana si é regolarmente costituita per chiedere il rigetto dei ricorso.

Nel descrivere l'iter seguito per la deliberazione della legge impugnata, la Regione - dopo aver precisato che per mero disguido il provvedimento é stato messo ai voti in seconda deliberazione ai sensi dell'art. 15, primo comma, dello Statuto (il quale richiede la maggioranza semplice) e che in ogni caso il testo legislativo in quella sede era stato modificato all'art. 21 per tener conto dei rilievi governativi - ricorda che il Commissario del Governo, in data 23 giugno 1989, aveva restituito la legge senza visto, motivando la mancata opposizione di questo tanto con il fatto che quella era stata adottata a maggioranza semplice, quanto con il rilievo che con la nuova deliberazione non era stato apportato alcun mutamento significativo rispetto al precedente testo. Sulla base di ciò, il Consiglio regionale della Toscana, nella seduta del 18 luglio 1989, riapprovava senza modifiche e con la maggioranza assoluta il testo di legge nuovamente restituito.

A giudizio della Regione, lo stato di cose ora descritto non giustificherebbe la pretesa del ricorrente, per la quale il Consiglio regionale avrebbe dovuto iniziare un nuovo procedimento di formazione della volontà legislativa, sia perchè non é rinvenibile nell'ordinamento regionale alcuna disposizione che imponga in casi del genere l'inizio di un nuovo procedimento, sia perchè la riapprovazione della legge con la maggioranza assoluta era imposta dalla giurisprudenza di questa Corte, la quale considera non promulgabile una legge che non abbia riportato la maggioranza prevista dall'art. 127 della Costituzione, sia perchè il Governo non avrebbe dovuto reiterare il rinvio, non avendo altra via, di fronte alla prima riapprovazione, che quella di promuovere il giudizio di legittimità costituzionale.

In ogni caso, continua la Regione, ove si ritenga (come sembrerebbe corretto di ritenere) che una nuova approvazione della stessa legge da parte del Consiglio regionale produce un effetto sanante, questo dovrebbe valere tanto nei confronti degli atti del Governo (mancata proposizione del ricorso di costituzionalità), quanto nei confronti dei vizi conseguenti alla mancata approvazione della legge votata a maggioranza semplice. D'altra parte, conclude la regione, a non voler accettare questa posizione, si dovrebbe dire allora che l'attività legislativa svolta dal Consiglio regionale nella seduta del 23 maggio 1989 debba esser considerata inutiliter data, in quanto la riapprovazione a maggioranza semplice non avrebbe mai potuto portare alla promulgazione della legge stessa.

Quanto agli asseriti vizi materiali, la Regione osserva che il ricorrente non avrebbe tenuto presente che nel testo rinnovato le indennità di carica dei componenti del Consiglio di amministrazione dell'I.R.P.E.T. sono regolate da fonte normativa primaria e che l'aggiornamento dei compensi per i componenti degli organi dell'Istituto é demandato a un decreto dei Presidente della Giunta nei limiti previsti dalla legge n. 324 del 1959, che ha attribuito l'indennità integrativa speciale al personale statale.

3.- In prossimità dell'udienza la Regione Toscana ha presentato un'ulteriore memoria, con la quale, oltre a ribadire argomenti già svolti nel precedente scritto difensivo, insiste nell'affermare che, di fronte a una legge rinviata che é stata rideliberata a maggioranza semplice, il Governo non Poteva sfuggire all'alternativa di sollevare la questione di legittimità costituzionale ovvero di rinviare la medesima legge al Consiglio regionale, anzichè comunicare ad esso l'impossibilità di apporre il visto. In ogni caso, la resistente conclude che, poichè il Consiglio regionale, successivamente alla proposizione del presente ricorso, ha riapprovato una nuova legge (2 novembre 1989, n. 71) avente un testo identico a quello precedente (n. 10/89) salva l'espunzione delle disposizioni censurate, contenute negli artt. 6, lettera i), e 21, questa Corte dovrebbe dichiarare la cessazione della materia del contendere.

