Sentenza n. 563 del 1989

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SENTENZA N.563

ANNO 1989

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Dott. Francesco SAJA, Presidente

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO

Prof. Aldo CORASANITI

Prof. Giuseppe BORZELLINO

Dott. Francesco GRECO

Prof. Renato DELL'ANDRO

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

Prof. Antonio BALDASSARRE

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

Avv. Mauro FERRI

Prof. Luigi MENGONI

Prof. Enzo CHELI

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 20, comma primo, n. 2, legge 10 febbraio 1962, n. 57 (Istituzione dell' Albo dei costruttori), come modificato dall'art. 23 della legge 13 settembre 1982, n. 646, promosso con ordinanza emessa il 7 luglio 1989 dal Consiglio di Stato sul ricorso proposto dalla S.a.s. Arturo Cassina, di Dotti Dorotea, contro il Ministero dei lavori pubblici ed altri, iscritta al n. 407 del registro ordinanze 1989 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 37, prima serie speciale, dell'anno 1989.

Visto l'atto di costituzione della S.a.s. Arturo Cassina nonché l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 28 novembre 1989 il Giudice relatore Ettore Gallo;

uditi l'avvocato Celestino Biagini per la S.a.s. Arturo Cassina e l'Avvocato dello Stato Stefano Onufrio per il Presidente del Consiglio dei ministri.

 

Considerato in diritto

 

1. -L'art. 20, n. 2 del comma primo della legge 10 febbraio 1962, n. 57 prevede che il costruttore, inscritto nell'Albo nazionale, debba essere sottoposto, a cura del Comitato centrale dell'Albo stesso, a sospensione dell'efficacia dell'iscrizione quando siano in corso a suo carico procedimenti penali relativi ai casi contemplati nel successivo art. 21 n. 2 (nonché per altra ipotesi che non interessa il caso di specie). Il n. 2 del richiamato art. 21, che disciplina la cancellazione dall'Albo, si riferisce a <delitto che per la sua natura o per la sua gravita faccia venir meno i requisiti di natura morale richiesti per l'iscrizione all'Albo>.

Il secondo comma dell'art. 20 precisa poi che, nel caso di cui al n. 2, il provvedimento di sospensione si adotta allorquando (correlato al caso di specie) l'ipotesi si riferisce a uno o a più soci di società in accomandita semplice.

Con deliberazione 6 aprile 1989, il Comitato centrale predetto ha sospeso l'efficacia della iscrizione della S.a.s. Arturo Cassina all'Albo nazionale, essendo risultato che il socio e legale rappresentante della società, Arturo Cassina, era stato rinviato al giudizio del Tribunale, con sentenza ordinanza del Giudice Istruttore presso lo stesso Tribunale, confermata dalla sentenza 7 ottobre 1988 della Corte d'appello, per rispondere dei delitti di concorso in interesse privato continuato in atti d'ufficio (artt. 110-81, secondo comma, 324, codice penale), nonché di false comunicazioni sociali (art. 2621 codice civile).

A seguito del ricorso della società, il T.A.R. del Lazio aveva respinto l'istanza di sospensione, in via cautelare, del provvedimento impugnato, e la società si era allora appellata al Consiglio di Stato, innanzi al quale, assieme ai motivi di merito, aveva anche riproposto la questione di legittimità costituzionale già eccepita in prime cure.

Il Consiglio di Stato, Sezione VI, ritenuto che, allo stato, gli altri motivi non potessero essere presi in considerazione in sede di riesame, giudicava invece rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 20 della legge e, con ordinanza 7 luglio 1989, rimetteva gli atti a questa Corte.

Secondo l'ordinanza, la sospensione dall'Albo in questione sarebbe misura sostanzialmente sanzionatoria, che viene inflitta prima che una condanna penale sia stata definitivamente pronunziata: essa sarebbe, perciò, incompatibile con la presunzione di non colpevolezza contenuta nel principio di cui all'art. 27, secondo comma della Costituzione. La natura anticipatoria della sanzione sarebbe comprovata dall’irreversibilità dei danni cagionati dalla mancata ammissione agli appalti pubblici, conseguente alla sospensione. Al contrario gli effetti dei provvedimenti cautelari tipici - come quelli riguardanti, ad esempio, il pubblico impiego - sono quelli di sospendere temporaneamente una certa situazione, che viene poi integralmente ripristinata al cessare della misura.

La parte privata si costituiva nel giudizio a sostenere e a sviluppare con ampi ulteriori riferimenti la tesi dell'ordinanza, allargando il tema anche a parametri dall'ordinanza non invocati.

L'Avvocatura generale dello Stato, in rappresentanza del Presidente del Consiglio dei ministri, ha chiesto che la questione sia dichiarata infondata.

