Sentenza n.40 del 1990

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SENTENZA N.40

ANNO 1990

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

Dott. Francesco SAJA Presidente

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO

Dott. Aldo CORASANITI

Prof. Giuseppe BORZELLINO

Dott. Francesco GRECO

Prof. Renato DELL'ANDRO

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

Prof. Antonio BALDASSARRE

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

Avv. Mauro FERRI

Prof. Luigi MENGONI

Prof. Enzo CHELI

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 139, 142 e 158 della legge 16 febbraio 1913, n. 89 (Ordinamento del notariato e degli archivi notarili), promosso con ordinanza emessa il 14 dicembre 1988 dal Tribunale di Roma nel procedimento penale a carico di Colombi Carlo ed altri, iscritta al n. 431 del registro ordinanze 1989 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 39, prima serie speciale, dell'anno 1989. Visto l'atto di costituzione di Colombi Carlo ed altri;

udito nell'udienza pubblica del 28 novembre 1989 il Giudice relatore Ettore Gallo; udito l'avv. Giuseppe Gianzi per Colombi Carlo ed altri.

Ritenuto in fatto

1.- Con ordinanza 14 dicembre 1988 il Tribunale di Roma ha sollevato questione di legittimità costituzionale degli artt. 139, 142 e 158 della legge 16 febbraio 1913 n. 89 (Ordinamento del notariato e degli archivi notarili) con riferimento all'art. 3 della Costituzione.

Secondo il Tribunale di Roma le norme della legge notarile che prevedono la destituzione e l'inabilitazione di diritto del notaio che abbia riportato condanna per alcuno dei reati indicati nell'art. 5 n. 3 della legge medesima, contrasterebbero con il principio di ragionevolezza di cui all'art. 3 della Costituzione: e ciò in quanto le dette sanzioni troverebbero applicazione automatica, senza che la condotta del notaio venga valutata in sede disciplinare. In proposito, l'ordinanza richiama la sentenza n. 971 del 1988 di questa Corte, che ha dichiarato l'illegittimità dell'art. 85 lett. a) del d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3 (Statuto degli impiegati civili dello Stato) nonchè di altre norme, proprio nella parte in cui "non prevedono in luogo del provvedimento di destituzione di diritto, l'apertura e lo svolgimento del procedimento disciplinarci.

Secondo il Tribunale, i principi ai quali ha fatto riferimento la Corte nella richiamata sentenza non possono non valere per le norme della legge notarile sopra richiamate; e ciò in quanto anche in esse l'applicazione delle gravi misure della inabilitazione e della destituzione avviene in via automatica, senza quel doveroso approfondimento del caso concreto, come avviene in sede disciplinare.

Nè potrebbe aver rilievo, ad avviso del Tribunale, la natura di misura cautelare che secondo parte della giurisprudenza dovrebbe riconoscersi alla inabilitazione.

Ed invero, quale che sia il fine cui tende tale misura, nulla esso toglie al carattere afflittivo della stessa, posto che ne consegue la preclusione all'esercizio delle funzioni notarili, così come per la destituzione; chè, anzi, rispetto a questa, tale effetto é immediato, essendo la pronunzia della inabilitazione esecutiva nonostante appello, (art. 158, quarto comma, della legge impugnata).

2.- L'ordinanza é stata regolarmente notificata, comunicata e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale. Dinanzi alla Corte costituzionale si é costituito il Colombi rappresentato e difeso dall'avv. Giuseppe Gianzi che, sviluppando le argomentazioni dell'ordinanza, chiede che venga dichiarata l'illegittimità costituzionale delle norme denunziate.

All'odierna udienza il difensore della parte privata ha insistito nelle già prese conclusioni.

Considerato in diritto

1. -Il Tribunale di Roma, richiamandosi alla sentenza n. 971 del 1988 di questa Corte, ha rilevato che gli stessi principi, cui la Corte si è riferita nella detta sentenza, debbono essere applicati a quelle norme della legge notarile che prevedono nei confronti dei notai gravi provvedimenti de jure, come la inabilitazione o la destituzione di diritto. Si tratta di misure fortemente afflittive, che privano il notaio dell'esercizio della professione, e che conseguono automaticamente a determinate situazioni, senza che la condotta del notaio possa essere adeguatamente valutata, caso per caso, nè da parte del giudice penale, nè in sede disciplinare.