Considerato in diritto

1. - Il Presidente del Consiglio dei ministri ha sollevato questione di legittimità costituzionale nei confronti della legge della Regione Toscana, dal titolo <Nuova disciplina dell'I.R.P.E.T. (Istituto Regionale Programmazione Economica della Toscana)>, riapprovata il 18 luglio 1989, per violazione dell'art. 127 della Costituzione, in quanto deliberata, dopo che era stata rinviata dal Governo, con la maggioranza semplice anzichè con quella assoluta, nonchè per violazione degli artt. 81 e 117 della Costituzione, in quanto, nei suoi artt. 6, lettera 1), e 21, porrebbe una disciplina in tema di compensi e indennità di carica contrastante con il principio della riserva di legge in materia di nuove spese e con i principi fondamentali stabiliti dalla legge 20 marzo 1975, n. 70, diretti, in particolare, a escludere automatismi nella predetta materia.

2.-Poichè nelle more del giudizio la Regione Toscana ha approvato una nuova legge sulla disciplina dell'I.R.P.E.T. (legge reg. 2 novembre 1989, n. 71), la quale contiene le stesse disposizioni stabilite dalla legge impugnata ad eccezione di quelle oggetto di questa controversia, occorre verificare preliminarmente se siffatta sopravvenienza configuri un'ipotesi di cessazione della materia del contendere, come ritiene la Regione resistente.

Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte (v., da ultimo, sentt. nn. 309 del 1983, 119 e 273 del 1986, 4 del 1988), il semplice fatto dell'approvazione da parte regionale di una nuova legge, avente lo stesso contenuto dispositivo di quella impugnata salva l'espunzione delle parti controverse, non n può comportare la dichiarazione della cessazione della materia del contendere, ove non sia accompagnata da elementi obiettivi dai quali possa trarsi la ragionevole certezza che l'approvazione della nuova legge abbia l'inequivoco significato di un <ritiro> delle disposizioni contestate o, implichi, comunque, il venir meno dei motivi di controversia relativi alla legge impugnata che giustificavano l'interesse delle parti ad ottenere una pronunzia di questa Corte. Tale ragionevole certezza basata su dati non equivoci non può rinvenirsi nel caso dedotto in giudizio, dal momento che non vi si riscontra alcun elemento obiettivo che possa indurre a valutare il mancato inserimento nella nuova legge delle disposizioni controverse come un'implicita, ma inequivoca, eliminazione definitiva delle stesse.

Sicchè, di fronte a una situazione di non certezza dell'avvenuto superamento dei motivi di contrasto che hanno portato alla proposizione del giudizio pendente, non si può non riconoscere una sicura prevalenza all'interesse obiettivo al sindacato di legittimità costituzionale.

3. - A1 fine di decidere la questione di legittimità costituzionale concernente l'intera legge regionale, impugnata per violazione dell'art. 127, ultimo comma, della Costituzione, occorre ricostruire con precisione la sequenza degli atti relativi al procedimento legislativo in cui si inserisce la delibera impugnata.

Dopo che il Consiglio regionale della Toscana aveva approvato, nella seduta del 7 marzo 1989, una legge sulla nuova disciplina dell'I.R.P.E.T., il Governo, con telegramma dell'8 aprile 1989, oltre a varie considerazioni generali, formulava una precisa contestazione di legittimità costituzionale riguardo agli artt. 6, lettera 1), e 21 della predetta legge, adducendo che questi, nella determinazione dell'ammontare delle indennità di carica dei componenti degli organi dell'I.R.P.E.T., violavano il principio della riserva di legge in materia di spesa pubblica, stabilito dall'art. 81 della Costituzione. In seguito a tale rinvio, il Consiglio regionale della Toscana modificava la legge rinviata soltanto per quel che concerneva l'art. 21, sopprimendone il precedente testo e ponendo al suo posto due diversi articoli: con il primo determinava le indennità di carica del presidente e dei componenti del Consiglio di amministrazione, del Comitato scientifico e del Collegio dei revisori dei conti e stabiliva un criterio automatico di aggiornamento delle medesime indennità (art. 21); con il secondo definiva le ipotesi di diritto al rimborso delle spese a favore dei predetti soggetti (art. 21-bis, divenuto poi 22). In questo nuovo testo-che risultava modificato soltanto in uno dei due articoli censurati e lasciava intatto quello sul compenso al direttore scientifico dell'Istituto, compenso la cui determinazione era conservata al potere del tutto discrezionale del Consiglio di amministrazione (art. 6, lettera l)-la legge veniva posta in votazione nella seduta consiliare del 23 maggio 1989 <ai sensi dell'art. 15, primo comma, dello Statuto>, vale a dire in riferimento alla disposizione statutaria relativa alle deliberazioni per la cui valida approvazione è richiesta la maggioranza dei presenti. Avendo riportato tale maggioranza, nel corso della stessa seduta la legge era dichiarata <approvata> dal Presidente del Consiglio regionale senza che si sia levata, nel Consiglio stesso, contestazione alcuna.

