Sentenza n.60 del 1990

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SENTENZA N.60

 

ANNO 1990

 

REPUBBLICA ITALIANA

 

In nome del Popolo Italiano

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

 

Dott. Francesco SAJA Presidente

 

Prof. Giovanni CONSO

 

Prof. Ettore GALLO

 

Dott. Aldo CORASANITI

 

Prof. Giuseppe BORZELLINO

 

Dott. Francesco GRECO

 

Prof. Renato DELL'ANDRO

 

Prof. Gabriele PESCATORE

 

Avv. Ugo SPAGNOLI

 

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

 

Prof. Antonio BALDASSARRE

 

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

 

Avv. Mauro FERRI

 

Prof. Luigi MENGONI

 

Prof. Enzo CHELI

 

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nei giudizi di legittimità costituzionale degli artt. 29, 219 e 230, comma terzo, del codice penale militare di pace e dell'art. 166 del codice penale, promossi con le seguenti ordinanze:

 

1) ordinanza emessa il 30 marzo 1989 dal Tribunale militare di Padova nel procedimento penale a carico di Ruggiero Lorenzo, iscritta al n. 298 del registro ordinanze 1989 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 25, prima serie speciale, dell'anno 1989;

 

2) ordinanza emessa il 6 giugno 1989 dal Tribunale militare di Padova nel procedimento penale a carico di Purpiglia Pasquale, iscritta al n. 410 del registro ordinanze 1989 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 37, prima serie speciale, dell'anno 1989;

 

3) ordinanza emessa l'8 giugno 1989 dal Tribunale militare di Padova nel procedimento penale a carico di Lucchini Franco, iscritta al n. 411 del registro ordinanze 1989 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 37, prima serie speciale, dell'anno 1989.

 

Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

 

udito nella camera di consiglio del 13 dicembre 1989 il Giudice relatore Ettore Gallo.

 

Ritenuto in fatto

 

1. - Con ordinanza 30 marzo 1989, il Tribunale militare di Padova sollevava questione di legittimità costituzionale degli artt. 230, comma terzo, codice penale militare di pace, e 166 codice penale, con riferimento agli artt. 3 e 27, primo e terzo comma, della Costituzione.

 

Riferiva il Tribunale nell'ordinanza che un finanziere si era impossessato, al fine di trame profitto, di una paletta segnaletica in dotazione ad autovettura militare, sottraendola all'Amministrazione militare che la deteneva.

 

Il finanziere, all'esito del dibattimento, doveva essere riconosciuto colpevole e, in presenza di circostanze attenuanti, condannato ad un mese di reclusione militare, così come richiesto dal pubblico ministero. Inoltre, potendosi presumere che il finanziere si sarebbe astenuto dal commettere ulteriori reati, a lui dovrebbe essere anche concessa la sospensione condizionale della pena. Ciononostante, al finanziere dovrebbe essere applicata, oltre alla pena principale, anche quella accessoria della rimozione dal grado, statuita ope legis ex art. 230, comma terzo, codice penale militare di pace.

 

Dubita, però, il Tribunale della legittimità della rimozione di diritto sulla base di quanto affermato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 971 del 1988. Ivi questa Corte, pronunziando sulla destituzione di diritto prevista per gl'impiegati civili dello Stato a seguito di condanna per taluni reati (art. 85, lett. a), D.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3), ha rilevato la contraddizione dell'automatismo di sanzioni penali e disciplinari con il principio di eguaglianza che esige l'adeguamento del trattamento sanzionatorio alla concreta gravità dell'illecito.

 

Ma allo stesso risultato - secondo il giudice a quo - dovrebbero portare anche i principi di cui all'art. 27, primo e terzo collima, della Costituzione.

 

Ritiene, infine, l'ordinanza che anche l'art. 166 del codice penale sia incompatibile con gli stessi parametri, dato che, nonostante la concessione della sospensione condizionale, quella norma ne limita gli effetti alla pena principale. Conseguentemente viene sottoposto a pena accessoria tanto chi non lascia sperare di astenersi dal commettere ulteriori reati, quanto colui che ha dato segni tali di ravvedimento da convincere il giudice che si asterrà dalla commissione di ulteriori illeciti penali.

