Ordinanza n. 437 del 1989

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ORDINANZA N.437

ANNO 1989

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Dott. Francesco SAJA, Presidente

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO

Prof. Aldo CORASANITI

Prof. Giuseppe BORZELLINO

Dott. Francesco GRECO

Prof. Renato DELL'ANDRO

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

Prof. Antonio BALDASSARRE

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

Avv. Mauro FERRI

Prof. Luigi MENGONI

Prof. Enzo CHELI

ha pronunciato la seguente

 

ORDINANZA

 

nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 1, comma sesto, della legge 7 agosto 1982, n. 516 (Conversione in legge, con modificazioni, del D.L. 10 luglio 1982, n. 429, recante norme per la repressione dell'evasione in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto e per agevolare la definizione delle pendenze in materia tributaria. Delega al Presidente della Repubblica per la concessione di amnistia per reati tributari), promosso con:

1) ordinanza emessa il 27 dicembre 1988 dal Tribunale di Torino nel procedimento penale a carico di Alvaro Franco ed altra, iscritta al n. 79 del registro ordinanze 1989 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 9, prima serie speciale, dell'anno 1989;

2) ordinanza emessa il 29 dicembre 1988 dal Tribunale di Torino nel procedimento penale a carico di Delogu Antonio, iscritta al n. 80 del registro ordinanze 1989 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 9, prima serie speciale dell'anno 1989.

Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 14 giugno 1989 il Giudice relatore Vincenzo Caianiello.

Ritenuto che nel corso di due procedimenti penali entrambi concernenti l'accertamento del reato di cui all'art. 1, sesto comma, del decreto legge 10 luglio 1982, n. 429 (Norme per la repressione dell’evasione in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto e per agevolare la definizione delle pendenze in materia tributaria) convertito in legge 7 agosto 1982, n. 516, che sanziona la mancata tenuta o conservazione delle scritture contabili (obbligatorie ai fini delle imposte sui redditi e dell'imposta sul valore aggiunto), il Tribunale di Torino con due identiche ordinanze (r.o. nn. 79 e 80 del 1989), ha sollevato questione di legittimità costituzionale della norma incriminatrice, in riferimento all'art. 3 della Costituzione;

che la disposizione impugnata viene censurata nella parte in cui, punendo la mancata annotazione nelle scritture contabili - obbligatorie ai fini dell'imposta sul valore aggiunto - anche degli atti di acquisto (fatture ricevute) indipendentemente da una soglia quantitativa di punibilità, determinerebbe un'ingiustificata disparità di trattamento rispetto a quanto prevede invece il secondo comma, n. 1 (rectius n. 2) della medesima disposizione che sanziona penalmente l'omessa annotazione degli atti di cessione (fatture emesse) solo quando il loro ammontare complessivo superi i 50 milioni di lire, e la percentuale del 2% dei corrispettivi risultanti dall'ultima dichiarazione presentata;

che non si sono costituite le parti mentre in entrambi i giudizi é intervenuta l'Avvocatura generale dello Stato sostenendo che la determinazione di una soglia quantitativa di punibilità risulterebbe superflua nei confronti di una norma che, correttamente interpretata, non consente di punire ogni singola omissione di annotazione, ma bensì soltanto quelle idonee ad assicurare, nel loro insieme, una visione complessiva sufficiente mente illuminante circa i volumi di acquisti, di affari e di ricavi del soggetto passivo di imposta;

che, inoltre, ad avviso dell'interveniente, le situazioni poste a raffronto non sarebbero omogenee e pertanto la previsione di un trattamento sanzionatorio autonomo e separato, per l’omessa annotazione degli atti di acquisto, costituirebbe espressione non irragionevole della discrezionalità legislativa.

Considerato che i giudizi vanno riuniti per la loro identità oggettiva;

che la norma impugnata non esclude interpretazioni tali da lasciare al giudice di merito un certo margine di apprezzamento nel limitarne l'applicazione a quelle sole fattispecie omissive che, per entità e natura, siano effettivamente in grado di ledere la funzione stessa della scrittura, preordinata alla ricostruzione della situazione patrimoniale e del giro di affari del contribuente;

che pertanto, sotto tale aspetto, la mancata previsione in astratto di una soglia di punibilità, non comportando l'automatica e necessaria incriminazione di fattispecie ictu oculi inoffensive, non appare di per se irragionevole e ciò in conformità a quanto già affermato da questa Corte nella sentenza n. 62 del 1986, non essendo il legislatore obbligato a prevedere in ogni norma la soglia del penalmente rilevante, e potendo invece tale limite essere individuato in via interpretativa dal giudice di merito in base al principio di offensività, che costituisce ormai un canone unanimemente accettato (punto 5 della motivazione);

che per quanto attiene alla lamentata disparità di trattamento rispetto alla disciplina sanzionatoria prevista per l’omessa annotazione delle cessioni di beni (art. 1, secondo comma, n. 2 decreto legge n. 429 del 1982) non può che ribadirsi quanto già costantemente affermato dalla giurisprudenza di questa Corte e cioè che le scelte discrezionali del legislatore in materia di sanzioni penali non sono sindacabili nel giudizio di costituzionalità salvo il limite della ragionevolezza (v. da ultimo ord. n. 376 del 1989);

che tale limite in relazione alle fattispecie poste a raffronto dal giudice a quo, non risulta violato, trattandosi di norme che perseguono finalità diverse, specie sotto il profilo degli eventuali controlli incrociati, e che sanzionano comportamenti fra loro non omogenei rispetto al pericolo di un'evasione fiscale; che pertanto la questione va dichiarata manifestamente inammissibile.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi dinanzi alla Corte costituzionale.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

riuniti i giudizi,

dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'art. 1, ultimo comma, del decreto legge 10 luglio 1982, n. 429 (Norme per la repressione della evasione in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto e per agevolare la definizione delle pendenze in materia tributaria) convertito con modificazioni in legge 7 agosto 1982, n. 516 sollevata, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, dal Tribunale di Torino con le ordinanze indicate in epigrafe.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 18/07/89.

 

Francesco SAJA - Giovanni CONSO - Ettore GALLO - Aldo CORASANITI - Giuseppe BORZELLINO - Francesco GRECO - Renato DELL'ANDRO - Gabriele PESCATORE - Ugo SPAGNOLI - Francesco Paolo CASAVOLA - Antonio BALDASSARRE - Vincenzo CAIANIELLO - Mauro FERRI - Luigi MENGONI - Enzo CHELI.

 

Depositata in cancelleria il 25/07/89.

 

Francesco SAJA, PRESIDENTE

Vincenzo CAIANIELLO, REDATTORE