Dopo che il 29 maggio 1989 la legge era stata nuovamente inviata al Commissario del Governo, il 22 giugno 1989 la Presidenza del Consiglio dei ministri comunicava al Presidente del Consiglio regionale della Toscana che <preso atto che nuova deliberazione provvedimento anzidetto non porta alcun mutamento significativo rispetto al precedente testo rinviato da Governo et, come attestato da vostra precitata nota, risulta essere stata adottata at maggioranza semplice (...), provvedimento medesimo non potest considerarsi riapprovato et avere quindi ulteriore seguito>. Sulla base di tali premesse, il Commissario del Governo concludeva che non poteva apporre il visto alla legge regionale inviatagli.

Ricevuto siffatto telegramma, il Consiglio regionale della Toscana, nella seduta del 18 luglio 1989, procedeva ad una ulteriore votazione della stessa legge, nell'identico testo votato nella precedente seduta, ottenendo il consenso della maggioranza dei propri componenti. Il 4 agosto dello stesso anno, il Presidente del Consiglio dei ministri presentava il ricorso introduttivo dell'attuale giudizio.

4.-Dalla ricostruzione dei fatti ora compiuta deriva che per giungere alla decisione del ricorso è necessario verificare, innanzitutto, se quella deliberata nella seduta consiliare del 23 maggio 1989 debba esser considerata una legge <nuova>, ai sensi dell'art. 127 della Costituzione (nel qual caso dovrebbe essere ritenuta regolarmente <approvata>, essendo sufficiente a tal scopo la maggioranza semplice) o se, invece, debba esser considerata come una stessa legge sottoposta a una nuova deliberazione (nel qual caso dovrebbe esser ritenuta <non riapprovata>, essendo necessaria, per tale ipotesi, la maggioranza assoluta).

La definizione della <novità> della legge regionale, ai fini dell'applicazione dell'art. 127 della Costituzione, ha subìto una graduale evoluzione nella giurisprudenza costituzionale, strettamente dipendente dall'esigenza di far fronte a pratiche abusive che, in determinati momenti, hanno seriamente concorso ad aggirare lo spirito del sistema dei controlli sulla legge regionale, stabilito dal ricordato art. 127, o, addirittura, a svuotarlo in gran parte del significato ad esso conferito dal Costituente.

Dopo aver seguito in alcune pronunzie (v. sentt. nn. 132 del 1975 e 9 del 1976) un criterio <sostanzialistico>, legato al grado di incisività della modifica operata e, quindi, alla rilevanza del mutamento (sostanziale o marginale) apportato, questa Corte, a partire dalla sentenza n. 40 del 1977, ha applicato un criterio <formale>, proprio al fine di evitare <il ripetersi (...) di equivoci e di contestazioni> sulla natura delle modificazioni, nonchè le obiettive e inevitabili incertezze connesse alla valutazione se la regione si fosse effettivamente adeguata alle censure governative contenute nel rinvio. Con la pronunzia ora citata, infatti, si è ritenuto di considerare come <non nuova> solamente la legge che fosse stata riapprovata dal Consiglio regionale <nel medesimo identico testo che aveva formato oggetto della prima deliberazione e del successivo rinvio>. Di modo che si stabiliva un criterio netto e certo, in ragione del quale qualsiasi modificazione del testo precedente, anche la più formale e insignificante, avrebbe portato a valutare la legge come <nuova> e, quindi, soggetta alla possibilità di un nuovo rinvio.

