Sentenza n. 491 del 1989

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SENTENZA N.491

ANNO 1989

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Prof. Giovanni CONSO, Presidente

Prof. Ettore GALLO

Dott. Aldo CORASANITI

Prof. Giuseppe BORZELLINO

Dott. Francesco GRECO

Prof. Renato DELL'ANDRO

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

Prof. Antonio BALDASSARRE

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

Avv. Mauro FERRI

Prof. Luigi MENGONI

Prof. Enzo CHELI

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 2120, terzo comma, del codice civile nel testo sostituito dall'art. 1, della legge 29 maggio 1982, n. 297 (Disciplina del trattamento di fine rapporto e norme in materia pensionistica), promosso con l'ordinanza emessa il 12 novembre 1988 dal Pretore di Modena nel procedimento civile vertente tra Melotti Maurizio e la Ditta Officine Bindi di Bertocchi Franco, iscritta al n. 205 del registro ordinanze 1989 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 17, prima serie speciale, dell'anno 1989.

Udito nella camera di consiglio del 4 ottobre 1989 il Giudice relatore Luigi Mengoni.

 

Considerato in diritto

 

1. - La legittimità costituzionale dell'art. 2120, terzo comma, cod. civ., modificato dalla legge n. 297 del 1982, nella parte in cui non prevede il servizio militare di leva tra i periodi di sospensione della prestazione di lavoro computabili nel calcolo del trattamento di fine rapporto, già riconosciuta da questa Corte con la sentenza n. 802 del 1988 in riferimento all'art. 52 della Costituzione, e rimessa in discussione dal Pretore di Modena in riferimento ad altri parametri costituzionali, e precisamente agli artt. 3 e 136.

2. - La questione non é fondata.

Secondo la premessa di fondo assunta dal giudice a quo, dalla quale dipende tutta la motivazione dell'ordinanza, il trattamento di fine rapporto non ha natura diversa dall'indennità di anzianità originariamente prevista dall'art. 2120. Contrariamente alla dottrina accolta dalla citata sentenza n. 802 del 1988, il diritto del lavoratore previsto dal nuovo testo della norma sarebbe sempre un <effetto dell'anzianità> e la differenza rispetto alla precedente indennità di anzianità consisterebbe soltanto <nel diverso criterio di calcolo del loro ammontare>.

Questa valutazione riduttiva non avverte che il criterio di calcolo é necessariamente connesso con la natura dell'indennità, di guisa che la radicale modificazione di quello non può non comportare una radicale trasformazione di questa. Il rilievo che <il trattamento di fine rapporto, non diversamente dall'indennità di anzianità, sarà di entità tanto maggiore quanti più sono gli anni di servizio> non coglie il significato specifico e tecnico della regola di <proporzionalità agli anni di servizio> che qualificava l'indennità di anzianità come un effetto dell'anzianità.

Tale proporzione significa che quanto maggiore é il numero degli anni di servizio prestato tanto più elevata é la base di computo dell'indennità, costituita dall'ultima retribuzione o, nel caso di retribuzione costituita in tutto o in parte da compensi variabili, dalla media degli emolumenti percepiti negli ultimi tre anni. L'indennità non era una retribuzione accantonata, correlata alle retribuzioni guadagnate durante il rapporto di lavoro, ma era un corrispettivo distinto, collegato all'anzianità per se stessa, la quale entrava direttamente nel calcolo in funzione di moltiplicatore.

Dopo la legge del 1982 l'anzianità non é più un fattore di calcolo, e in questo senso il trattamento di fine rapporto non e un effetto dell'anzianità. Esso é formato dalla somma di accantonamenti annuali calcolati sul coacervo delle retribuzioni percepite in ciascun anno e rivalutati annualmente a partire dall'anno successivo. Ne consegue che, ceteris paribus, il frazionamento dell'anzianità di servizio conseguente a passaggi del lavoratore da un'azienda all'altra non incide sull'ammontare complessivo del trattamento di fine rapporto. Una delle ragioni della ristrutturazione dell'istituto, oltre alla riduzione del costo del lavoro, e stata l'esigenza di favorire la mobilita del lavoro, fortemente penalizzata dalla disciplina precedente a causa appunto della proporzione diretta all'anzianità di servizio, che caratterizzava l'indennità come premio di fedeltà all'azienda.

L'anzianità conserva solo una rilevanza indiretta in ragione degli incrementi automatici di retribuzione ad essa collegati (<scatti di anzianità>, notevolmente ridotti dalla recente contrattazione collettiva, e passaggi automatici di qualifica, limitati ai livelli più bassi). Ma ciò significa che la progressione dell'anzianità influisce, attraverso i connessi automatismi salariali, sull'entità delle quote annuali di accantonamento, non già che il trattamento di fine rapporto e proporzionale all'anzianità.