2.-Non sembra che si possano nutrire dubbi sulla natura del provvedimento di sospensione dell'efficacia dell'iscrizione all'Albo nazionale dei costruttori, a sensi dell'art. 20, primo comma, n. 2 della legge epigrafata.

Già il termine stesso usato dal legislatore e in proposito eloquente. Esso esprime sicuramente il temporaneo arresto di ciò che é in corso, e non soltanto nell'ormai invalsa terminologia giuridica, ma anche nella comune significazione, cosi come figurativamente derivata dal senso originario del verbo <sospendere>, che vale appunto <tenere appeso in alto>, e perciò <pendente>.

Ma poi é sufficiente dare uno sguardo comparativo al successivo articolo 21 della legge, cui il n. 2 dell'art. 20 espressamente si riferisce, per rendersi conto che le cause fondamentali, che danno origine ai provvedimenti diversi contemplati nei due articoli, sono le stesse: la perpetrazione da parte del costruttore di reati di gravità e natura tale da compromettere i requisiti di carattere morale per l'iscrizione.

Nell'art. 20, n. 2, si prevede l'ipotesi che l'accertamento dei reati sia in corso mediante procedimento penale, nell'art. 21 n. 2 che l'accertamento si sia positivamente compiuto mediante condanna definitiva del costruttore.

E' allora evidente che la prima ipotesi corrisponde ad una situazione provvisoria, nella quale non vi é ancora certezza che i fatti di reato siano stati commessi, ma vi é certezza della pendenza di un accertamento da parte dell'autorità giudiziaria penale. Ad una situazione precaria, non può che corrispondere un provvedimento provvisorio: la sospensione appunto dell'efficacia dell'iscrizione. Alla situazione ormai definitiva, di compiuto ed irrevocabile accertamento dei fatti di reato, corrisponde il provvedimento definitivo di cancellazione dall'Albo.

Questa diversa natura dei due provvedimenti si riverbera poi nel differente potere che il legislatore attribuisce alla pubblica amministrazione. Un potere di atto dovuto, vincolato al definitivo accertamento, nel caso dell'art. 21, espresso dal verbo <sono cancellati>, un potere invece discrezionale nell’ipotesi contemplata nell'art. 20. E si capisce il perché. Nel primo caso é già stato accertato il venir meno dei requisiti cui la legge subordina l'iscrizione all'Albo nazionale dei costruttori, e perciò la conseguenza e la cancellazione, in quanto l'Albo ha la specifica funzione di selezionare in via generale l'ammissione agli appalti pubblici dei costruttori, garantendo l'Amministrazione dall'imprendere trattative con chi non possieda requisiti di moralità e serietà.

Nel caso della sospensione, invece, varie potendo essere le situazioni che legittimano la pendenza di un procedimento penale, il legislatore ha rimesso ogni decisione al prudente apprezzamento dell'Amministrazione (<può essere sospeso... >).

E' fuori dubbio, dunque, che trattasi di un provvedimento provvisorio, di carattere cautelare, destinato a trasformarsi nel definitivo provvedimento di cancellazione se dovesse seguire condanna definitiva, o a caducarsi, se il costruttore dovesse essere assolto, per il venire meno delle condizioni che l'avevano legittimato.

3. -Ma non meno provvisori - così come giustamente richiedono ad un provvedimento cautelare giudice rimettente e difesa privata-sono gli effetti che la sospensione determina. Ovviamente non si deve equivocare tra gli effetti propri della sospensione e quelli che possono derivare dalle ulteriori conseguenze di quegli effetti, che é situazione diversa. L'effetto che deriva dalla <sospensione dell'efficacia dell'iscrizione all'albo> e uno soltanto: l'iscrizione che era stata a suo tempo ottenuta non dispiega temporaneamente alcuna efficacia, e il costruttore, perciò, viene provvisoriamente a trovarsi nella situazione di colui che non e stato iscritto. Situazione che dura soltanto per il tempo della sospensione, perché non appena questa si caduca, l'efficacia riprende pieno vigore e il costruttore si ritrova con tutte le facoltà e i diritti che possedeva prima della sospensione. Si capisce che durante la sospensione egli non possa partecipare alle gare dei pubblici appalti, ed é intuitivo che, se non partecipa, non ha alcuna possibilità di vincere, sicché l'appalto sarà assegnato ad altri ed il costruttore sospeso non potrà mai più sperare di vedersi attribuire quel certo appalto. Queste ultime, però, sono conseguenze, certamente irreversibili ma, del tutto indirette ed eventuali; proprio come si verifica in qualsiasi altra situazione di provvedimento cautelare sia essa quella dell'impiegato pubblico che del professionista.