L'adozione di siffatto criterio, mentre ha risolto il vecchio male delle interminabili dispute fra Governo e regioni sulla natura e sulla portata delle modificazioni effettuate in sede di riesame, non ha tuttavia impedito che l'estremo rigore formale in esso contenuto fosse utilizzato al fine di seguire in molteplici occasioni la nota prassi della reiterazione di rinvii, che, di fatto, ha trasformato un istituto preordinato al controllo di legittimità costituzionale in un momento di negoziazione e di transazione politica tra controllore e controllato. Onde porre fine a questa prassi, deprecata pressochè all'unanimità dalla dottrina, questa Corte, nelle sue più recenti pronunzie (v. sentt. nn. 158 del 1988, 79, 80 e 561 del 1989 e 122 del 1990), senza ritornare all'antico criterio <sostanzialistico>, ha attenuato l'estremo rigore formale proprio dell'indirizzo contenuto nella pronunzia n. 40 del 1977, pervenendo alla formulazione di un criterio, basato su una doppia articolazione, che conduce a un'agevole verifica dell'esistenza o meno di una legge <nuova>.

In generale, una legge regionale sottoposta a una seconda deliberazione a seguìto di un rinvio governativo, per essere considerata <nuova> ai sensi dell'art. 127 della Costituzione, deve contenere modifiche che non consistano soltanto in mutamenti meramente testuali, ma comportino anche un cambiamento del significato normativo di una o più delle sue disposizioni, senza che abbia alcun rilievo il fatto che la modifica intervenuta sia sostanziale o no, incisiva o meno. Da ciò consegue che una legge non potrebbe essere considerata <nuova>, non solo nell'ovvia ipotesi in cui non fosse stata apportata la benchè minima modificazione formale, ma anche nell'ipotesi in cui il mutamento fosse meramente linguistico e non implicasse, comunque, una qualsiasi modificazione del significato normativo delle sue disposizioni.

Questa regola generale va, tuttavia, relativizzata, nel senso che, al fine di qualificare una legge come <nuova>, non possono essere ritenute rilevanti le modificazioni apportate in sede di riesame in conseguenza del rinvio governativo o, per esser più precisi, le modificazioni che incidono direttamente sul significato normativo delle disposizioni oggetto delle censure del Governo.

Tale relativizzazione è strettamente legata al divieto di reiterazione del rinvio di una legge regionale riapprovata, divieto che, come ha già precisato questa Corte (v. spec. sentt. nn. 158 del 1988, 79 e 80 del 1989), non soltanto possiede un'indiscutibile base legislativa (art. 31, legge 11 marzo 1953, n. 87), ma risponde soprattutto al <sistema di termini perentori, brevi e certi, previsto dall'art. 127 della Costituzione>, il quale riconosce nel principio dell'affidamento reciproco tra Governo e regione il proprio <valore fondante e principio ispiratore>. Questo divieto comporta, infatti, che, di fronte a un mutamento apportato in sede di riesame incidente sulle (sole) disposizioni oggetto del rinvio, il Governo non abbia altra alternativa al di fuori di ritenere che la nuova formulazione delle disposizioni censurate abbia eliminato i motivi di illegittimità prospettati nel rinvio e di non dar quindi corso all'impugnazione della legge davanti alla Corte costituzionale ovvero di ritenere che aspetti d'illegittimità permangano anche nella nuova versione e di sollevare pertanto le relative questioni di costituzionalità.

A corollario dei criteri enunciati, questa Corte ha ulteriormente precisato che, sempre al fine di qualificare una legge come <nuova>, non possono essere considerate rilevanti le modifiche apportate alle parti esterne al contenuto dispositivo della legge, in quanto non possono in alcun modo incidere sul significato normativo della stessa; nè le modifiche consistenti nel trasferimento dell'imputazione della spesa prevista dal bilancio di un anno finanziario a quello successivo, quando ciò si renda necessario in conseguenza del fatto che la mera evenienza del rinvio governativo abbia provocato lo slittamento delle spese da un anno finanziario all'altro (come nell'ipotesi di una legge rinviata in uno degli ultimi mesi di un anno e riapprovata in uno dei primi mesi dell'anno successivo).

