Sentenza n. 407 del 1989

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SENTENZA N.407

ANNO 1989

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Dott. Francesco SAJA, Presidente

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO

Prof. Aldo CORASANITI

Prof. Giuseppe BORZELLINO

Dott. Francesco GRECO

Prof. Renato DELL'ANDRO

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

Prof. Antonio BALDASSARRE

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

Avv. Mauro FERRI

Prof. Luigi MENGONI

Prof. Enzo CHELI

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nei giudizi di legittimità costituzionale degli artt. 1, commi quarto, quinto e sesto, 2 e 5 della legge 29 dicembre 1988, n. 554 (Disposizioni in materia di pubblico impiego), promossi con ricorsi delle Regioni Liguria, Veneto, Emilia-Romagna e Toscana, notificati il 31 gennaio e il 1° febbraio 1989, depositati in cancelleria il 7 e l'8 febbraio 1989 ed iscritti ai nn. 5, 6, 7 e 8 del registro ricorsi 1989. Visti gli atti di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica dell'11 aprile 1989 il Giudice relatore Mauro Ferri;

uditi gli avvocati Giuseppe Pericu per le Regioni Liguria e Veneto, Fabio Lorenzoni per la Regione Emilia-Romagna, Calogero Narese per la Regione Toscana e l'Avvocato dello Stato Sergio Laporta per il Presidente del Consiglio dei ministri.

 

Considerato in diritto

 

1.-I quattro ricorsi indicati in epigrafe sollevano questione di legittimità costituzionale di varie norme della legge 29 dicembre 1988, n. 554; trattandosi di questioni identiche o strettamente connesse, i relativi giudizi vanno riuniti e decisi con unica sentenza.

2. - Tutte le ricorrenti censurano innanzitutto il primo comma dell'art. 5 della legge n. 554 del 1988, in riferimento agli artt. 123 e - limitatamente alle Regioni Liguria e Veneto - anche 117 della Costituzione: la norma, individuando nella giunta regionale l'organo competente a disporre le assunzioni in deroga per le unita sanitarie locali e per gli enti pubblici non economici dipendenti dalle regioni, ad avviso delle ricorrenti invaderebbe una materia riservata agli statuti regionali ed esorbiterebbe dai limiti di una legislazione di principio.

La questione é fondata sotto l'assorbente profilo della violazione dell'art. 123 della Costituzione.

Non vi é dubbio, infatti, che la ripartizione delle competenze tra i vari organi regionali rientra, salvo ovviamente il rispetto dell'art. 121 della Costituzione, nella materia <organizzazione interna della regione>, che la Costituzione riserva allo statuto regionale.

Questa Corte, in una precedente occasione (v. sent. n. 64 del 1987), con riferimento ad una disposizione sostanzialmente identica a quella ora impugnata, ritenne la questione non fondata interpretando la norma nel senso che essa si limitava <a indicare l'organo competente alla generalità dei provvedimenti amministrativi, secondo la maggior parte degli Statuti, senza escludere, dunque, la competenza (anche sull'oggetto) di altri organi regionali, che fosse prevista in via generale da singoli Statuti>.

Ma, in primo luogo, va rilevato che non era stato allora invocato l'art. 123 della Costituzione; ed inoltre la Corte ritiene che sia ora necessario pervenire alla dichiarazione di illegittimità della norma in esame, anche ad evitare che in futuro si riproducano disposizioni analoghe, le quali certamente non rispondono a criteri di rigorosa conformità al dettato costituzionale, dando così luogo ad occasioni di contenzioso tra lo Stato e le regioni.

Va, pertanto, dichiarata l'illegittimità costituzionale dell'art. 5, primo comma, della legge n. 554 del 1988, nella parte in cui prevede che le assunzioni in deroga per le unita sanitarie locali e per gli enti pubblici non economici dipendenti dalle regioni sono disposte con provvedimenti <della giunta regionale>, anziché <della regione>.

3. - Il secondo e il terzo comma dell'art. 5 della legge in esame sono anch'essi impugnati da tutte le ricorrenti, in riferimento agli artt. 115, 117 e 118 della Costituzione.

