Sentenza n. 533 del 1989

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SENTENZA N.533

ANNO 1989

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Dott. Francesco SAJA, Presidente

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO

Prof. Aldo CORASANITI

Prof. Giuseppe BORZELLINO

Dott. Francesco GRECO

Prof. Renato DELL'ANDRO

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

Prof. Antonio BALDASSARRE

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

Avv. Mauro FERRI

Prof. Luigi MENGONI

Prof. Enzo CHELI

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 1 del decreto- legge 4 marzo 1989, n. 77, convertito in legge 5 maggio 1989, n. 160, recante: <Disposizioni urgenti in materia di trasporti e di concessioni marittime>, promossi con ricorsi delle Regioni Emilia - Romagna, Toscana e Lombardia, notificati il 31 marzo, il 27 maggio e l'8 giugno 1989, depositati in cancelleria l'11 aprile, il 2 giugno e il 12 giugno 1989 ed iscritti ai Nn. 24, 26, 40, 44 e 48 del registro ricorsi 1989.

Visti gli atti di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 3 ottobre 1989 il Giudice relatore Mauro Ferri;

uditi gli avvocati Alberto Predieri per le Regioni Emilia-Romagna e Toscana, Maurizio Steccanella per la Regione Lombardia e l'Avvocato dello Stato Giorgio D'Amato per il Presidente del Consiglio dei ministri.

 

Considerato in diritto

 

1.-I cinque ricorsi indicati in epigrafe sollevano questione di legittimità, in riferimento agli artt. 5, 77, 116, 117, 118, 119 e 125 della Costituzione, di alcune norme contenute nell'art. 1 del decreto-legge 4 marzo 1989, n. 77, convertito - senza modificazioni nelle parti censurate - nella legge 5 maggio 1989, n. 160. Essendo le proposte questioni identiche (in particolare, le Regioni Emilia-Romagna e Toscana hanno impugnato, ciascuna con due ricorsi dal contenuto perfettamente uguale, prima il decreto- legge e poi la legge di conversione), o strettamente connesse, i relativi giudizi vanno riuniti e decisi con unica sentenza.

2. - Tra le varie censure prospettate dalle ricorrenti, va in ordine logico per prima esaminata quella sollevata, avverso il secondo comma dell'art. 1, dalle Regioni Emilia-Romagna e Toscana in riferimento all'art. 77 della Costituzione.

Esse sostengono l'illegittimità dell'uso dello strumento del decreto-legge, con la sua tipica immediatezza di effetti, in materie di competenza regionale concorrente, per di più per modificare norme già poste da una legge-quadro. Nelle memorie depositate nell'imminenza dell'udienza, le ricorrenti aggiungono che un ulteriore vizio andrebbe rinvenuto nell'assenza di qualsivoglia motivazione circa la necessita ed urgenza di apportare tali modificazioni.

La questione é inammissibile.

Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte (cfr., da ultimo, sentt. nn. 302 e 610 del 1988, 407 del 1989), nei giudizi di costituzionalità sollevati in via principale, le regioni possono, in linea di principio, denunciare la violazione anche di norme costituzionali poste al di fuori del titolo quinto della Costituzione, purché, tuttavia, tale violazione comporti, di per se (anche tenuto conto delle prospettazioni delle ricorrenti), una diretta incisione delle competenze ad esse costituzionalmente garantite.

Nel caso di specie tale ipotesi non sussiste. Da un lato, infatti, questa Corte ha costantemente ritenuto (v. sentt. nn. 243 del 1987 e 1044 del 1988) che tutto ciò che attiene alla esistenza o meno dei presupposti per la decretazione d'urgenza non riguarda la sfera delle competenze regionali, in quanto tali questioni concernono i rapporti tra Governo e Parlamento (e sarebbero comunque irrilevanti di fronte all'intervenuta conversione dei decreti-legge): ed e ovvio che ciò non può non valere anche per il profilo, qui specificamente dedotto, dell'assenza di motivazione sulla sussistenza di detti presupposti.

D'altro lato, non si comprende, nè é chiarito nei ricorsi, come l’immediatezza di effetti del decreto-legge possa di per sé, a prescindere dal contenuto delle norme da esso introdotte, costituire un autonomo e concreto pregiudizio delle competenze regionali.