Sulla base dei principi ora ricordati, la legge sottoposta alla riapprovazione del Consiglio regionale della Toscana nella seduta del 23 maggio 1989 e votata a maggioranza semplice nel corso della stessa seduta non può essere qualificata come legge <nuova> ai sensi dell'art. 127 della Costituzione. Le modifiche deliberate in quell'occasione, infatti, concernevano unicamente disposizioni normative oggetto delle censure contenute nel rinvio governativo e, pertanto, essendo direttamente consequenziali a quest'ultimo, hanno introdotto elementi che, alla stregua dei predetti criteri, non possono condurre a considerare quella legge come <nuova>. Nè alcun rilievo può esser riconosciuto all'affermazione della difesa regionale, per la quale il legislatore toscano avrebbe provveduto a rideliberare la legge con l'intento di allinearsi alle censure governative, poichè, come ha già precisato questa Corte (v. sent. n. 79 del 1989, punto 4), la <novità> di una legge è un dato obiettivo attinente all'oggetto e alla natura (non meramente linguistica) delle modifiche apportate. E neppure può esser riconosciuto un qualche rilievo all'elemento sottolineato dalla Presidenza del Consiglio dei ministri, secondo il quale i mutamenti intervenuti nella seconda deliberazione non sarebbero <significativi> e concreterebbero un adeguamento soltanto parziale (cioè un non-adeguamento), per il fatto che i criteri di definizione della <novità> di una legge prescindono dall'importanza (o essenzialità) delle modifiche apportate in sede di riesame e dalla idoneità di queste ultime a costituire un effettivo e completo adeguamento alle censure formulate nel rinvio governativo.

5.-Alla luce delle premesse di fatto e di diritto precisate nei punti precedenti, va accolta la questione di legittimità costituzionale sollevata dal Presidente del Consiglio dei ministri nei confronti dell'intera legge per violazione dell'art. 127 della Costituzione.

Poichè la legge sottoposta al voto del Consiglio regionale della Toscana nella seduta del 23 maggio 1989 non poteva esser qualificata come una legge <nuova>, essa avrebbe dovuto essere deliberata a maggioranza assoluta, e non-come invece è avvenuto-a maggioranza semplice. Questa Corte, infatti, ha già affermato che, per esser considerata <riapprovata> ai sensi dell'art. 127, ultimo comma, della Costituzione, una legge rinviata deve ottenere in ogni caso la maggioranza dei componenti il Consiglio regionale (v. sent. n. 79 del 1989).

La giustificazione di tale previsione costituzionale risiede nella particolare natura del sistema di controlli previsto dallo stesso art. 127, a norma del quale il rinvio governativo è configurato come l'esercizio di un potere di arresto o di blocco, attribuito a un'autorità esterna (Governo) alla cerchia dei soggetti partecipanti alla formazione della legge regionale, in vista della tutela dell'interesse unitario all'integrità del sistema costituzionale (o all'uniformità dell'indirizzo politico generale), interesse la cui responsabilità ricade per intero sullo Stato.

Come tale, il rinvio non è diretto a prospettare osservazioni o consigli volti, semplicemente, a sollecitare una riconsiderazione della legge sulle stesse basi e con la medesima maggioranza della prima deliberazione, ma, non diversamente dal veto governativo previsto in altri ordinamenti giuridici, consiste nella formulazione di chiare, precise e incondizionate contestazioni di legittimità costituzionale (o di merito), espressive di un potere di controllo svolto in nome di interessi riferiti all'intera comunità statale, i quali trascendono la <particolarità> connaturata all'autonomia legislativa regionale.