Secondo le ricorrenti le norme indicate, nell'assoggettare le regioni all'obbligo di attivare le procedure di mobilità tra il personale delle regioni stesse, degli enti pubblici non economici da esse dipendenti e dell’unita sanitarie locali (salvo, per queste ultime, il personale di cui al decreto legge 8 febbraio 1988, n. 27, convertito con modificazioni in legge 8 aprile 1988, n. 109), e nel fare riferimento al d.P.C.M. 5 agosto 1988, n. 325 e alle successive eventuali modificazioni dello stesso, ledono l'autonomia regionale in materia di organizzazione dei propri uffici e di quelli degli enti dipendenti e superano i limiti imposti alla funzione statale di indirizzo e coordinamento, non lasciando alcuno spazio alla competenza regionale.

La questione non é fondata.

Il principio della mobilità del personale del pubblico impiego fu introdotto con l'art. 19 della legge quadro sul pubblico impiego 29 marzo 1983, n. 93, le cui disposizioni costituiscono per le regioni a statuto ordinario principi fondamentali ai sensi dell'art. 117 della Costituzione (art. 1) e la cui natura di grande riforma economico-sociale fu riconosciuta da questa Corte, con la sentenza n. 219 del 1984, proprio considerando i principi da essa desumibili, fra i quali, appunto, quello della mobilità.

Successivamente, l'attuazione concreta del principio e stata avviata disponendo che le pubbliche amministrazioni individuassero e definissero previamente i carichi funzionali di lavoro al fine di determinare le dotazioni organiche a livello territoriale: art. 6 del d.P.R. 1° febbraio 1986, n. 13 e art. 12 del d.P.R. 23 agosto 1988, n. 395. L'art. 13 di quest'ultimo decreto prevede che le disposizioni di cui al precedente art. 12 costituiscono linee di indirizzo e coordinamento per le regioni a statuto ordinario e per le autonomie territoriali.

Con il d.P.C.M. 5 agosto 1988, n. 325, poi, si é inteso - sulla base della previsione legislativa di cui all'art. 24, commi 2, 17, 18 e 19, della legge 11 marzo 1988, n. 67 (legge finanziaria 1988) - in attesa della determinazione delle dotazioni organiche previste dal citato art. 12 del d.P.R. n. 395/88, iniziare ad attuare processi di mobilità anche in via sperimentale nell'ambito delle pubbliche amministrazioni. Anche in questo caso si è stabilito che le disposizioni del decreto costituiscono linee di indirizzo e coordinamento per le regioni e gli enti da esse dipendenti (art. 10).

Si é giunti, infine, alla legge 29 dicembre 1988, n. 554, dettata anch'essa al fine essenziale di promuovere e perfezionare i processi di mobilità.

Dai lavori preparatori della legge emerge con chiarezza l’intenzione del legislatore di dare concreto avvio alla mobilità, ricollegandosi a quanto già disposto nel citato decreto n. 325/88, soprattutto attraverso una disciplina del reclutamento ispirata al criterio della residualità delle assunzioni rispetto alle operazioni di mobilità. L'obiettivo della legge e quello di conseguire l'impiego ottimale delle risorse umane, di modernizzare la pubblica Amministrazione attraverso una gestione più elastica ed efficiente del personale al fine di renderla più rispondente alla domanda di servizio: in definitiva, di compiere un passo importante, nell'organizzazione dei pubblici uffici, sulla strada del raggiungimento e della piena attuazione di quel principio del buon andamento della pubblica Amministrazione costituzionalmente sancito nell'art. 97 della Carta fondamentale.

Non può, quindi, non riconoscersi che la legge in esame sia complessivamente sorretta dall'interesse nazionale, quale limite costituzionalmente posto all'autonomia regionale, e che sussistano nel caso di specie quei requisiti (non arbitrarietà dell'apprezzamento del legislatore; infrazionabilità territoriale dell'interesse), che giustificano in linea di principio, secondo il costante orientamento di questa Corte, l'intervento del legislatore statale, in materie di competenza regionale, anche in via dettagliata e concreta (v. sentt. nn. 177, 217 e 633 del 1988).