3.1.-Il secondo comma dell'art. 1, e precisamente i primi due periodi dello stesso, sono poi censurati da tutte le ricorrenti in riferimento agli artt. 117, 118 e 119 della Costituzione, ma sotto profili non del tutto coincidenti.

La Regione Lombardia, innanzitutto, sostiene in radice l’illegittimità della nuova disciplina di assegnazione dei contributi di esercizio da parte delle regioni alle imprese di trasporto locale, secondo la quale tale assegnazione deve avvenire.sulla base di una metodologia e di criteri generali stabiliti analiticamente con decreto del Ministro dei trasporti, di concerto con il Ministro del tesoro, sentite la commissione consultiva interregionale di cui all'art. 13 della legge 16 maggio 1970, n. 281, e le organizzazioni rappresentative delle aziende di trasporto pubblico locale>. Ad avviso della ricorrente, la nuova normativa sconvolge il sistema delineato nella legge-quadro n. 151 del 1981, introducendo un meccanismo accentrato, tramite il quale lo Stato viene ad incidere, con un intervento puntuale e dettagliato (per di più attuato con un mero atto amministrativo), nella fase di gestione dei contributi, la quale, secondo gli artt. 5 e 6 della citata legge-quadro, era viceversa di competenza regionale.

La questione non é fondata.

Ai sensi dell'art. 6 della legge 10 aprile 1981, n. 151, i contributi di esercizio per i servizi di trasporto pubblico locale sono erogati dalle regioni <sulla base di principi e procedure stabiliti con legge regionale, con l'obiettivo di conseguire l'equilibrio economico dei bilanci dei servizi di trasporto>; lo stesso articolo stabilisce poi alcuni criteri di determinazione dell'ammontare di detti contributi.

Esattamente osserva la Regione Lombardia che la normativa introdotta con il decreto-legge n. 77 del 1989 incide su tale fase di erogazione dei contributi alle imprese da parte delle regioni, inserendo nell'iter procedurale un intervento statale prima non previsto. Ciò, tuttavia, non può considerarsi lesivo di alcuna competenza regionale, tenuto conto sia degli obiettivi che il legislatore statale ha inteso perseguire, sia, soprattutto, delle caratteristiche con cui detto intervento é stato concretamente configurato, caratteristiche che devono considerarsi, con le precisazioni che seguono, rispettose delle autonomie regionali.

Quanto al primo punto, va rilevato che, come ha osservato l'Avvocatura generale dello Stato e risulta anche dai lavori preparatori della legge n. 160 del 1989, di conversione del decreto-legge in esame, quest'ultimo (come il precedente n. 547 del 30 dicembre 1988, non convertito) fa parte del c.d. <pacchetto> dei decreti collegati con la legge finanziaria 1989 (legge 24 dicembre 1988, n. 541), e si inserisce nel quadro della manovra finanziaria di contenimento della spesa pubblica; in tale contesto, la normativa impugnata mira, più in particolare, a fronte di una legislazione regionale in materia estremamente diversificata (quanto soprattutto ai criteri di determinazione dei costi standard), a razionalizzare e ricondurre il sistema ad una maggiore omogeneità di disciplina, al fine di risanare il settore - che versa in una grave crisi economica ed organizzativa -tentando di ridurre gli sperperi e il costante aumento del divario tra costi e ricavi. Che lo scopo della norma in discussione sia quello del contenimento della spesa nel campo dei trasporti locali e poi reso palese dal primo comma dell'art. 1 del decreto legge n. 77, il quale appunto prevede che lo stanziamento annuale del Fondo nazionale trasporti, parte esercizio, -istituito con l'art. 9 della legge n. 151 del 1981-a decorrere dal 1990 sarà gradualmente ridotto <sulla base dei risultati acquisiti in applicazione dei principi e dei criteri di cui al comma 2 e parallelamente al risanamento delle gestioni di cui allo stesso comma 2>. Del resto, e per concludere su questo punto, che la legge n. 151 del 1981 abbia dato luogo ai segnalati inconvenienti e dimostrato anche dai tre disegni di legge di riforma, d'iniziativa parlamentare (nn. 1119, 1397 e 1539), tuttora all'esame del Senato, dei quali la normativa ora censurata costituisce una coerente anticipazione.

