Ordinanza n. 417 del 1989

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ORDINANZA N.417

ANNO 1989

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Dott. Francesco SAJA, Presidente

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO

Prof. Aldo CORASANITI

Prof. Giuseppe BORZELLINO

Dott. Francesco GRECO

Prof. Renato DELL'ANDRO

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

Prof. Antonio BALDASSARRE

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

Avv. Mauro FERRI

Prof. Luigi MENGONI

Prof. Enzo CHELI

ha pronunciato la seguente

 

ORDINANZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 315 del codice penale in relazione all'art. 358 dello stesso codice, promosso con ordinanza emessa il 10 novembre 1988 dal Giudice istruttore presso il Tribunale di Bolzano nel procedimento penale a carico di Ortombina Guglielmo, iscritta al n. 74 del registro ordinanze 1989 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 9, prima serie speciale, dell'anno 1989.

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 14 giugno 1989 il Giudice relatore Ettore Gallo.

Ritenuto che, con ordinanza 10 novembre 1988, il Giudice istruttore presso il Tribunale di Bolzano sollevava questione di legittimità costituzionale dell'art. 315 del codice penale, in relazione all'art. 358 stesso codice, con riferimento all'art. 3 della Costituzione, nella parte in cui consente che il dipendente di una società per la gestione di autostrade deve essere qualificato come incaricato di pubblico servizio, cosi che il reato nella specie commesso (attribuzione agli autoveicoli di categoria inferiore a quella effettiva, allo scopo di incamerare a suo vantaggio la differenza di pedaggio, o di favorire taluni conducenti) andrebbe qualificato come malversazione, di competenza del Tribunale;

che, in precedenza, lo stesso Giudice istruttore, ritenendo invece che nel fatto si dovesse configurare il delitto di appropriazione indebita, aveva trasmesso gli atti al Pretore di Bolzano per competenza;

che questi, però, aveva restituito gli atti stessi osservando che, per costante giurisprudenza della Corte di cassazione, all'impiegato addetto alla riscossione del pedaggio doveva essere appunto attribuita la qualifica di incaricato di pubblico servizio;

che, a seguito di ciò, il Giudice istruttore riteneva di doversi adeguare alla detta giurisprudenza e di non dovere, perciò, sollevare conflitto di competenza, ma opinava che il dipendente di una società privata, che incassa pedaggi che rappresentano corrispettivo di una prestazione che va ad esclusivo beneficio della società, non possa rivestire la detta qualifica, anche perché gli spetterebbe allora una tutela che non trova riscontro in una particolare preparazione professionale o in particolari controlli;

che, semmai, la detta qualifica potrebbe spettare al dipendente della società esclusivamente quando in concreto compie atti di pubblico servizio, cosi come la stessa Corte di cassazione ha ritenuto per i dipendenti delle Banche d'interesse nazionale e della Cassa di Risparmio;

che, pertanto, verrebbe a verificarsi disparità di trattamento nell'ambito dei cittadini che svolgono analoghe attività, per cui riteneva il giudice d'investire questa Corte della questione;

che interveniva nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato dall'Avvocatura generale dello Stato, la quale eccepiva preliminarmente l'inammissibilità della questione perché il giudice a quo avrebbe dovuto previamente sollevare il conflitto, proprio in quanto ha dato atto di un certo mutamento in corso da parte della giurisprudenza della Cassazione, e comunque chiedeva che la questione fosse dichiarata infondata, avendo il servizio carattere pubblico ed essendo disciplinato in forma pubblicistica.

Considerato che l'eccezione preliminare dell'Avvocatura dev'essere respinta, avendo questa Corte in altra occasione deciso che, sollevato il conflitto di competenza, il giudice non può più avanzare questione di legittimità costituzionale nei confronti della decisione della Corte di cassazione che fa stato nel processo in corso (vedi sentenza 609/88);

che, peraltro, il Giudice istruttore, a fronte di un’ultradecennale e pacifica giurisprudenza della Corte di cassazione, non ha espresso alcuna motivazione in ordine al prospettato suo dissenso, limitandosi a considerazioni esteriori che non toccano la sostanza del problema sollevato, che era quella di spiegare perché mai il pedaggio rappresenti un corrispettivo che va a tutto vantaggio della società, cosi come l'ordinanza di rimessione apoditticamente afferma;

che, d'altra parte, il giudice ha dichiarato di volersi attenere alla giurisprudenza della Suprema Corte di cassazione, mentre, così stando le cose, avrebbe potuto e dovuto dare egli stesso quella diversa e motivata interpretazione delle funzioni dell'impiegato de quo che gli avrebbero consentito di pervenire alle conseguenze giuridiche da lui auspicate;

che, in realtà, la norma denunziata non presenta alcun aspetto d'illegittimità costituzionale, giacche si limita a configurare gli elementi essenziali della fattispecie di <malversazione a danno di privati> quale reato proprio del pubblico ufficiale o dell'incaricato di un pubblico servizio;

che altrettanto deve dirsi dell'art. 358 codice penale, dall'ordinanza richiamato, nel quale e data la nozione dell'incaricato di un pubblico servizio, agli effetti della legge penale, con riferimento sia al momento soggettivo che, appunto, al pubblico servizio, che però non viene definito;

che tutto ciò dimostra come la soluzione del quesito proposto non investa la legittimità costituzionale della disposizione impugnata, ma piuttosto l'identificazione delle funzioni che comportano, per loro natura, un pubblico servizio;

che, pertanto, non si tratta di interpretare una norma in senso conforme a Costituzione (anche nel qual caso, peraltro questa Corte ha suggerito che competente sia sempre il giudice ordinario che dovrà scegliere, attraverso un'interpretazione adeguatrice, quella compatibile con la Costituzione; vedi sentenza n. 171 del 1986), sicché, vuoi per questa ragione, vuoi perché, comunque, l'ordinanza é frutto - per quanto già si é rilevato più sopra- di affermazioni apodittiche proprio sul punto concernente la natura di quelle funzioni.

visti gli artt. 26, comma 2, legge 11 marzo 1953 n. 87 e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi innanzi alla Corte costituzionale;

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'art. 315 codice penale, in relazione all'art. 358, stesso codice, e con riferimento all'art. 3 della Costituzione, sollevata dal Giudice istruttore presso il Tribunale di Bolzano con ordinanza 10 novembre 1988.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 06/07/89.

 

Francesco SAJA - Giovanni CONSO - Ettore GALLO - Aldo CORASANITI - Giuseppe BORZELLINO - Francesco GRECO - Renato DELL'ANDRO - Gabriele PESCATORE - Ugo SPAGNOLI - Francesco Paolo CASAVOLA - Antonio BALDASSARRE - Vincenzo CAIANIELLO - Mauro FERRI - Luigi MENGONI - Enzo CHELI.

 

Depositata in cancelleria il 18/07/89.

 

Francesco SAJA, PRESIDENTE

Ettore GALLO, REDATTORE