Passando all'esame delle singole disposizioni censurate, va rilevato che il secondo e il terzo comma dell'art. 5 contengono norme che senza dubbio non esorbitano dall'esigenza di soddisfare l'interesse nazionale posto a loro fondamento. Appare infatti pienamente coerente, ed anzi logicamente necessario, rispetto ai fini da perseguire, che i processi di mobilità debbano coinvolgere tutto il personale della pubblica amministrazione, ivi comprese quindi le regioni e gli enti territoriali minori.

L'obbligo imposto di attivare tali processi non comprime quindi illegittimamente alcuna competenza regionale; e il richiamo al d.P.C.M. n. 325/88 (quanto alle modalità con cui le unità sanitarie locali e gli enti dipendenti devono comunicare le carenze e gli esuberi di organico alle regioni e ai profili professionali cui le regioni devono attenersi nell'attuare la mobilita) é giustificato da evidenti ragioni di uniformità delle procedure su tutto il territorio nazionale. Infine, anche il rinvio alle <eventuali successive modificazioni> di detto decreto, disposte ai sensi dell'art. 1, quarto comma, della legge stessa, non presenta di per se, per gli stessi motivi, vizi di legittimità, salva ovviamente restando la competenza di questa Corte in ordine alle disposizioni che dovessero essere in futuro concretamente dettate.

Va detto poi, per concludere su questo punto, che l'autonomia regionale é comunque sufficientemente salvaguardata dal potere, che resta intatto, di determinare le piante organiche del personale.

4.-Per motivi sostanzialmente analoghi a quelli relativi alle censure concernenti il secondo e terzo comma dell'art. 5, sono impugnati da tutte le ricorrenti anche i commi quarto e quinto dello stesso articolo, in riferimento agli artt. 117, 118 e, quanto all'Emilia-Romagna, anche 97 e 123 della Costituzione.

I due commi in discussione dispongono che debbano essere comunicati alla Presidenza del Consiglio da un lato (quarto comma) l'elenco del personale dell’unita sanitarie locali, degli enti dipendenti dalle regioni o delle stesse regioni risultato in esubero e non reimpiegato in ambito regionale per carenza di posti, e, dall'altro (quinto comma), i posti degli stessi enti relativi a profili professionali non coperti con i processi di mobilità: nel primo caso la Presidenza del Consiglio provvederà alla <collocazione> del personale (secondo le norme del d.P.C.M. n. 325/88), nel secondo provvederà a disporre <ove possibile> la copertura dei posti (sempre secondo le modalità di cui al richiamato decreto n. 325/88).

Le ricorrenti lamentano, in particolare, la lesione della propria competenza in materia di organizzazione degli uffici, soprattutto per la possibilità che personale di provenienza extra-regionale possa coprire le vacanze risultate in ambito regionale all'esito della mobilità.

La questione é fondata nei limiti di cui appresso.

Va innanzitutto ribadito, come ampiamente detto al numero precedente, che sussiste un evidente interesse nazionale che presiede a tutta la procedura della mobilità. Non può, quindi, negarsi che sia pienamente coerente con il completo soddisfacimento del detto interesse la previsione che, all'esito della mobilità infraregionale, si dia luogo, ove occorra, ad una mobilita anche interregionale, ovvero tra amministrazioni regionali e amministrazione statale.

Tuttavia, le norme censurate, così come concretamente formulate, non appaiono rispettare i limiti di una stretta correlazione con l'esigenza posta a loro fondamento: costituiscono, cioè, secondo una valutazione che questa Corte si é sempre riservata di effettuare in casi analoghi (v. sentenze precedentemente citate), strumenti che, in presenza delle competenze regionali su cui incidono, non possono considerarsi pienamente congrui al raggiungimento dello scopo. Non vi é dubbio, infatti, che le norme in esame, escludendo qualsiasi intervento regionale in ordine alle decisioni circa i movimenti di personale da o verso le regioni, determinino una penetrante interferenza nell'autonomia regionale, senza che, d'altra parte, esse possano ritenersi strettamente necessarie al fine di soddisfare l'interesse nazionale che le sorregge.