Passando ad esaminare come in concreto il denunciato intervento statale é stato delineato, deve ritenersi che l'aver demandato nel caso di specie ad un decreto ministeriale l'ulteriore disciplina della materia non viola le competenze regionali (conformemente alla giurisprudenza di questa Corte: v., ad es., sentt. nn. 294 del 1986 e 64 del 1987), tenuto conto delle esigenze di coordinamento e di uniformità prima evidenziate e considerato che l'uso di tale strumento normativo é previsto dalla legge; che il contenuto di esso non é del tutto libero, in quanto la legge stessa detta- sempre nel secondo comma dell'art. 1 - delle direttive e dei principi cui a sua volta il decreto dovrà uniformarsi; che i criteri ad esso demandati hanno indubbiamente natura prevalentemente tecnica; che, infine, non mancano delle garanzie procedimentali (quale l'audizione della commissione interregionale di cui all'art. 13 della legge n. 281 del 1970, su cui si tornerà in seguito).

Per quanto concerne, poi, la denunciata <analiticità> dei criteri che dovrà dettare il decreto ministeriale, effettivamente potrebbero sorgere seri dubbi di legittimità se con tale atto normativo il Ministro dei trasporti fosse stato abilitato ad introdurre una disciplina di dettaglio della materia; ma così non é. Infatti l'espressione (indubbiamente poco felice) <criteri generali stabiliti analiticamente>, adoperata dalla legge, può correttamente interpretarsi (anche in ossequio al principio della prevalenza dell'interpretazione conforme alla Costituzione) nel senso che i ripetuti criteri, fatto salvo il loro ineludibile carattere di <generalità>, dovranno essere dettati prendendo in considerazione ciascuna delle varie possibili voci e componenti che devono concorrere a determinare una razionale e non dispendio sa ripartizione dei contributi.

Così intesa, la norma impugnata non preclude alle regioni un proprio spazio d'intervento; ed é ovvio che resta salvo il sindacato di questa Corte, in sede di eventuale conflitto di attribuzione, sul rispetto delle indicate modalità nella concreta adozione del provvedimento de quo.

3.2.-Le Regioni Emilia-Romagna e Toscana lamentano, più in particolare, che la norma impugnata avrebbe sostituito la procedura dell'<intesa> tra Ministri competenti e commissione interregionale - prevista nell'art. 9 della legge n. 151 del 1981 e che, in linea generale, costituisce un tipico strumento di composizione a livello paritario di interessi eterogenei in attuazione del principio di cooperazione - con la semplice formulazione di un avviso o di un parere da parte di detta commissione, cosi degradando quest'ultima ad organo meramente consultivo.

La questione non é fondata.

Si é già accennato, infatti, che la norma censurata incide (in parte modificandola) sulla fase di erogazione dei contributi alle imprese da parte delle regioni, regolata dagli artt. 5 e 6 della legge n. l51 del 1981.

Viceversa, l'art. 9 della legge stessa, richiamato dalle ricorrenti, e in particolare il suo comma ottavo che qui interessa, prevede si un'intesa tra Ministro dei trasporti e commissione interregionale, ma per stabilire i <criteri di ripartizione del fondo tra le regioni>: attiene, cioè, com'é evidente, alla diversa e preliminare fase in cui il fondo nazionale per il ripiano dei disavanzi di esercizio viene suddiviso tra le regioni, prima che queste ultime provvedano all’erogazione della propria quota alle imprese locali. E', pertanto, altrettanto evidente che l’indicata procedura d'intesa resta pienamente in vigore e che la questione proposta viene con ciò a perdere il suo stesso presupposto argomentativo.

Non può, peraltro, non rilevarsi - come esattamente osserva l'Avvocatura dello Stato - che la funzione originaria e peculiare della commissione de qua é tipicamente consultiva, secondo quanto é previsto nella norma che la istituisce (art. 13 della legge n. 281/70); del resto, la stessa struttura di essa (la compongono i Presidenti delle giunte di tutte le regioni a statuto ordinario e speciale) ne rivela la natura di organo idoneo piuttosto a rendere un parere anziché ad esercitare un potere di codecisione.

Il fatto che a volte - e segnatamente nella legge n. 151 del 1981 - il legislatore statale abbia ritenuto di prescrivere forme d'intesa con l'organo in esame non può pertanto fornire valido fondamento alla pretesa dell'adozione costante di tale procedura, in luogo di quella della consultazione, maggiormente aderente - ripetesi - al carattere dell'organo.