In riferimento agl'impiegati civili dello Stato, questa Corte ha, infatti, dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 85, lett. a), del d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3, e di altre analoghe norme, proprio <nella parte in cui non prevedono, in luogo del provvedimento di destituzione di diritto, l'apertura e lo svolgimento del procedimento disciplinare>.

Secondo il Tribunale-a quanto si evince dall'ordinanza-la Corte avrebbe dovuto estendere la declaratoria d'illegittimità anche agli art.li 139, 142 e 158 della legge 16 febbraio 1913, n. 89 (Ordinamento del notariato e degli archivi notarili). In mancanza, viene sollevata l'odierna questione in riferimento all 'art . 3 della Costituzione, per violazione del principio di ragionevolezza.

2. - La proposta questione coinvolge due misure che non hanno identica natura: è opportuno, perciò, esaminare separatamente il profilo di legittimità costituzionale che le riguarda.

E' evidente, infatti, che l'inabilitazione è misura cautelare.

Ciò risulta chiaramente già dal testo degli artt. 139 e 140 della legge notarile, che prevedono la misura in relazione a situazioni di carattere provvisorio, concernenti la pendenza di procedimento disciplinare o di processo penale, oppure l'espiazione di una pena restrittiva della libertà personale ma conseguente alla condanna per reati diversi da quelli lesivi del prestigio o del decoro della professione.

Una misura, perciò, che è essa stessa provvisoria, perchè destinata a caducarsi o ad essere revocata quando vengono a cessare le situazioni che l'hanno determinata, o ad essere sostituita con una sanzione disciplinare definitiva.

La giurisprudenza della magistratura ordinaria è ormai pacifica sul punto, da quando nell'anno 1962 le Sezioni Unite della Corte di cassazione hanno sottolineato il carattere provvisorio del provvedimento, perciò definito <cautelare>, finalizzato appunto alla salvaguardia del prestigio e del decoro della funzione notarile.

Sotto tale riguardo, quindi, non sembra meritare censura il quarto comma dell'art. 158 impugnato, che tutela l'efficacia del provvedimento cautelare, nonostante l'appello; cosi come, del resto, si verifica per i provvedimenti interdittivi cautelari disposti dal giudice penale, e perfino per quelli cautelari restrittivi della libertà personale, nonostante vengano sotto posti a giudizio di riesame o alle ordinarie impugnazioni (artt. 309-310-311 codice di procedura penale); con la sola eccezione dell'ipotesi in cui il Tribunale, accogliendo l'appello del pubblico ministero, abbia disposto una misura cautelare che il giudice aveva negato (art. 310, terzo comma, codice procedura penale).

Ciò che, invece, non può essere più accettato, in relazione ai principi costituzionali, come giustamente lamenta l'ordinanza, è l'automatismo della misura cautelare, che deve inderogabilmente essere applicata sol che si presentino le situazioni di cui all'art. 139 della legge notarile. Vero è che, per due di esse (numeri 1 e 3), venendo a trovarsi il notaio in istato di privazione della libertà personale, anche se relativa (ipotesi di arresti domiciliari, etc.), è impensabile che possa essergli consentito di esercitare le funzioni notarili. Ma, a parte le difficoltà di fatto che vi si opporrebbero, le dette ipotesi sono estranee alla rilevanza del caso di specie, anche se l'ordinanza di rimessione ha investito l'intero art. 139 della legge notarile.

Il giudizio, pertanto, dovrà essere limitato all'ipotesi prevista nel n. 2 dell'art. 139 predetto: ipotesi pacificamente affidata alla competenza del giudice che procede, al quale dev'essere consentito di valutare discrezionalmente, in relazione alla gravità del fatto e delle sue circostanze nonchè alla personalità del soggetto agente, l'opportunità di applicare o meno la misura cautelare Esigenza tanto più sentita nell'attuale evoluzione dell'ordinamento giuridico-processuale, ove si rifletta che nemmeno in tema di misure cautelari coercitive della libertà personale esiste più alcuna preclusione, anche per i casi più gravi, al libero esercizio del potere discrezionale del giudice che procede. E ormai inaccettabile, perciò, che preclusioni gli vengano poste in ordine a semplici misure interdittive, quando il codice processuale penale non le pone, affidando alla discrezione del giudice sia la sospensione dall'esercizio di un pubblico ufficio (art. 289), sia il divieto temporaneo di esercitare determinate attività professionali. E vi sono sicuramente pubblici uffici, se non professioni, le cui funzioni rivestono non minore delicatezza e pari importanza delle funzioni notarili.