Per entrambi l'effetto diretto della sospensione cautelare e provvisorio, e riguarda l'impossibilita di esercitare temporaneamente l'ufficio e, per l'impiegato, anche di riscuotere lo stipendio se la sospensione riguarda anche quest'ultimo: per il professionista l'effetto provvisorio diretto e rappresentato dal temporaneo divieto di esercitare la professione.

Se l'impiegato verrà assolto-a parte l'art. 92 del Testo Unico 10 gennaio 1957, n. 3 che, come ha rilevato l'Avvocatura, riguarda la particolare ipotesi del mancato esercizio dell'azione disciplinare- e vero che gli dovranno essere corrisposti gli stipendi arretrati rimasti sospesi, ma ciò dipende dal fatto che fra Amministrazione e impiegato esisteva un rapporto d'impiego, e l'impiegato era tuttavia rimasto a disposizione del l'Amministrazione durante la sospensione, risultata poi non rispondente alla realtà del suo comportamento: sempre, comunque, con salvezza delle misure disciplinari qualora la formula assolutoria non le escluda. Ma, com'é ben noto, tutto questo non riguarda il professionista che, in pendenza di procedimento penale, può venire assoggettato sia al provvedimento interdittivo cautelare del giudice penale che al provvedimento cautelare disciplinare del Consiglio dell'Ordine. Anche qui l'effetto diretto della sospensione e rappresentato per il professionista dal divieto temporaneo di esercitare la professione; ed egli verrà ripristinato nel pieno e libero esercizio quando la sospensione verrà a cessare. Ma anche per lui si verificherà una temporanea perdita di clientela, e quindi di cause e consulenze da trattare, senza che per questo si sia mai ritenuto che il provvedimento di sospensione abbia carattere di anticipazione di una sanzione, in assenza di accertamento definitivo.

Il principio della presunzione di non colpevolezza dell'imputato, pertanto, non viene in causa nei provvedimenti cautelari, se non per la prudenza con cui questi devono essere adottati e per la rigorosa osservanza delle condizioni tassativamente previste dalla legge: l'ordinamento giuridico - processuale ne offre riprova ogniqualvolta venga cautelarmente limitata o ristretta perfino la libertà personale del cittadino.

Il vero é che alla base della cautela posta in essere dall'Ente pubblico vi é un preminente interesse della generalità, a fronte di comportamenti del singolo suscettibili di essere temporaneamente assunti come pericolosi per quell'interesse.

4.-Nemmeno può trovare ingresso il tentativo della difesa di utilizzare il primo comma dell'art. 27 della Costituzione (principio di personalità della responsabilità penale).

Innanzitutto perché il parametro e il relativo profilo non sono stati dedotti dal Consiglio di Stato nella sollevata questione: ma anche perché, comunque, se pur fosse stata proposta, la questione non avrebbe avuto fondamento.

Nessuno, infatti, ha addebitato alla società una responsabilità penale, anche perché, oltre tutto, non e stato ancora superato il principio societas delinquere non potest: e, d'altra parte, e solo di questa responsabilità che parla l'art. 27, primo comma, della Costituzione.

La responsabilità della società-che non é penale- sorge ex art. 20, secondo comma della legge in esame, quando i fatti, di cui al primo comma, sono stati commessi, in una società in accomandita semplice, da uno o più dei soci o dal direttore tecnico. Nella specie, il rinvio a giudizio per i reati sopraindicati riguardava il socio amministratore, legale rappresentante. E' evidente che si tratta di responsabilità della società per fatti commessi nell'esercizio di funzioni societarie da chi la rappresenta e l'amministra. Vero é che alle società a base personale non e conferita personalità giuridica: esse, tuttavia, come appare da numerose disposizioni sulle società semplici, in nome collettivo e in accomandita semplice (artt. 2266, 2271, 2282, 2304, 2305 e 2315 codice civile), sono dotate di autonomia patrimoniale e costituiscono pur sempre un centro di imputazione di situazioni soggettive, con il duplice corollario della irrilevanza, nei confronti dei terzi, dei mutamenti delle persone dei soci, nonché del riconoscimento alla società, come tale, persino di un'autonoma capacita processuale.

Deriva da siffatti principi, pacifici nella giurisprudenza civile di legittimità, che la società, come tale, é responsabile dei comportamenti esterni compiuti dal socio che la rappresenta nell'esercizio delle sue funzioni, e ne sopporta le conseguenze civili. Per cui, se alla condotta penalmente rilevante del socio amministratore nell'esercizio delle funzioni consegue una misura cautelare concernente la partecipazione alle gare dei pubblici appalti, essa necessariamente riguarda anche la società come tale.