4.-Gli ultimi due periodi del secondo comma dell'art. 1 sono censurati-in riferimento agli artt. 5, 116, 117, 119 e 125 della Costituzione -dalle Regioni Emilia-Romagna e Toscana, in quanto impongono alle regioni un termine per la definizione dei bacini di traffico, cosi sottraendo ad esse una potestà normativa (prevista nell'art. 3 della legge n. 151 del 1981), e prevedono, in caso di inadempienza, un controllo sostitutivo del Ministro dei trasporti a loro avviso anomalo e non giustificato dalla natura degli atti da compiere, con conseguente violazione anche del principio di leale cooperazione.

La questione non é fondata.

Sul primo punto basta osservare che la norma censurata, nello stabilire un termine (sette mesi dalla data di entrata in vigore del decreto-legge) entro cui le regioni devono provvedere ad emanare la disciplina di propria competenza, evidentemente non sottrae ad esse alcuna potestà normativa, bensì si limita a sollecitare l'esercizio di tale potestà, e ciò in relazione alle esigenze di carattere generale sopra evidenziate. Va, infatti, osservato che la predisposizione dei piani regionali dei trasporti e la successiva definizione dei bacini di traffico (provvedimenti che, peraltro, le regioni avevano l'obbligo di adottare sin dall'entrata in vigore della legge n. 151 del 1981), costituiscono attività preliminari alla determinazione, da parte del Ministro dei trasporti, dei criteri generali per l’erogazione dei contributi di esercizio alle imprese locali, in quanto, come espressamente risulta dallo stesso comma secondo dell'art. 1, tali criteri generali devono, fra l'altro, tener conto proprio dei bacini di traffico. Del resto, l'apposizione di un termine perentorio é, di regola, un presupposto necessario per il successivo intervento surrogatorio da parte dello Stato (che appunto si ricollega all’infruttuosa scadenza del termine), per cui tutto in definitiva si incentra sulla questione della legittimità o meno della previsione di tale potere sostitutivo; nella fattispecie la risposta deve essere affermativa.

Invero, il previsto intervento surrogatorio del Ministro dei trasporti nella definizione dei piani regionali dei trasporti e dei relativi bacini di traffico appare rispondente ai requisiti che questa Corte ha costantemente indicato come propri del corretto esercizio di tale potere da parte dello Stato (v., da ultimo, sentt. nn. 177 e 1000 del 1988, 101, 324 e 460 del 1989): esso, infatti, é conseguente all'inadempienza regionale in ordine ad un'attività sottoposta ad un termine perentorio; é esercitato da un'autorità di Governo; é strumentale-data, come già osservato, la preliminari della definizione dei piani di trasporto e dei bacini di traffico rispetto alla previsione dei criteri generali di ripartizione dei contributi - al perseguimento di un interesse unitario e primario dello Stato, quale quello, come detto sopra, del risanamento del settore e del contenimento della spesa pubblica; appare, infine, proporzionato, nel contenuto e nell'estensione, all'esigenza di salvaguardare il detto interesse dello Stato. Per quanto, poi, in particolare, riguarda il principio di leale cooperazione, va rilevato che la sua osservanza attiene anche, e più propriamente, alla fase del concreto esercizio del potere sostitutivo, il quale (salvo, ovviamente, l'eventuale sindacato di questa Corte in sede di conflitto di attribuzione) dovrà, appunto, essere improntato - ove occorra mediante l'adozione di misure collaborative, quali richieste di chiarimenti, diffide, ecc. -al rispetto di detto principio (cfr., al riguardo, sent. n. 294 del 1986).

5. -Egualmente non fondata é, infine, la questione sollevata dalla Regione Lombardia in ordine al terzo comma (ultima parte) dell'art. 1 del d.l. n. 77 del 1989, secondo cui <Il Ministro dei trasporti, con proprio decreto, stabilisce entro il 30 giugno 1989, per l'anno 1990, le facilitazioni tariffarie per le quali lo Stato, le regioni ed i comuni devono contestualmente provvedere, con finanziamenti propri, alla copertura della minore entrata che risulta per le aziende interessate>.