Sotto questo aspetto, pertanto, l'irrazionalità della disposizione che determina un trattamento gravemente differenziato a seconda che il pubblico ufficio sia quello inerente alle funzioni del notaio, o a quelle di altro pubblico ufficiale, appare evidente nel contesto dell'art. 3 della Costituzione: e ciò anche a prescindere dalla comparazione con altre professioni, come quella forense, dove pure esistono funzioni pubbliche, come quella di autenticazione di firme, senza che per questo la legge imponga de jure il divieto temporaneo di esercitare la professione in caso di condanna non definitiva per falsità, oppure per altro dei delitti elencati nel n. 3 dell'art. 5 della legge notarile.

Va, quindi, dichiarata l'illegittimità costituzionale del n. 2 dell'art. 139 della legge notarile in quanto fa obbligo al giudice di inabilitare de jure, anzichè sulla base delle valutazioni inerenti ai suoi poteri discrezionali, il notaio che sia stato condannato per alcuni dei reati indicati nell'art. 5 n. 3 con sentenza non ancora passata in cosa giudicata.

La facoltà discrezionale del giudice, peraltro, è già prevista nel secondo inciso dell'art. 140 della legge, ed essa si estenderà conseguentemente, dopo la presente declaratoria d'illegittimità, a <qualunque reato>, ivi compresi quelli di cui all'ora delegittimato n. 2 dell'art. 139.

Il secondo inciso dell'art. 140, pertanto, dovrà d'ora innanzi essere letto cancellando dal testo l'aggettivo indefinito <altro>, sicchè la nuova versione risulterà la seguente: <Può essere inabilitato all'esercizio delle sue funzioni... il notaro contro il quale sia stata pronunciata condanna non definitiva, per qualunque reato, a pena restrittiva della libertà personale non inferiore a tre mesi>.

Resta, tuttavia, da decidere la sorte del secondo inciso del n. 2 in parola, concernente l'ipotesi in cui <sia stata pronunciata la destituzione con sentenza o con provvedimento non ancora definitivi>.

Anche di questa parte dovrà essere dichiarata l'illegittimità, per le ragioni che vengono di seguito esposte.

3.-Sulla natura giuridica dell'istituto della <destituzione> del notaio molto si è dibattuto . Anche se contestata in dottrina, so stanziale prevalenza ha avuto in giurisprudenza la tesi della cosiddetta <natura mista>, secondo cui essa ha natura di sanzione disciplinare in relazione agli illeciti previsti dal primo comma dell'art. 142 della legge notarile, mentre avrebbe carattere di <effetto penale> della condanna la destituzione prevista dall'ultimo comma dell'art. 142.

L'opinione relativa a questa seconda ipotesi si è evidentemente formata con riguardo alla competenza, pacificamente attribuita all'autorità giudiziaria in ragione del fatto che a questa spetta la pronunzia della condanna da cui scaturisce de jure la destituzione. In realtà, invece, la nozione di <effetti penali della condanna> si sostanzia in quelle conseguenze giuridiche sfavorevoli che si ricollegano direttamente alla condanna stessa e che consistono nell'incapacità di conservare, esercitare o acquistare taluni diritti soggettivi o facoltà giuridiche, oppure di conseguire benefici di diritto penale, o che sottopongono il condannato a particolari aggravi. Si tratta di restrizioni giuridiche che trovano la loro matrice nello stesso illecito criminoso accertato dalla sentenza, sicchè è da escludere che vi possano essere ricompresi i provvedimenti di carattere privatistico o amministrativo che, soltanto per motivi di connessione, si affiancano al dispositivo penale, come la condanna ai danni o alle restituzioni quando sia stata esercitata in sede penale l'azione civile riparatoria, o la inflizione di sanzioni disciplinari a determinate categorie (impiegati civili dello Stato, magistrati, avvocati, notai).