 

2.- Con due successive ordinanze del 6 e dell'8 giugno 1989, il Tribunale militare di Padova sollevava ancora le stesse predette questioni, e in riferimento agli stessi parametri. La prima ordinanza concerneva il peculato militare di Lit. venticinquemila commesso da un appuntato dei carabinieri ai danni dell'Amministrazione militare; la seconda si riferiva al furto militare pluriaggravato di quattro taniche di gasolio da litri 20 ciascuna, commesso da un appuntato scelto della Guardia di finanza ai danni dell'Amministrazione militare.

 

Quest'ultimo, tuttavia, doveva rispondere altresì di disobbedienza continuata aggravata (art. 173 codice penale militare di pace).

 

Per ambo i casi, però, pacifica la responsabilità a seguito delle risultanze dibattimentali, si prospettava - secondo le ordinanze - prevalenza di attenuanti in guisa da doversi ritenere, sulla base dei criteri indicati nell'art. 133 codice penale, che la pena da infliggere non supererà gli anni due di reclusione e che, attesa la levità dei fatti e il ravvedimento dimostrato, potrà essere concessa la sospensione condizionale della pena.

 

Di qui l'insorgenza delle stesse questioni sollevate con l'ordinanza di cui al paragrafo che precede. Ad esse, però, le ordinanze in esame aggiungono un'ulteriore subordinata questione, concernente l'art. 29, secondo comma, codice penale militare di pace.

 

Fanno presente, infatti, le ordinanze che, a seguito dell'auspicata delegittimazione dell'art. 230, terzo comma, codice penale militare di pace, i due condannati incorrerebbero comunque, nella stessa pena accessoria della rimozione de jure dal grado, in forza del disposto di cui al citato secondo comma dell'art. 29 codice penale militare di pace, per il quale la rimozione va in ogni caso applicata se la pena riportata da un graduato di truppa supera l'anno di reclusione.

 

Poichè, però, lo stesso articolo prevede, invece, che, per ufficiali e sottufficiali, tale grave conseguenza si verifichi soltanto quando la pena superi i tre anni di reclusione, denuncia il Tribunale, ex art. 3 della Costituzione, la carenza di ogni ragionevole giustificazione in siffatto divario del trattamento sanzionatorio. Chè semmai la posizione di maggiore responsabilità di questi ultimi, nell'ambito delle Forze Annate, avrebbe potuto giustificare il contrario.

 

3.- Interveniva nei giudizi innanzi a questa Corte il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato dall'Avvocatura generale dello Stato.

 

Secondo l'Avvocatura le questioni sollevate non hanno fondamento. La pena accessoria della rimozione de jure dal grado corrisponde all'interdizione perpetua dai pubblici uffici prevista dal codice penale comune per taluni delitti o in relazione alla quantità della pena inflitta. Peraltro, é ragionevole che sia il legislatore stesso a stabilire de jure quali siano le situazioni d'incompatibilità a permanere in funzioni di comando di coloro che sono stati condannati per reati infamanti o a pene molto gravi. Per queste stesse ragioni, ma anche a cagione della natura diversa della pena accessoria, appare ragionevole che la condanna condizionale si riferisca soltanto alla pena principale.

 

Considerato in diritto

 

1.-Poichè tutte le ordinanze sollevano sostanzialmente le stesse questioni e si riferiscono agli stessi parametri costituzionali, i giudizi possono essere riuniti per essere decisi con unica sentenza.

 

2.-Lamenta il Tribunale militare di Padova che l'automaticità della pena accessoria della rimozione dal grado, nei casi previsti dalla legge militare, instauri un trattamento sanzionatorio eguale per situazioni diverse, violando l'art. 3 della Costituzione.

 

Ben diversa, infatti, è la situazione di chi abbia mostrato ravvedimento tale da indurre il giudice a sospendere condizionalmente la pena inflitta con la condanna, rispetto a quella di chi, per il suo comportamento o per la gravità dei precedenti penali, non abbia potuto ottenere lo stesso beneficio.

 

Inoltre poi l'automaticità della sanzione accessoria priva il giudice del potere-dovere di adeguare la pena al disvalore del fatto e alle circostanze nelle quali si è realizzato, così vanificando l'art. 27, primo e terzo comma, della Costituzione.