Ad avviso della ricorrente, la norma censurata - in contrasto con la legge regionale 16 novembre 1984, n. 57, la quale viceversa stabilisce, in sostanza (art. 5), di porre il minore introito a carico della quota regionale del fondo nazionale per i contributi di esercizio - impone alla regione un onere finanziario predeterminato da un organo dello Stato ed attribuisce ad essa una funzione meramente assistenziale, dato che la citata legge regionale individua i soggetti meritevoli delle agevolazioni indipendentemente dallo svolgimento di attività di rilevanza regionale; il tutto, infine, e aggravato dalla retroattività della norma al 10 gennaio 1989.

Premesso che il fatto che una norma statale si ponga obiettivamente in contrasto con quanto disposto da una previgente legge regionale non determina, per ciò solo, alcuna lesione dell'autonomia regionale, va osservato che il criterio secondo cui alla copertura delle minori entrate derivanti, per le imprese di trasporto, dalle agevolazioni tariffarie debba provvedere lo stesso ente che ha deliberato tali agevolazioni non viola la competenza di detto ente, tenuto anche conto, da un lato, che il decreto ministeriale si limita ad indicare le facilitazioni per le quali deve valere tale criterio, fermo restando, ovviamente, che l’introduzione delle facilitazioni resta una facoltà e non un obbligo per la regione; e, dall'altro, che, come esattamente osserva l'Avvocatura dello Stato, attingere i rimborsi dalla quota regionale del fondo nazionale di cui alla legge n. 151/81 significa trasformare detto fondo in un improprio canale di finanziamento per spese del tutto estranee allo scopo per cui esso e stato istituito, snaturandone le peculiari finalità. Del resto, la norma denunciata non fa che ribadire un criterio già previsto, più in generale, nello stesso comma terzo dell'art. 1 (nella parte immediatamente precedente a quella impugnata) e, ancor prima, nell'art. 31, quinto comma, del d.l. 28 febbraio 1983, n. 55, convertito con modificazioni con legge 26 aprile 1983, n. 131, sulla finanza locale.

Quanto, in fine, alla denunciata retro attività della norma in esame al 10 gennaio 1989, essa discende dal sopra evidenziato collegamento del decreto-legge in questione con la legge finanziaria per il 1989 e non può di per sé (come questa Corte ha già ritenuto in un caso analogo: v. sent. n. 407 del 1989) costituire un'illegittima invasione delle competenze regionali.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

riuniti i giudizi,

a) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 1, secondo comma, prima parte, del decreto-legge 4 marzo 1989, n. 77 (Disposizioni urgenti in materia di trasporti e di concessioni marittime), convertito con modificazioni nella legge 5 maggio 1989, n. 160, sollevata, in riferimento all'art. 77 della Costituzione, dalle Regioni Emilia - Romagna e Toscana con i ricorsi indicati in epigrafe;

b) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 1, secondo comma, prima parte, del predetto decreto-legge 4 marzo 1989, n. 77, convertito con modificazioni nella legge 5 maggio 1989, n. 160, sollevata, in riferimento agli artt. 117, 118 e 119 della Costituzione, dalle Regioni Emilia-Romagna, Toscana e Lombardia con i ricorsi di cui in epigrafe;

c) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 1, secondo comma, ultima parte, del predetto decreto-legge n. 77 del 1989, convertito nella legge n. 160 del 1989, sollevata, in riferimento agli artt. 5, 116, 117, 119 e 125 della Costituzione, dalle Regioni Emilia-Romagna e Toscana con i ricorsi di cui in epigrafe;

d) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 1, terzo comma, del predetto decreto- legge n. 77 del 1989, convertito nella legge n. 160 del 1989, sollevata dalla Regione Lombardia con il ricorso di cui in epigrafe.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 30/11/89.

 

Francesco SAJA - Giovanni CONSO - Ettore GALLO - Aldo CORASANITI - Giuseppe BORZELLINO - Francesco GRECO - Renato DELL'ANDRO - Gabriele PESCATORE - Ugo SPAGNOLI - Francesco Paolo CASAVOLA - Antonio BALDASSARRE - Vincenzo CAIANIELLO - Mauro FERRI - Luigi MENGONI - Enzo CHELI.

 

Depositata in cancelleria il 11/12/89.

 

Francesco SAJA, PRESIDENTE

Mauro FERRI, REDATTORE