Certo si tratta di provvedimenti connessi che sono occasionalmente condizionati dalla contestualità della condanna penale, ma essi rappresentano la reazione dell'ordinamento ad un illecito diverso da quello penale, anche se accertato congiuntamente ad esso.

Tanto meno, poi, si può parlare di <pena accessoria>, come è stato ventilato da lontana ed isolata giurisprudenza ordinaria, sia per le stesse ragioni ora accennate a proposito degli altri <effetti penali della condanna>, sia perchè, se qualche incertezza è potuta sorgere a proposito di questi ultimi, è dipeso dal fatto che il codice non li definisce, ed occorre, perciò, enuclearne la fisionomia contenutistica attraverso la numerosa e varia casistica del codice e delle leggi speciali. Le pene accessorie, al contrario, sono espressamente e tassativamente elencate dal codice penale nell'art. l9, e non esiste disposizione transitoria o di coordinamento che equipari la <destituzione del notaio> prevista dalla legge n. 89 del 1913 ad alcuna delle pene accessorie predette.

Nè potrebbe essere diversamente, ove si consideri che l'art. 135 della legge notarile ricomprende al n. 5 la <destituzione> fra le sanzioni disciplinari previste per i notai (anche se impropriamente, attesa la cultura dell'epoca, le definisce <pene>), sicchè non dovrebbe sussistere alcun dubbio che tale sia effettivamente la sua natura. La circostanza che la competenza ad infliggere la sanzione sia attribuita al giudice quando l'illecito disciplinare sia connesso alla commissione di un illecito penale, non ha altra spiegazione se non nel fatto che il giudice penale accerta contestualmente e l'uno e l'altro illecito, e non ha particolari valutazioni da esprimere sull'illecito disciplinare essendo la conseguente sanzione prevista de jure. Ma, in ogni altro caso, quando una valutazione di gravità, di opportunità, di circostanze, s'impone, la sanzione è inflitta dal giudice disciplinare che, per i notai, è il Tribunale civile in camera di consiglio: così come spetta sempre al Tribunale civile intervenire ogniqualvolta il giudice penale abbia concesso delle attenuanti, aprendo alla possibilità della sostituzione della sanzione massima con quella molto meno grave della <sospensione> (art. 144 della legge notarile).

Una volta così accertato che la <destituzione>, prevista per i notai che mancano al proprio dovere dall'art. 135 della legge, ha natura di sanzione disciplinare, sia quando viene applicata dal giudice civile, sia quando venga inflitta de jure dal giudice penale in occasione della condanna per uno dei reati indicati nell'art. 5 n. 3 della legge, la soluzione del quesito proposto dal Tribunale di Roma con la sollevata questione è consequenziale alla premessa.

A questo punto, infatti, non può esservi più alcuna difficoltà a riconoscere che le ragioni che hanno indotto la Corte a dichiarare, nella invocata sentenza n. 971 del 1988, l'incompatibilità dell'automatismo della sanzione della <destituzione> dell'impiegato civile di un ente pubblico (condannato per un delitto che la comportava de jure) nei confronti dell'art. 3 della Costituzione, valgono integralmente per l'analoga sanzione prevista per i notai. Nell'uno come nell'altro caso, è indispensabile che il <principio di proporzione> che è alla base della razionalità che domina il <principio di eguaglianza>, regoli sempre l'adeguatezza della sanzione al caso concreto.

Ma è evidente che l'automatismo di un'unica massima sanzione, prevista indifferentemente per l'infinita serie di situazioni che stanno nell'area della commissione di uno stesso pur grave reato, non può reggere il confronto con il principio di eguaglianza che, come esige lo stesso trattamento per identiche situazioni, postula un trattamento differenziato per situazioni diverse.

Dev'essere, quindi, dichiarata l'illegittimità costituzionale dell'art. 142, ultimo comma, della legge notarile, nella parte in cui sancisce che <è destituito di diritto> il notaio che ha riportato condanna per uno dei reati indicati nell'art. 5, n. 3.

