Ordinanza n. 405 del 1989

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ORDINANZA N.405

ANNO 1989

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Dott. Francesco SAJA, Presidente

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO

Prof. Aldo CORASANITI

Prof. Giuseppe BORZELLINO

Dott. Francesco GRECO

Prof. Renato DELL'ANDRO

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

Prof. Antonio BALDASSARRE

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

Avv. Mauro FERRI

Prof. Luigi MENGONI

Prof. Enzo CHELI

ha pronunciato la seguente

 

ORDINANZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale) e 247 del regio decreto 3 marzo 1934, n. 383 (Testo unico della legge comunale e provinciale), promosso con ordinanza emessa il 28 febbraio 1988 dal T.A.R. per la Lombardia sul ricorso proposto da Lia Modesto contro il Comune di Chiuro, iscritta al n. 141 del registro ordinanze 1989 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 13, prima serie speciale, dell'anno 1989.

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 14 giugno 1989 il Giudice relatore Francesco Greco.

Ritenuto che il T.A.R. per la Lombardia, nel procedimento instaurato da Lia Modesto contro il Comune di Chiuro, per l'impugnazione della destituzione di diritto inflittagli, a seguito di condanna a pena detentiva e interdizione dai pubblici uffici per la durata di un anno, per il reato di falsità ideologica ex art. 479 del codice penale, con ordinanza del 28 febbraio 1988-pervenuta alla Corte costituzionale il 2 marzo 1989 - (R.O. n. 141 del 1989), ha sollevato:

a) questione di legittimità costituzionale dell'art. 247 del regio decreto 3 marzo 1934, n. 383, nella parte in cui prevede la destituzione di diritto dell'impiegato condannato per determinati delitti con sentenza passata in giudicato, con esclusione del procedimento disciplinare, e, quindi, con preclusione, in danno della pubblica amministrazione, dell'esercizio dei poteri disciplinari e della relativa autonoma valutazione dei fatti;

b) questione di legittimità costituzionale dell'art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87, nella parte in cui non prevede che la Corte, quando ritenga fondata una questione di legittimità costituzionale risolvibile con un intervento del legislatore, non possa, prima di emettere la relativa declaratoria, assegnare un termine per provvedere al legislatore, facendo poi seguire alla sua inerzia la detta declaratoria all'inutile decorrenza del termine;

che, a parere del giudice remittente, risulterebbero violati gli artt. 3, 4, 24, 35, 97 e 113 della Costituzione, in quanto sussisterebbe una palese disparità di trattamento tra impiegati pubblici e impiegati privati; sarebbero lesi il diritto del cittadino al lavoro, il suo diritto di difesa nei confronti di atti della pubblica amministrazione, e l'esigenza di imparzialità della stessa pubblica amministrazione;

che l'Avvocatura generale dello Stato, intervenuta in rappresentanza del Presidente del Consiglio dei ministri, ha concluso per l’inammissibilità delle questioni;

che, per quanto concerne la questione sub a), questa Corte, con sentenza n. 971 del 1988, ha già dichiarato l'illegittimità costituzionale, tra le altre, della norma ora censurata, nel testo sostituito con legge 27 giugno 1942, n. 851, nella parte in cui non prevede, in luogo del provvedimento di destituzione di diritto, l'apertura e lo svolgimento del procedimento disciplinare;

che, a seguito e per effetto della ricordata sentenza, la norma impugnata é stata espunta dall'ordinamento;

che, quindi, la questione sollevata é da dichiararsi manifestamente inammissibile;

che, a seguito e per effetto dell’intervenuta declaratoria di illegittimità costituzionale, va anche dichiarata manifestamente inammissibile la questione sub b), in quanto deve ritenersi priva di rilevanza nel giudizio a quo.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi dinanzi alla Corte costituzionale.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara manifestamente inammissibili:

a) la questione di legittimità costituzionale dell'art. 247 del regio decreto 3 marzo 1934, n. 383 (Testo unico della legge comunale e provinciale), nel testo sostituito con legge 27 giugno 1942, n. 851, in riferimento agli artt. 3, 4, 24, 35, 97 e 113 della Costituzione, sollevata dal T.A.R. per la Lombardia con l’ordinanza in epigrafe, perché già dichiarato costituzionalmente illegittimo con la sentenza n. 971 del 1988;

b) la questione di legittimità costituzionale dell'art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), in riferimento agli artt. 3, 4, 35, 97 e 113 della Costituzione, sollevata dallo stesso T.A.R. per la Lombardia con l’ordinanza in epigrafe.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 05/07/89.

 

Francesco SAJA - Giovanni CONSO - Ettore GALLO - Aldo CORASANITI - Giuseppe BORZELLINO - Francesco GRECO - Renato DELL'ANDRO - Gabriele PESCATORE - Ugo SPAGNOLI - Francesco Paolo CASAVOLA - Antonio BALDASSARRE - Vincenzo CAIANIELLO - Mauro FERRI - Luigi MENGONI - Enzo CHELI.

 

Depositata in cancelleria il 13/07/89.

 

Francesco SAJA, PRESIDENTE

Francesco GRECO, REDATTORE