Ordinanza n. 130 del 1990

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ORDINANZA N.130

ANNO 1990

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

Prof. Francesco SAJA, Presidente

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO

Dott. Aldo CORASANITI

Prof. Giuseppe BORZELLINO

Dott. Francesco GRECO

Prof. Renato DELL'ANDRO

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

Prof. Antonio BALDASSARRE

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

Avv. Mauro FERRI

Prof. Luigi MENGONI

Prof. Enzo CHELI

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 60 della legge 31 luglio 1954, n. 599 (Stato dei sottufficiali dell'Esercito, della Marina e dell'Aereonautica), promosso con ordinanza emessa il 5 aprile 1989 dal Consiglio di Stato sul ricorso proposto da Falzoi Santino contro il Ministero della difesa, iscritta al n. 392 del registro ordinanze 1989 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 37, prima serie speciale, dell'anno 1989.

Visto l'atto di costituzione di Falzoi Santino, nonchè l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 20 febbraio 1990 il Giudice relatore Ettore Gallo;

uditi l'avvocato Vita Spallitta per Falzoi Santino e l'Avvocato dello Stato Mario Cevaro per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto che, con ordinanza 5 aprile 1989, il Consiglio di Stato (Sez. IV) sollevava questione di legittimità costituzionale dell'art. 60 della legge 31 luglio 1954, n. 599, in riferimento all'art. 3 della Costituzione;

che nell'ordinanza il giudice rimettente riferiva che il Tribunale di Lucca aveva condannato il Sergente maggiore Santino Falzoi per il delitto di furto aggravato, concedendogli i cosidetti benefici di legge;

che, a seguito di ciò, in applicazione dell'articolo impugnato ed in relazione all'art. 33 codice penale militare di pace (che prevede la rimozione dal grado in caso di condanna per taluni delitti, tra cui il furto), il Ministro della difesa, con proprio decreto, privava del grado il sergente maggiore a far epoca dal passaggio in giudicato della sentenza penale;

che il Falzoi allora ricorreva avverso il provvedimento al T.A.R. Toscana, che respingeva il ricorso ed il Falzoi proponeva appello al Consiglio di Stato, il quale sollevava la questione di legittimità sopra enunciata già con ordinanza 9 gennaio 1986;

che questa Corte, però, con ordinanza 17 dicembre 1987 n. 532, aveva dichiarato inammissibile la proposta questione, in aderenza a precedenti pronunzie, in quanto aveva ritenuto che la censurata automaticità delle sanzioni derivasse da scelte rimesse alla insindacabile volontà del legislatore;

che, come si è detto, il Consiglio di Stato solleva ora nuovamente la questione, nei limiti sopra riportati, in quanto questa Corte, con sentenza 14 ottobre 1988 n. 971, radicalmente modificando l'orientamento espresso con la sentenza n. 270 del 1986, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale di numerose disposizioni che prevedevano la destituzione ex lege di altrettante categorie di pubblici dipendenti, collegata alla condanna penale per talune ipotesi di reato: e ciò in quanto veniva caducata la norma generale di cui all'art. 85 del Testo Unico n. 3 del 1957;

che, secondo il giudice rimettente, la sentenza dichiarativa di illegittimità costituzionale di una norma, avendo efficacia erga omnes dal giorno successivo alla pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale, al pari della norma giuridica, porta a considerare di portata analoga allo jus superveniens l'incisione che in concreto la sentenza produce nell'assetto normativo della materia;

che da ciò deriverebbe, pertanto, sia la possibilità di risollevare la questione dopo l'intervento del nuovo orientamento della Corte, sia la necessità di risottoporre al suo giudizio la questione, non avendo la citata sentenza preso in espressa considerazione anche l'articolo impugnato;

che è intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato dall' Avvocatura generale dello Stato, la quale ha chiesto che la questione sia dichiarata inammissibile ai sensi dell'art. 24, secondo comma, della legge costituzionale 11 marzo 1953, n. 1, secondo cui l'eccezione di legittimità costituzionale può essere proposta soltanto <all'inizio di ogni grado ulteriore del processo>;

che l'Avvocatura, chiede, comunque, che la questione sia dichiarata infondata nel merito;

che si è costituita altresì ritualmente la parte privata, rappresentata e difesa dall'avvocatessa Vita Maria Spallitta del foro di Roma, che ha presentato lunga e ampiamente motivata memoria di completa adesione alla tesi sollevata dall'ordinanza di rimessione.

Considerato che è ormai entrata in vigore la legge 7 febbraio 1990, n. 19 (Modifiche in tema di circostanze, sospensione condizionale della pena e destituzione di pubblici dipendenti), pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale del 13 febbraio u.s.;

che l'art. 4 di tale legge dispone la sostituzione dell'art. 166 codice penale, il cui nuovo primo comma estende alle pene accessorie la sospensione condizionale della pena, e l'art. 8 sopprime l'art. 69 del codice penale militare di pace;

che, conseguentemente, in forza della nuova legge, tutte le pene accessorie militari sono soggette alla sospensione condizionale concessa per la pena principale;

che d'altra parte, l'art. 9 della legge in parola avverte che <il pubblico dipendente non può essere destituito di diritto a seguito di condanna penale>, e perciò abroga ogni contraria disposizione di legge, dettando norme per l'inizio del procedimento disciplinare;

che, pertanto, il giudice a quo, a seguito della nuova legge, che viene ad incidere proprio sui punti controversi del merito della sollevata questione, dovrebbe di regola riesaminare se questa sia ancora rilevante, ma che a ciò sembra frapporsi l'eccezione di inammissibilità proposta dall'Avvocatura generale dello Stato, accogliendo la quale questa Corte dovrebbe procedere alla declaratoria;

che, però, ferma restando l'esattezza di quanto, in via generale, è stato osservato dall'Avvocatura dello Stato, va rilevato, tuttavia, che allorquando la situazione dell'ordinamento risulti oggettivamente modificata a seguito di radicale mutamento della giurisprudenza di questa Corte, che abbia caducato il principio in base al quale era stata dichiarata una precedente inammissibilità, la questione sollevata non può ritenersi identica a quella già portata all'esame della Corte;

che, di conseguenza, l'eccezione dev'essere respinta e gli atti vanno restituiti al giudice rimettente affinchè riesamini la situazione alla luce della nuova legge, rivalutandone la rilevanza.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

ordina la restituzione degli atti al Consiglio di Stato-Sez. IV giurisdizionale-affinchè rivaluti la rilevanza della questione alla luce della sopravvenuta legge 7 febbraio 1990, n. 19 (Modifiche in tema di circostanze, sospensione condizionale della pena e destituzione di pubblici dipendenti).

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 07/03/90.

Francesco SAJA, PRESIDENTE

Ettore GALLO, REDATTORE

Depositata in cancelleria il 16/03/90.