4. -Ma una volta eliminate dall'ultimo comma dell'art. 142 della legge le parole <è destituito di diritto>, anche l'ultimo comma, così ridotto, viene ad allinearsi all'elencazione del comma precedente, i cui alinea tutti iniziano con le parole <il notaro che...>. Ciò significa che anche l'ipotesi del notaio <che ha riportato una delle condanne indicate nell'art. 5, n. 3> viene ad assumere la sua corretta posizione sistematica fra le altre che comportano la sanzione disciplinare discrezionale della destituzione.

Ed, in realtà, una volta cessata la ragione che giustificava l'attribuzione al giudice penale, allorquando la destituzione, essendo prescritta de jure, non implicava alcuna valutazione discrezionale, la competenza all'inflizione della sanzione disciplinare deve tornare alla sua sede naturale, che è appunto quella del Tribunale civile quale giudice disciplinare. Come per tutte le altre cause di destituzione previste dall'art. 142, il giudice disciplinare valuterà l'entità dei fatti e delle circostanze nonchè la personalità del condannato e deciderà in sua discrezione.

Ne consegue che del primo e del terzo comma dell'art. 158 della legge dovrà essere dichiarata l'illegittimità costituzionale, mentre per il secondo comma la declaratoria consegue innanzitutto in quanto prevede l'obbligatorietà dell'inabilitazione, anzichè la sua facoltatività, ma poi anche perchè si riferisce alle <sentenze di condanna che producono di diritto la destituzione del notaio> nonchè a <quelle che pronunciano la destituzione>, e perciò esclusivamente all'art. 139, anzichè semplicemente alle <sentenze di condanna per reati che possono comportare la destituzione del notaio>, conseguentemente estendendo il riferimento anche all'art. 140, anzichè soltanto all'art. 139 della legge.

5.-Nel momento in cui la competenza per la sanzione disciplinare della destituzione passa al giudice disciplinare anche per l'ipotesi in cui i fatti siano stati oggetto di processo penale, si propone il problema della compatibilità dell'art. 146 della legge con l'art. 3 della Costituzione.

Com'è noto, infatti, il citato articolo stabilisce che l'azione disciplinare contro i notai, anche per le infrazioni punibili con la destituzione, <si prescrive in quattro anni dal giorno della commessa infrazione, ancorchè vi siano stati atti di procedura>.

Poichè la disposizione si riferisce anche alla più tenue delle sanzioni, quali l'avvertimento, sarebbe parso ragionevole attribuire l'espressione <atti di procedura> esclusivamente al procedimento disciplinare, sia quello innanzi al Consiglio dell'ordine per le sanzioni dell'avvertimento e della censura, sia quello camerale innanzi al Tribunale civile per le sanzioni dell'ammenda, della sospensione e della destituzione.

Ma la giurisprudenza della Corte di cassazione si è consolidata nel senso che la disciplina dell'interruzione della prescrizione non opera in nessun caso in materia di prescrizione dell'azione disciplinare contro i notai, sicchè il termine di quattro anni dal giorno della commessa infrazione è quello massimo, entro il quale, a pena d'improcedibilità, deve intervenire la decisione irrevocabile. Il principio stabilito dall'art. 159 codice penale-hanno detto le Sezioni Unite-non è un principio generale dell'ordinamento, nè può essere applicato analogicamente all'azione disciplinare contro i notai, in quanto mancherebbero i presupposti del procedimento analogico, vale a dire: la similarità delle situazioni (art. 12 delle preleggi) e la non eccezionalità della situazione cui la norma dovrebbe essere applicata (art. 14 delle preleggi). Mancherebbe, infatti, secondo la Cassazione, ogni similarità fra materia disciplinare e materia penale, anche perchè l'istituto della prescrizione è strettamente collegato, nel codice penale, alla valutazione quantitativa dei reati in relazione alla misura delle pene: il che è escluso in materia disciplinare.

In altri termini - ad avviso della Corte di cassazione-la legge che prevede un termine di prescrizione per le infrazioni disciplinari è lex specialis, anche nell'ambito generale dell'ordinamento, e non consente, perciò, l'applicazione analogica di altra legge speciale.