Pertanto, quando una legge regionale è sospettata di violare la legalità costituzionale ed è perciò rinviata dal Governo al riesame del Consiglio regionale, quest'ultimo può superare il blocco derivante dall'esigenza di tutelare il superiore interesse unitario alla legalità costituzionale soltanto attraverso un'espressione rafforzata della propria particolare autonomia legislativa. E questa espressione più forte e definitiva non può non consistere in una maggioranza, come quella assoluta, la quale dimostri che la legge, nel suo contenuto dispositivo formato a seguito del riesame causato dai rilievi governativi, corrisponde alla piena e consapevole volontà di una maggioranza effettiva del Consiglio regionale, e non già a quella di una maggioranza calcolata sulla base dei soli presenti.

La previsione della maggioranza assoluta per la riapprovazione di una legge regionale rinviata è logicamente interdipendente con il divieto di reiterazione del rinvio governativo. Come si è precedentemente affermato, il sistema previsto dall'art. 127, mentre, da un lato, suppone che, di fronte ad una legge non nuova, il Governo, dopo aver effettuato il rinvio della legge, possa solo proporre un ricorso di costituzionalità, dall'altro lato, condiziona la proponibilità del ricorso alla riapprovazione a maggioranza assoluta della legge rinviata. Sicchè, ove si riconoscesse alla regione di riapprovare la legge a maggioranza semplice nei casi in cui ritenesse di essersi adeguata ai rilievi contenuti nel rinvio, si precluderebbe arbitrariamente al Governo la possibilità di sollevare questioni di costituzionalità in tutte le ipotesi, invero assai numerose in pratica, in cui il Governo stesso fosse convinto che la regione non si fosse effettivamente adeguata ai propri rilievi e lo si costringerebbe, inoltre, a reiterare il rinvio, in violazione dell'art. 127 della Costituzione. In altre parole, se si ammettesse che la regione debba riapprovare a maggioranza assoluta la legge rinviata soltanto nei casi in cui voglia esprimere un atteggiamento <oppositivo> rispetto ai rilievi governativi, in considerazione dei molteplici casi di incertezza obiettiva sull'effettivo e completo adeguamento del legislatore regionale alle censure contenute nel rinvio, si riconoscerebbe alla regione la possibilità di paralizzare temporaneamente il potere del Governo di proporre il ricorso di costituzionalità e <si perverrebbe all'inammissibile risultato di riconoscere all'autore dell'atto da sottoporre a controllo il potere di determinare di volta in volta le possibili forme del controllo (rinvio o ricorso) sulla base di una supposta libertà di qualificare, in sede di riapprovazione, m un modo o nell'altro la legge rinviata> (v. sent. n. 79 del 1989).

Senza contare, poi, che l'ipotetica possibilità di diversificare la maggioranza a seconda dell'atteggiamento regionale (di conformazione o di contrapposizione) presuppone la scelta di un criterio <sostanzialistico> in ordine alla qualificazione della <novità> di una legge regionale (ai sensi dell'art. 127 della Costituzione), criterio che porterebbe alla massiccia insorgenza della catena di equivoci e di contestazioni sulla natura delle modificazioni apportate, che questa Corte, a partire dalla sentenza n. 40 del 1977, ha ben inteso di evitare.

Nè si può affermare che il vincolo costituzionale di riapprovare in ogni caso la legge rinviata con una maggioranza assoluta possa comportare un irrigidimento o un'alterazione della comune attività legislativa della regione, sia perchè l'esigenza di una più ampia maggioranza è funzionale a una più comprensiva e più serena valutazione da parte del Consiglio regionale degli aspetti di incostituzionalità denunziati dal Governo, sia perchè ogni potestà legislativa, inclusa quella regionale è, per definizione, una potestà libera. Quest'ultima connotazione comporta, più in particolare, che il legislatore regionale possiede sempre la piena disponibilità del testo normativo sottoposto alla propria deliberazione, nel senso che lo può modificare nelle parti e nei modi ritenuti più opportuni, lo può ritirare o può rinunciare ad esso e può, persino, iniziare un nuovo procedimento legislativo sulla stessa materia avente ad oggetto, come nella vicenda in esame, anche un testo normativo identico a quello votato nella prima deliberazione salva l'espunzione delle disposizioni contestate. Questa flessibilità propria della potestà legislativa, la quale può subire autolimitazioni soltanto ad opera dello stesso legislatore regionale nell'esercizio della sua autonomia statutaria o regolamentare, si conserva anche nel caso di una legge colpita da un rinvio, poichè questo, quando non concerna vizi di formazione della stessa legge, ha come suo diretto oggetto le disposizioni sottoposte alle censure in esso contenute, e non già l'intero atto normativo.