 

D'altra parte, l'inefficacia della sospensione condizionale della pena in ordine alla pena accessoria sarebbe parimenti incompatibile con l'art. 3 della Costituzione per le stesse cause più sopra indicate; è, infatti, evidente che colui che abbia mostrato volontà e capacità di recupero e quindi dato affidamento in ordine alla non ulteriore commissione di reati, viene trattato alla stessa stregua di chi tale non sia apparso al giudice, o comunque immeritevole si presenti di fronte alla legge di godere del beneficio.

 

Infine, osservano altresì subordinatamente le ultime due ordinanze che, qualora venisse a cadere l'automaticità della pena accessoria, la Corte dovrebbe dichiarare anche l'illegittimità dell'art. 29, secondo comma, codice penale militare di pace, per violazione dell'art. 3 della Costituzione, nella parte in cui stabilisce la stessa automatica pena accessoria in ragione della misura della pena: facendola, però, conseguire ad una pena superiore ad un anno di reclusione per i graduati di truppa, e superiore a tre anni invece per ufficiali e sottufficiali.

 

Eguaglianza esige, infatti, che non si tenga alcun conto di siffatte differenze, le quali semmai dovrebbero comportare conseguenze inverse.

 

3. - La questione concernente la pena accessoria de jure, prevista dall'art. 230, comma terzo, codice penale militare di pace, è già stata risolta da questa Corte, negli stessi termini prospettati dalle ordinanze in esame e in riferimento agli stessi parametri, con sentenza 7 novembre 1989, n. 490, che l'ha dichiarata inammissibile.

 

Nessun nuovo profilo, o diverso argomento, essendo stato prospettato dalle ordinanze de quibus, la questione dev'essere ora dichiarata manifestamente inammissibile.

 

In tale dispositivo resta altresì assorbita la questione subordinatamente sollevata in ordine all'art. 29 codice penale militare di pace, per l'ipotesi in cui fosse stata accolta la prima questione. Poichè questa viene, invece, disattesa, la questione dell'art. 29 resta assorbita, dato che per tutte le ipotesi in esame la pena accessoria dipende dalla specie dei reati e non dalla quantità della pena.

 

4.-Per quanto si riferisce, infine, alla questione sollevata in ordine all'art. 166 codice penale, pur riconoscendo la Corte che il problema esiste, ritiene, tuttavia, che la sua risoluzione meglio s'addica ai poteri discrezionali del legislatore a causa della necessità di adottare provvedimenti conseguenti in ordine a situazioni connesse (effetti penali della condanna, provvedimenti riguardanti i minori), al diritto transitorio, e al necessario coordinamento in relazione al nuovo codice di procedura penale.

 

Al che, del resto, il legislatore sembra seriamente intenzionato a provvedere mediante il disegno di legge governativo, presentato dal Ministro di grazia e giustizia (di concerto con il Ministro per la funzione pubblica) ed approvato, in sede legislativa, dalla Commissione Giustizia della Camera dei deputati il 20 luglio 1988 e di nuovo in discussione davanti alla stessa Commissione Giustizia nella seduta del 15 novembre 1989.

 

Nel passaggio dall'una all'altra Commissione, l'articolo concernente l'estensione alle pene accessorie degli effetti della sospensione condizionale è sempre rimasto fermo ed unanimamente approvato: nel disegno stesso è data sistemazione anche alle situazioni transitorie, con possibilità di reintegrazione, a domanda, del destituito, previo riesame della posizione in sede disciplinare.

 

PER QUESTI MOTIVI

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

riuniti i giudizi,

 

1) dichiara manifestamente inammissibile la questione di legittimità costituzionale * dell'art. 230, comma terzo, codice penale militare di pace, * Adde: dell'art. 219 e (vedi ordinanza per la correzione di errore materiale n. 214 del 1990). con riferimento agli artt. 3 e 27, primo e terzo comma della Costituzione, sollevata dal Tribunale militare territoriale di Padova con le ordinanze 30 marzo, 6 e 8 giugno 1989;

 

2) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 166 codice penale, in riferimento agli artt. 3 e 27, primo e terzo comma della Costituzione, sollevata dal Tribunale militare di Padova con tutte le ordinanze indicate in epigrafe.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 31 Gennaio 1990.

 

Francesco SAJA, PRESIDENTE

 

Ettore GALLO, REDATTORE

 

Depositata in cancelleria il 02 Febbraio 1990.

 

* Adde: dell'art. 219 e (vedi ordinanza per la correzione di errore materiale n. 214 del 1990)