Ordinanza n. 75 del 1990

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ORDINANZA N.75

 

ANNO 1990

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

 

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

 

Prof. Francesco SAJA, Presidente

 

Prof. Giovanni CONSO

 

Prof. Ettore GALLO

 

Dott. Aldo CORASANITI

 

Prof. Giuseppe BORZELLINO

 

Dott. Francesco GRECO

 

Prof. Renato DELL'ANDRO

 

Prof. Gabriele PESCATORE

 

Avv. Ugo SPAGNOLI

 

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

 

Prof. Antonio BALDASSARRE

 

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

 

Avv. Mauro FERRI

 

Prof. Luigi MENGONI

 

Prof. Enzo CHELI

 

ha pronunciato la seguente

 

ORDINANZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 16 della legge 23 agosto 1988, n. 400 (Disciplina dell'attività di Governo e ordinamento della Presidenza del Consiglio dei ministri) e del decreto-legge 24 marzo 1989, n. 102 (Disposizioni urgenti in materia di pubblico impiego), promosso con ordinanza emessa il 24 aprile 1989 dalla Corte dei conti nei ricorsi riuniti proposti dal Procuratore generale contro Iovino Attilio ed altri, iscritta al n. 428 del registro ordinanze 1989 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 39/1a serie speciale dell'anno 1989.

 

Visto l'atto di intervento del Presidente dei Consiglio dei ministri;

 

udito nella camera di consiglio del 13 dicembre 1989 il Giudice relatore Aldo Corasaniti.

 

Ritenuto che la Corte dei conti, sezione quarta giurisdizionale, nel corso di un giudizio promosso dal Procuratore generale presso di essa -per l'annullamento di cinque decreti del Ministero della difesa che, in ottemperanza a decisioni dei T.A.R. del Lazio e del Piemonte, per cinque ufficiali (Attilio Jovino, Battista Berruti, Aldo Alterio, Domenico Spagnolo, Bruno Barosini) collocati in ausiliaria prima del limite raggiungibile in relazione al grado, riliquidavano il trattamento di quiescenza in relazione agli incrementi della retribuzione ed agli emolumenti resi pensionabili successivamente al congedo, previsti in via generale per il personale in servizio dalle leggi 11 luglio 1980, n. 312 e 6 agosto 1981, n. 432-ha sollevato, con ordinanza emessa il 24 aprile 1989, questione di legittimità costituzionale, in riferimento all'art. 100, secondo comma, Cost., del decreto-legge 24 marzo 1989, n. 102 (Disposizioni urgenti in materia di pubblico impiego) per il suo mancato assoggettamento al controllo preventivo di legittimità di essa Corte dei conti, e, in via mediata, in riferimento allo stesso art. 100, secondo comma, Cost., dell'art. 16 della legge 23 agosto 1988, n. 400 (Disciplina dell'attività di Governo e ordinamento della Presidenza del Consiglio dei ministri), che esclude gli atti del Governo aventi forza di legge da tale controllo preventivo;

 

che a sostegno della domanda di annullamento dei decreti il Procuratore generale, discostandosi dall'interpretazione data dal Ministero della difesa all'art. 1-bis, terzo comma, del d.l. 23 dicembre 1978, n.814 (Proroga del termine previsto dagli artt. 15 e 17 della legge 10 dicembre 1973, n. 804, per il collocamento in aspettativa per riduzione di quadri degli ufficiali delle Forze armate e dei Corpi di polizia) convertito, con modificazioni, nella legge 19 febbraio 1979, n. 52, ha affermato che gli ufficiali collocati in ausiliaria hanno titolo a fruire non già della riliquidazione del trattamento di quiescenza in occasione di incrementi di retribuzione concessi in via generale al personale in servizio, bensì soltanto delle conseguenze favorevoli connesse all'anzianità maturabile, nonchè alla progressione economica individuale conseguibile, fino al limite di età;