Conseguentemente o la legge concernente una determinata materia (ad esempio: professioni forensi o giornalistiche) prevede essa stessa la recezione della disciplina ex art. 159 codice penale, o altrimenti non sarebbe lecito arguirlo dal solo fatto che sia previsto un termine di prescrizione.

Siffatta interpretazione (sulla cui esattezza questa Corte non ha ragioni per pronunziarsi) non ha comportato gravi conseguenze in ordine alla sanzione disciplinare della destituzione finchè la competenza, in caso di procedimento penale, è rimasta affidata al giudice penale. Deve dirsi, anzi, che probabilmente, proprio al fine di evitarne la prescrizione, si è andata consolidando la tesi della <destituzione>, come effetto penale della condanna, o addirittura come <pena accessoria>.

Ma una volta che, con la presente sentenza, viene riconosciuta la natura di sanzione disciplinare, così come emergente, del resto, ex art. 142 legge notarile, e restituita alla competenza del giudice disciplinare per la necessità di procedere alle valutazioni discrezionali del caso, attesa la dichiarata illegittimità di una applicazione de jure, la gravità delle conseguenze della riportata interpretazione si rende evidente.

Poichè, infatti, la Corte di cassazione esclude che la pregiudizialità del processo penale rispetto a quello disciplinare-art. 28 vecchio codice, ora 653 codice procedura penale-(e quindi la necessità di sospensione di quest'ultimo) svolga alcuna influenza sul decorso della prescrizione, la sanzione disciplinare della destituzione resterebbe virtualmente inapplicabile nell'ordinamento notarile.

E' appena il caso di rilevare, infatti, che, se già era arduo ritenere possibile una sentenza penale definitiva entro il termine di anni quattro, appare addirittura assurdo pensare che, entro lo stesso termine, possano altresì svolgersi tre ulteriori gradi del procedimento disciplinare.

Orbene, una siffatta situazione determinerebbe manifestamente un irrazionale trattamento di privilegio a favore dei notai che commettono le infrazioni più gravi, e tali da dar luogo altresì a processo penale. Accadrebbe, infatti, che, quando il fatto non costituisca illecito penale, è possibile che le sanzioni disciplinari (destituzione compresa) vengano inflitte entro il breve termine di prescrizione previsto dalla legge, mentre quando il fatto è molto più grave, al punto da meritare anche un processo ed eventualmente una pena, resterebbe virtualmente escluso che una qualsiasi sanzione disciplinare possa essere inflitta perchè risulterebbe impossibile l'osservanza di quel termine.

Deve essere ben chiaro, perciò, che in questo caso non si tratta soltanto di una semplice situazione di fatto, ma di una situazione tale che derivando dall'attuale pronunzia, comporta in realtà una vanificazione definitiva della situazione giuridica concernente l'attività disciplinare nei confronti dei notai colpevoli delle violazioni più gravi.

La manifesta incompatibilità di tale situazione nei confronti dell'art. 3 della Costituzione va, quindi, eliminata, applicando l'art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 139 n. 2 della legge 16 febbraio 1913 n. 89 (Ordinamento del notariato e degli archivi notarili) nella parte in cui prevede che il giudice penale inabiliti de jure, anzichè sulla base di valutazioni discrezionali, il notaio che sia stato condannato, per alcuno dei reati indicati nell'art. 5 n. 3 della legge stessa, con sentenza non ancora passata in cosa giudicata;

dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 142, ultimo comma, della legge notarile predetta, nella parte in cui prevede che <è destituito di diritto> il notaio che ha riportato condanna per uno dei reati indicati nell'art. 5 n. 3 della legge stessa, anzichè riservare ogni provvedimento al procedimento disciplinare camerale del Tribunale civile, come per le altre cause enunciate nello stesso art. 142;

dichiara l'illegittimità costituzionale dei primi tre commi dell'art. 158 della legge notarile predetta;

dichiara, ex art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87, l'illegittimità costituzionale dell'art. 146 della stessa legge nella parte in cui non prevede che l'azione disciplinare rimanga sospesa fino al passaggio in giudicato della sentenza quando per il fatto illecito sia promosso processo penale.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 31/01/90.

Francesco SAJA, PRESIDENTE

Ettore GALLO, REDATTORE

Depositata in cancelleria il 02 Febbraio 1990.