6.-Dal momento che la legge rinviata è stata deliberata in seconda votazione con la sola maggioranza semplice, il Presidente del Consiglio regionale avrebbe dovuto dichiararla <non approvata> e non avrebbe dovuto inviarla al Commissario del Governo per l'apposizione del visto. Ma, poichè il Presidente del Consiglio regionale si è comportato in modo esattamente opposto a quello richiesto dalle norme costituzionali, il Governo si è trovato di fronte a una legge sicuramente illegittima, per violazione dell'art. 127, u.c., della Costituzione. Trattandosi di una legge già rinviata, esso avrebbe dovuto impugnare la legge davanti a questa Corte, poichè, a partire dalla sentenza n. 79 del 1989, ogni legge regionale che in seconda deliberazione non risulti votata a maggioranza assoluta, deve considerarsi invalida per vizi di forma e sottoponibile al giudizio di questa Corte perchè ne sia dichiarata erga omnes l'inefficacia (art. 136 della Costituzione).

Tuttavia, anzichè procedere in tal modo, la Presidenza del Consiglio dei ministri ha preferito inviare al Presidente del Consiglio regionale della Toscana una nota con la quale comunicava che, essendo stata rideliberata a maggioranza semplice, la legge non poteva considerarsi riapprovata ed <avere quindi ulteriore seguito>, sicchè veniva meno ogni possibilità per il Commissario del Governo di apporvi il visto. La via prescelta da parte della Presidenza del Consiglio dei ministri non può essere condivisa, per il semplice fatto che non può esser riconosciuto nè al Governo nè a qualsiasi altra autorità governativa il potere di accertare o di dichiarare l'eventuale decadenza di un procedimento legislativo regionale. Essa, inoltre, presenta il serio rischio che, di fronte alla mancata proposizione da parte del Governo di un ricorso di costituzionalità entro il quindicesimo giorno dalla comunicazione della legge e allo spirare del termine in seguito al quale il visto doveva considerarsi come apposto, il Presidente regionale avrebbe potuto procedere alla promulgazione della legge, nonostante il fondato sospetto nutrito dal Governo sulla illegittimità costituzionale della stessa.

Sta di fatto, comunque, che l'anzidetta nota non può essere interpretata come un rinvio, poichè di questo non ha nè la sostanza, nè la forma: non la prima, perchè non è il frutto di una deliberazione del Governo; non la seconda, perchè le considerazioni in esso contenute sono espressamente imputate alla Presidenza del Consiglio dei ministri, e non già al Governo.

Sicchè, in mancanza di un atto, come il rinvio, che avrebbe posto nuovamente la legge nella disponibilità del Consiglio regionale e con lo spirare dei termini per la promulgazione della stessa legge, il procedimento legislativo di cui si discute deve considerarsi decaduto e la successiva <riapprovazione> della stessa legge, avvenuta nella seduta del 18 luglio 1989, un atto palesemente illegittimo.

Per tali motivi va accolto il ricorso del Presidente del Consiglio dei ministri contro la delibera consiliare da ultimo menzionata, tanto più che non pub accordarsi alcun fondamento alla pretesa della difesa regionale di considerarla come una correzione di un precedente errore materiale, dal momento che, se di errore si fosse realmente trattato, questo poteva esser corretto soltanto prima che il Consiglio regionale si fosse spogliato del potere di deliberare sulla legge attraverso l'invio della stessa al Commissario del Governo.

Resta assorbito ogni altro profilo d'illegittimità costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara l'illegittimità costituzionale della legge della Regione Toscana, dal titolo <Nuova disciplina dell'I.R.P.E.T. (Istituto Regionale Programmazione economica della Toscana)>, riapprovata il 18 luglio 1989.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 19/03/90.

Francesco SAJA, PRESIDENTE

Antonio BALDASSARRE, REDATTORE

Depositata in cancelleria il 04/04/90.