 

che nel corso del giudizio veniva emanato il decreto-legge 24 marzo 1989, n.102 (Disposizioni urgenti in materia di pubblico impiego) che recava (art.4, secondo comma) un'interpretazione autentica del detto art. 1-bis del d.l. n. 814 del 1978 sostanzialmente analoga a quella fornita dal Procuratore generale e disponeva (art. 4, quarto comma) che gli eventuali maggiori trattamenti spettanti o in godimento conseguenti a difformi interpretazioni del citato art. 1-bis del d.l. n. 814 del 1978, fossero conservati ad personam e riassorbiti con la normale progressione economica di carriera o con i futuri miglioramenti dovuti sul trattamento di quiescenza;

 

che il giudice a quo, premesso che per la soluzione della controversia occorreva fare applicazione di entrambe le citate norme contenute nell'art.4 del provvedimento sopravvenuto, rilevava che il d.l. non era stato assoggettato al controllo preventivo di essa Corte dei conti a seguito dell'esclusione da tale controllo disposta dall'art. 16 della legge n. 400 del 1988;

 

che nel giudizio è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, concludendo in via principale per la restituzione degli atti al giudice a quo in quanto il decreto legge impugnato aveva perduto efficacia per mancata conversione nel termine, al pari dei successivi dd.ll. 26 maggio 1989, n. 191 e 26 luglio 1989, n. 260, mentre era rimasto in vigore soltanto il successivo d.l. 23 settembre 1989, n. 326 (che peraltro, come i due precedenti, si limitava a riprodurre, per quanto qui rileva, solamente la disposizione relativa alla conservazione dei trattamenti economici spettanti o in godimento per effetto di interpretazioni difformi), ed eccependo, in linea subordinata, l'infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 16 della legge n. 400 del 1988 perchè risolta negativamente dalla sentenza di questa Corte n. 406 del 1989.

 

Considerato che il decreto-legge 24 marzo 1989, n. 102 non è stato convertito entro il termine di sessanta giorni dalla sua pubblicazione, come risulta dal comunicato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 119, serie generale, del 24 maggio 1989;

 

che i decreti legge successivamente emanati in materia (d.l. 26 maggio 1989, n. 191; d.l. 26 luglio 1989, n. 260)-che, del resto, del decreto denunciato riproducono, per quanto qui rileva, la sola norma relativa alla conservazione dei trattamenti economici spettanti o in godimento -non sono del pari stati convertiti nel termine, nè lo è stato il successivo, ed analogo, decreto-legge 23 settembre 1989, n. 326 (Gazzetta Ufficiale, serie generale, n.277 del 27 novembre 1989);

 

che pertanto, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte (v. da ultimo le ordd. nn. 447 e 344 del 1989), la questione di legittimità costituzionale del decreto-legge denunciato deve essere dichiarata manifestamente inammissibile, rimanendo assorbito l'esame della questione di legittimità costituzionale, in riferimento all 'art . 1 00, secondo comma , della Costituzione, dell'art. 16 della legge 23 agosto 1988, n. 400, questione, quest'ultima, che questa Corte ha peraltro già risolto negativamente, in sede di conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato sollevato dalla stessa Corte dei conti, con la sentenza n. 406 del 1989.

 

Visti gli artt. 26 della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle e norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

 

PER QUESTI MOTIVI

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale, in riferimento all'art. 100, secondo comma, della Costituzione, del decreto-legge 24 marzo 1989, n. 102 (Disposizioni urgenti in materia di pubblico impiego) e dell'art.16 della legge 23 agosto 1988, n. 400 (Disciplina dell'attività di Governo e ordinamento della Presidenza del Consiglio dei ministri), come sollevata dalla Corte dei conti con l'ordinanza indicata in epigrafe.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 20/02/90.

 

Francesco SAJA, PRESIDENTE

 

Aldo CORASANITI, REDATTORE

 

Depositata in cancelleria il 22/02/90.