Ad avviso di questa Corte, detto fine é ugualmente e pienamente raggiungibile se, considerate le competenze delle regioni in materia, sia a queste assicurato, nelle procedure in esame, un momento partecipativo, quanto meno nella forma della consultazione, in attuazione di quel principio di <leale cooperazione> cui varie volte questa Corte ha avuto occasione di fare riferimento (v. sentt. nn. 175 del 1976, 151 del 1986, 344 del 1987, 747, 1029 e 1031 del 1988, 242 del 1989).

Pertanto, va dichiarata l'illegittimità costituzionale, per violazione dell'art. 117 della Costituzione, dei commi quarto e quinto dell'art. 5 nella parte in cui non prevedono che la collocazione presso altre amministrazioni del personale risultato in esubero e non reimpiegato in ambito regionale (quarto comma) e la copertura dei posti non coperti con i processi di mobilità (quinto comma) avvengano sentite le regioni interessate.

Restano assorbiti i profili di censura relativi agli altri parametri invocati.

5. -I commi secondo, terzo, quarto e quinto dell'art. 5 della legge n. 554 del 1988 sono poi censurati dalle Regioni Liguria e Veneto sotto l'aspetto della lesione della loro autonomia finanziaria, in riferimento agli artt. 81, 117 e 119 della Costituzione. Si sostiene, in particolare, che dette norme incidono sulle decisioni in ordine alla distribuzione delle risorse finanziarie regionali, determinando - nel caso in cui prevedono la destinazione alle regioni di personale di provenienza extraregionale- un incremento dell'importo globale delle spese a carico delle regioni stesse, senza dotarle dei mezzi finanziari necessari.

A sua volta la Regione Toscana impugna i soli commi quarto e quinto dell'art. 5 in riferimento agli artt. 3 e 97 della Costituzione, rilevando che il mancato trasferimento alle regioni dei fondi occorrenti al trattamento economico del personale ad esse destinato viola il principio di uguaglianza -in relazione a quanto viceversa e previsto nell'art. 1, quarto comma, della stessa legge per gli enti locali-e quello di buon andamento degli uffici regionali.

Va premesso, in primo luogo, che anche le censure riferite agli artt. 3, 81 e 97 della Costituzione, pur attenendo a precetti costituzionali collocati al di fuori del titolo quinto della Costituzione stessa, possono, cosi come prospettate dalle ricorrenti, ritenersi ammissibili, in quanto finalizzate al ripristino dell'integrità delle proprie competenze, che si assumono illegittimamente lese (cfr. sentt. nn. 64 del 1987 e 302 del 1988).

Va, inoltre, precisato, in ordine a tutte le esposte censure, che queste, così come sono motivate, sono chiaramente riferite - e vanno quindi circoscritte - al solo quinto comma dell'art. 5, rispetto al quale soltanto, d'altra parte, appare in astratto configurabile la lesione di competenza lamentata dalle ricorrenti.

Ciò posto, le questioni non sono fondate.

In primo luogo, va rilevato che la necessaria partecipazione della regione alle procedure in discussione (introdotta dalla presente pronuncia), sia pure nella forma della consultazione, costituisce già di per sé uno strumento di tutela anche della propria autonomia finanziaria.

E' poi decisivo osservare che la destinazione di personale di provenienza extraregionale a copertura dei posti rimasti non coperti all'esito della mobilità infraregionale, senza che sia prevista la corresponsione da parte dello Stato dei mezzi finanziari occorrenti al trattamento economico di detto personale, non lede alcuna delle invocate disposizioni costituzionali in tema di autonomia finanziaria regionale, in quanto si tratta di posti previsti negli organici e di cui la regione ha comunicato l’avvenuta non copertura (fermo rimanendo, come già detto, il potere regionale di modificare le piante organiche) e, quindi, di posti per i quali deve ritenersi che la regione avrebbe dovuto procedere in ogni caso all'assunzione di personale: deve, pertanto, concludersi che le spese in discussione costituiscono spese proprie della regione.

Né, infine, é invocabile il principio di eguaglianza rispetto a quanto e previsto nel quarto comma dell'art. 1 con riferimento agli enti locali, non essendo evidentemente paragonabile, quanto ai rapporti con lo Stato, anche in materia finanziaria, la posizione delle regioni a quella degli enti locali (province, comuni ecc.).