3.-La correlazione del trattamento di fine rapporto alle retribuzioni effettivamente percepite esclude la computabilità dei periodi di sospensione della prestazione di lavoro durante i quali il lavoratore non conserva la retribuzione, ne direttamente, ne in forme equivalenti di previdenza. Tale e il periodo del servizio militare di leva secondo la disciplina del d.lgs. C.p.S. n. 303 del 1946, in base alla quale si giustifica, in relazione all'art. 3 Cost., la discriminazione operata dalla norma impugnata rispetto ai periodi di assenza dal lavoro considerati dall'art. 2110 cod. civ. La ratio dell'art. 2120, terzo comma, non é, come ritiene il giudice a quo, la non imputabilità al lavoratore dell'impedimento sopravvenuto (non tutte e non sempre le sopravvenienze previste dall'art. 2110 sono indipendenti dalla volontà del prestatore di lavoro), bensì il diritto di conservare la retribuzione in deroga al principio di sinallagmaticità delle prestazioni.

Il riferimento della legge alla retribuzione normale non fornisce argomento per sostenere che le ipotesi in essa richiamate sono trattate come periodi di retribuzione figurativa (cioè fittizia) indipendentemente dalla conservazione della retribuzione a norma dell'art. 2110 cod. civ., così che la mancanza di analoga tutela nel caso del servizio militare di leva non giustificherebbe l'esclusione di questo periodo dal calcolo degli accantonamenti di cui al primo comma. La dipendenza logica della norma dell'art. 2120, terzo comma, dal presupposto della conservazione della retribuzione e confermata dall'equiparazione alle ipotesi di cui all'art. 2110 dei soli periodi di sospensione del lavoro assistiti dall'intervento della Cassa integrazione guadagni. Ciò significa che il riferimento alla retribuzione normale ha soltanto una funzione di arrotondamento (nei casi di conservazione della retribuzione limitata a una aliquota percentuale) analoga a quella della norma del primo comma circa il computo delle frazioni di mese uguali o superiori a quindici giorni.

Nemmeno vale obiettare che <anche chi presta servizio militare ha diritto a un’elargizione pecuniaria erogata dallo Stato e integrata da attribuzioni ulteriori in natura>. Tali prestazioni, corrisposte a tutti i militari, non sono <forme equivalenti di previdenza> sostitutive dell'obbligazione retributiva del datore di lavoro, la quale in questa ipotesi resta sospesa al pari dell'obbligazione di lavoro.

Manifestamente inconsistente é poi l'estrapolazione dalle ipotesi contemplate dall'art. 2120, terzo comma, del caso di gravidanza e puerperio per metterlo a confronto col caso del lavoratore chiamato ad adempiere il dovere civico del servizio militare di leva e trarne argomento di violazione dell'art. 3 Cost. sotto lo specifico profilo del principio di parità dei sessi.

Non é producente nemmeno il confronto con la disciplina legislativa del trattamento di fine servizio dei dipendenti pubblici, fatta salva dall'art. 4, sesto comma, della legge n. 297 del 1982. Che il periodo del servizio di leva si computi ai fini di questo trattamento si spiega perché l'indennità di buonuscita per il personale statale, l'indennità di anzianità per i dipendenti degli enti parastatali e l'indennità premio di servizio per i dipendenti degli enti locali, la cui disciplina il legislatore ha ritenuto, almeno per il momento, di non modificare, hanno natura analoga a quella dell'indennità di anzianità originariamente prevista dal codice civile per i rapporti di lavoro privato, cioè sono corrispettive all'anzianità come tale, nella quale, giusta la sentenza n. 8 del 1963 di questa Corte, deve essere computato anche il tempo trascorso in servizio militare di leva.

4. -Non sussiste infine la pretesa violazione dell'art. 136 Cost.

La sentenza appena citata ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 1, secondo comma, del d.lgs. C.p.S. 13 settembre 1946, n. 303, il quale escludeva, salva diversa disposizione del contratto collettivo, che il periodo trascorso in servizio militare di leva dovesse essere computato <agli effetti dell'anzianità>. Questa norma non é stata ripristinata dall'art. 2120, terzo comma, nel nuovo testo dettato dalla legge n. 297 del 1982. Il periodo del servizio di leva continua ad essere computato nell'anzianità di servizio a tutti i suoi effetti: scatti periodici di anzianità (cfr. Cass. n. 6166 del 1988), durata del preavviso, delle ferie annuali e del comporto per malattia, passaggi automatici di qualifica. Ma tra questi effetti non v'é più il diritto all'indennità di anzianità, al quale la legge del 1982 ha sostituito un trattamento di natura diversa.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 2120, terzo comma, cod. civ., modificato dalla legge 29 maggio 1982, n. 297 (Disciplina del trattamento di fine rapporto e norme in materia pensionistica), nella parte in cui non prevede il servizio militare di leva tra i periodi di sospensione della prestazione di lavoro computabili nel calcolo del trattamento di fine rapporto, sollevata, in relazione agli artt. 3 e 136 della Costituzione, dal Pretore di Modena, con l'ordinanza indicata in epigrafe.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 25/10/89.

 

Giovanni CONSO - Ettore GALLO - Aldo CORASANITI - Giuseppe BORZELLINO - Francesco GRECO - Renato DELL'ANDRO - Gabriele PESCATORE - Ugo SPAGNOLI - Francesco Paolo CASAVOLA - Antonio BALDASSARRE - Vincenzo CAIANIELLO - Mauro FERRI - Luigi MENGONI - Enzo CHELI.

 

Depositata in cancelleria il 07/11/89.

 

Giovanni CONSO, PRESIDENTE

Luigi MENGONI, REDATTORE