Ordinanza n. 595 del 1989

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ORDINANZA N.595

ANNO 1989

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Dott. Francesco SAJA, Presidente

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO

Dott. Aldo CORASANITI

Prof. Giuseppe BORZELLINO

Dott. Francesco GRECO

Prof. Renato DELL'ANDRO

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

Prof. Antonio BALDASSARRE

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

Avv. Mauro FERRI

Prof. Luigi MENGONI

Prof. Enzo CHELI

ha pronunciato la seguente

 

ORDINANZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 21, comma secondo, legge 28 febbraio 1985, n. 47 (Norme in materia di controllo dell'attività urbanistico - edilizia, sanzioni, recupero e sanatoria opere edilizie), promosso con ordinanza emessa il 5 giugno 1989 dal Pretore di Catania, Sezione distaccata di Paterno, nel procedimento penale a carico di Lojacono Luigi, iscritta al n. 376 del registro ordinanze 1989 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 36, prima serie speciale, dell'anno 1989. Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 29 novembre 1989 il Giudice relatore Ettore Gallo.

Ritenuto che, con ordinanza 5 giugno 1989, il Pretore di Catania - Sezione staccata di Paterno - sollevava questione di legittimità costituzionale dell'art. 21 della legge 28 febbraio 1985, n. 47 con riferimento all'art. 3 della Costituzione;

che la questione veniva sollevata nel corso di un procedimento penale nel quale alcuni venditori ed acquirenti di appezzamenti di terreno frazionato, di superficie inferiore a mq. 10.000, nonché il tecnico che aveva eseguito il frazionamento, ed il notaio che aveva rogato gli atti, erano imputati in concorso del reato di lottizzazione abusiva previsto dagli artt. 18 e 20 della legge citata;

che il Pretore dava atto nella narrativa dell'ordinanza che il notaio aveva scrupolosamente adempiuto a tutti gli incombenti previsti dalla legge, allegando - come prescrive l'art. 18-il certificato di destinazione urbanistica e trasmettendo copia degli atti rogati al Sindaco competente per territorio, per l'ulteriore corso in ordine alle eventuali attività di cui al comma settimo e seguenti dello stesso art. 18;

che conseguentemente rilevava il Pretore che la partecipazione del notaio a titolo di concorso negli atti di abusiva lottizzazione deve restare esclusa, tanto sotto il profilo del dolo quanto sotto quello della colpa, in forza della norma impugnata che- soggiunge l'ordinanza-anche secondo l'orientamento della Corte di cassazione, copre ogni specie di responsabilità astrattamente configurabile, sia essa penale, civile o disciplinare;

che, pero, secondo il Pretore, la norma sarebbe viziata da illegittimità costituzionale in quanto determinerebbe un ingiustificato privilegio a favore dei pubblici ufficiali in genere, e dei notai in ispecie, in quanto stabilisce un’indiscriminata irresponsabilità anche a favore di coloro che versano in dolo perché, pur consapevoli dell'illiceità della lottizzazione, s'inducono tuttavia a rogare l'atto per favorire i venditori;

che é intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato dall'Avvocatura generale dello Stato, la quale ha chiesto che la questione sia dichiarata infondata.

Considerato che l'art. 21 impugnato sancisce espressamente i compiti di cui e fatto obbligo al notaio per combattere l'abusivismo delle lottizzazioni;

che tali compiti sono tali da escludere ogni possibilità di perpetrazione del fatto illecito, giacche il notaio, trasmettendo al Sindaco, entro trenta giorni, copia dell'atto rogato, mette in condizioni l'autorità preposta alla vigilanza di intervenire fino ad acquisire i beni abusivamente lottizzati al patrimonio della comunità;

che, proprio per questo, é lo stesso legislatore ad equiparare la trasmissione della copia dell'atto alla trasmissione del rapporto, cui é obbligato ogni pubblico ufficiale che, nell'esercizio delle sue funzioni, rilevi un fatto che possa costituire reato;

che più di questo non é possibile pretendere, in quanto, una volta che il pubblico ufficiale ha compiuto gli atti che la legge stessa reputa idonei ad impedire il reato, ogni ulteriore intromissione nell'atteggiamento interiore del soggetto agente equivarrebbe a punire le intenzioni anche quando queste non si manifestano in atti esteriori idonei a conseguire l'evento vietato;

che, perciò, la norma impugnata non é affetta da vizio alcuno d'illegittimità, sicché la questione appare manifestamente infondata.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale;

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 21 della legge 28 febbraio 1985, n. 47, con riferimento all'art. 3 della Costituzione, sollevata dal Pretore di Catania - sezione staccata di Paterno - con ordinanza 5 giugno 1989.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 13/12/89.

 

Francesco SAJA - Giovanni CONSO - Ettore GALLO - Aldo CORASANITI - Giuseppe BORZELLINO - Francesco GRECO - Renato DELL'ANDRO - Gabriele PESCATORE - Ugo SPAGNOLI - Francesco Paolo CASAVOLA - Antonio BALDASSARRE - Vincenzo CAIANIELLO - Mauro FERRI - Luigi MENGONI - Enzo CHELI.

 

Depositata in cancelleria il 29/12/89.

 

Francesco SAJA, PRESIDENTE

Ettore GALLO, REDATTORE