6.1.-Formano oggetto di impugnazione da parte delle Regioni Veneto ed Emilia-Romagna anche alcune disposizioni dell'art. 1 della legge in esame, in via autonoma o in connessione con disposizioni dell'art. 5, già esaminate.

In primo luogo, la Regione Veneto censura i commi quarto, quinto e sesto dell'art. 1: essi, nella parte in cui subordinano le nuove assunzioni presso l’unita sanitarie locali (nella percentuale consentita) alla previa attuazione della mobilità facendo salvi i concorsi le cui prove siano già iniziate alla data del 30 settembre 1988 e le assunzioni in deroga già concesse dalle regioni alla medesima data, violano, ad avviso della ricorrente, gli artt. 117 e 118 della Costituzione (anche in relazione all'art. 3 della Costituzione stessa), in quanto ledono l'autonomia organizzativa regionale in materia sanitaria e vanificano irrazionalmente con effetto retroattivo scelte programmatiche già effettuate.

La questione non é fondata.

Ribadito anche in questo caso quanto sopra detto (v. punto 3) in ordine all'interesse nazionale che deve ritenersi posto legittimamente a base della legge n. 554 del 1988, non può esservi dubbio che il criterio della residualità delle assunzioni rispetto alle operazioni di mobilità, contenuto nel quarto comma dell'art. 1, rivesta una particolare importanza e costituisca una misura (peraltro, sia pure con modalità diverse, già prevista nell'art. 24 della legge finanziaria 1988, le cui disposizioni in gran parte cessano di avere applicazione dal 10 gennaio 1989, ai sensi dell'art. 2, comma quinto, della legge n. 554) perfettamente logica e coerente con le finalità che la legge in esame intende perseguire.

In merito alla <retroattività> al 30 settembre 1988 del blocco delle assunzioni, va in primo luogo rilevato che le disposizioni di cui ai commi quinto e sesto in esame sono frutto di emendamenti al testo originario (approvati in commissione alla Camera), il quale prevedeva che potessero effettuarsi assunzioni per posti messi a concorso per i quali fosse stata formata la graduatoria di merito entro il 31 dicembre 1988, e nulla disponeva, d'altra parte, quanto all’unita sanitarie locali. Ciò posto, deve ritenersi che l'aver fissato l'inizio del periodo di moratoria ad una data di poco anteriore all'entrata in vigore della legge rientrava nella discrezionalità del legislatore al fine di contemperare esigenze diverse, tanto più che tale data volutamente e fatta coincidere con quella di presentazione del disegno di legge alla Camera, e non può di per sé costituire un’illegittima lesione di competenze regionali.

Quanto, poi, all’impossibilità, lamentata dalla ricorrente, di far fronte ad eventuali urgenti necessita di personale presso l’unità sanitarie locali, va osservato, come sostiene l'Avvocatura dello Stato, che le regioni possono sempre far ricorso agli istituti previsti in via generale nel rapporto di pubblico impiego proprio al fine di sopperire ad esigenze impreviste e transitorie.

6.2. - La Regione Emilia-Romagna impugna il quarto comma dell'art. 1, in relazione ai commi quarto e quinto dell'art. 5, per violazione dell'art. 119 della Costituzione, in quanto non prevede la corresponsione alle regioni dei fondi necessari ad assicurare il trattamento economico del personale ad esse eventualmente destinato in attuazione della mobilità.

La questione é infondata per gli stessi motivi già illustrati nel punto 5, in ordine alle censure, sostanzialmente identiche, prospettate dalle altre ricorrenti avverso i predetti commi dell'art. 5.

6.3. - Parimenti non fondata é l'ulteriore questione sollevata dalla Regione Emilia-Romagna avverso il combinato disposto del quarto comma dell'art. 1 e del terzo comma dell'art. 5, in riferimento agli artt. 117 e 118 della Costituzione, per violazione dei limiti entro cui può legittimamente esplicarsi la funzione statale di indirizzo e coordinamento.