Ma dagli stessi principi deriva altresì - come si é accennato - l'irrilevanza delle successive vicende inerenti al mutamento dei soci nella rappresentanza della società, quando il procedimento penale riguardi il socio che aveva veste di amministratore e rappresentante nel momento in cui l'azione penale é stata promossa. Altrimenti, nonostante le malefatte di soci e amministratori, la società uscirebbe sempre immune da ogni vicenda nei suoi rapporti con la pubblica amministrazione.

Che poi il codice penale preveda fra le pene accessorie anche l'incapacità di contrattare con la pubblica amministrazione (art. 32-ter) non é argomento che tolga il carattere di misura cautelare amministrativa a quella in esame. E ciò sia perché quella pena accessoria non consegue alla condanna per i delitti imputati nel caso di specie (art. 32-quater), sia perché, già sotto l'impero del codice processuale precedente, anche la pena accessoria, comunque, poteva essere applicata in via provvisoria dal giudice nell'istruzione (art. 140 codice penale), ed in tal caso non poteva certo essere considerata pena.

Tant'é vero che, molto più correttamente, il codice processuale in vigore ha collocato la misura fra quelle cosidette <interdittive> (art. 290) applicabili dal giudice delle indagini preliminari su richiesta del pubblico ministero (art. 291).

5.-Non ritiene, infine, la Corte di aderire alla richiesta della difesa di sollevare innanzi a se stessa la questione di legittimità costituzionale dell'articolo impugnato con riferimento all'art. 3 della Costituzione.

Secondo la difesa, infatti, si verificherebbe un'irrazionale e ineguale trattamento fra la situazione contemplata dalla norma impugnata, che prevede l'incapacità della persona o della società, di cui sia stata sospesa l'efficacia dell’iscrizione all'Albo, a partecipare a qualsiasi gara, e la situazione di cui all'art. 13, lettera c, della legge n. 584 del 1977, che consente all'Amministrazione di escludere un partecipante, soltanto da una singola gara e a condizione che vi sia stata condanna passata in giudicato per quegli stessi reati incidenti sulla moralità professionale.

Ma non c'é alcuna incompatibilità fra le due disposizioni, dato che si riferiscono a situazioni diverse. Quella degli art.li 20 e 21 della legge impugnata riguarda le condizioni richieste per l'iscrizione all'Albo, in relazione alle quali il Comitato centrale deve vigilare, e cancellare l'iscrizione se le condizioni richieste sono venute meno, o sospenderne l'efficacia se gravi e seri motivi fanno dubitare della loro permanenza.

Ma l'iscrizione all'Albo nazionale non ha altra finalità che quella di garantire di massima l'Amministrazione dell'esistenza e della permanenza nell'imprenditore dei detti requisiti soggettivi di moralità. Può, tuttavia, accadere che, nonostante l'iscrizione, il costruttore, partecipante ad un concorso per un pubblico appalto, sia venuto a trovarsi in una delle situazioni previste dall'art. 13 della legge n. 584 del 1977 prima che la notizia sia pervenuta al Comitato centrale dell'Albo, e perciò prima che questo abbia potuto adottare i provvedimenti di cui agli artt. 20 o 21 della legge impugnata. In vista di una siffatta eventualità, il legislatore ha provveduto, mediante una norma di chiusura del sistema di garanzie, a concedere all'Amministrazione uno specifico potere, che consente l'esclusione del concorrente condannato per uno dei reati di cui alla lettera c) dell'art. 13 citato.

Ed é intuitivo che, trattandosi di provvedimento di esclusione da una singola gara, che non mette in causa l'iscrizione all'Albo, ed anzi la presuppone, ma che, in rapporto a quello specifico concorso, assume necessariamente valore di definitività, la legge limiti il potere dell'Amministrazione all'ipotesi in cui sia stata raggiunta la certezza dell'illecito penale mediante sentenza di condanna passata in giudicato.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 20, comma 1, n. 2, della legge 10 febbraio 1962, n. 57 (Istituzione dell'Albo dei costruttori) - numero cosi modificato dall'art. 23 della legge 13 settembre 1982, n. 646-con riferimento all'art. 27, comma secondo, della Costituzione, sollevata dal Consiglio di Stato, Sez. VI, con ordinanza 7 luglio 1989.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 12/12/89.

 

Francesco SAJA - Giovanni CONSO - Ettore GALLO - Aldo CORASANITI - Giuseppe BORZELLINO - Francesco GRECO - Renato DELL'ANDRO - Gabriele PESCATORE - Ugo SPAGNOLI - Francesco Paolo CASAVOLA - Antonio BALDASSARRE - Vincenzo CAIANIELLO - Mauro FERRI - Luigi MENGONI - Enzo CHELI.

 

Depositata in cancelleria il 20/12/89.

 

Francesco SAJA, PRESIDENTE

Ettore GALLO, REDATTORE