La censura non presenta un'autonomia sostanziale rispetto ad altre già esaminate e dichiarate non fondate (v. punti 3 e 6.1).

7.-Da ultimo, la Regione Emilia-Romagna prospetta in via subordinata questione di legittimità costituzionale del primo comma dell'art. 5 (in relazione ai successivi commi dello stesso articolo) e del primo comma dell'art. 2 della legge n. 554, in riferimento agli artt. 117 e 118 della Costituzione, qualora siano da interpretarsi nel senso della mancata previsione in capo alle regioni del potere di deroga relativamente al personale regionale.

La questione non é fondata in quanto, come riconosce la stessa Avvocatura dello Stato, il silenzio della legge non può certo interpretarsi nel senso sia pur dubitativamente prospettato dalla ricorrente.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

riuniti i giudizi,

a) dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 5, primo comma, della legge 29 dicembre 1988, n. 554 (Disposizioni in materia di pubblico impiego), nella parte in cui prevede che le assunzioni in deroga per l’unita sanitarie locali e per gli enti pubblici non economici dipendenti dalle regioni sono disposte con provvedimenti <della giunta regionale>, anziché <della regione>;

b) dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 5, quarto e quinto comma, della legge 29 dicembre 1988, n. 554, nella parte in cui rispettivamente non prevedono che la collocazione del personale dipendente dagli enti di cui al comma primo ed eventualmente dalle stesse regioni, risultato in esubero e non reimpiegato in ambito regionale per carenza dei relativi posti, e la copertura dei posti degli enti medesimi e delle stesse regioni, relativi a profili professionali non coperti con i processi di mobilità, avvengano sentite le regioni interessate;

c) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 5, secondo e terzo comma, della legge 29 dicembre 1988, n. 554, sollevata, in riferimento agli artt. 115, 117 e 118 della Costituzione, dalle Regioni Liguria, Veneto, Emilia-Romagna e Toscana con i ricorsi indicati in epigrafe;

d) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 5, secondo, terzo, quarto e quinto comma, della legge 29 dicembre 1988, n. 554, sollevata, in riferimento agli artt. 81, 117 e 119 della Costituzione, dalle Regioni Liguria e Veneto con i ricorsi indicati in epigrafe;

e) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 5, quarto e quinto comma, della legge 29 dicembre 1988, n. 554, sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 97 della Costituzione, dalla Regione Toscana con il ricorso indicato in epigrafe;

f) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 1, quarto, quinto e sesto comma, della legge 29 dicembre 1988, n. 554, sollevata, in riferimento agli artt. 117 e 118 della Costituzione, anche in relazione all'art . 3 della Costituzione, dalla Regione Veneto con il ricorso indicato in epigrafe;

g) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 1, quarto comma, della legge 29 dicembre 1988, n. 554, in relazione all'art. 5, quarto e quinto comma, della stessa legge, sollevata, in riferimento all'art. 119 della Costituzione, dalla Regione Emilia-Romagna con il ricorso indicato in epigrafe;

h) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 1, quarto comma, e 5, terzo comma, della legge 29 dicembre 1988, n. 544, sollevata, in riferimento agli artt. 117 e 118 della Costituzione, dalla Regione Emilia - Romagna con il ricorso indicato in epigrafe;

i) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 5, primo comma, in relazione al terzo, quarto e quinto comma dello stesso articolo, e 2, primo comma, della legge 29 dicembre 1988, n. 554, sollevata, in via subordinata, in riferimento agli artt. 117 e 118 della Costituzione, dalla Regione Emilia-Romagna con il ricorso indicato in epigrafe.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 06/07/89.

 

Francesco SAJA - Giovanni CONSO - Ettore GALLO - Aldo CORASANITI - Giuseppe BORZELLINO - Francesco GRECO - Renato DELL'ANDRO - Gabriele PESCATORE - Ugo SPAGNOLI - Francesco Paolo CASAVOLA - Antonio BALDASSARRE - Vincenzo CAIANIELLO - Mauro FERRI - Luigi MENGONI - Enzo CHELI.

 

Depositata in cancelleria il 18/07/89.

 

Francesco SAJA, PRESIDENTE

Mauro FERRI, REDATTORE