Sentenza n. 243 del 1989

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SENTENZA N. 243

ANNO 1989

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Dott. Francesco SAJA, Presidente

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO

Dott. Aldo CORASANITI

Prof. Giuseppe BORZELLINO

Prof. Renato DELL'ANDRO

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

Prof. Antonio BALDASSARRE

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

Avv. Mauro FERRI

Prof. Luigi MENGONI

Prof. Enzo CHELI

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nei giudizi di legittimità costituzionale degli artt. 2 e 16 della legge 13 aprile 1988, n. 117 (Risarcimento dei danni cagionati nell'esercizio delle funzioni giudiziarie e responsabilità civile dei magistrati), degli artt. 533, 534 e 536 del codice di procedura penale e degli artt. 1, 2, 5, 7 e 8 della legge n. 117 del 1988 cit., promossi con le seguenti ordinanze:

1. ordinanza emessa il 2 giugno 1988 dalla Corte di cassazione nel procedimento penale a carico di Gigliozzi Alberto, iscritta al n. 557 del registro ordinanze 1988 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 43, prima serie speciale, dell'anno 1988;

2. ordinanza emessa il 12 maggio 1988 dal Tribunale amministrativo regionale della Lombardia sul ricorso proposto da Triaca Fabrizi Filippo ed altri contro Comune di Besozzo ed altri, iscritta al n. 579 del registro ordinanze 1988 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 45, prima serie speciale, dell'anno 1988.

Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 7 marzo 1989 il Giudice relatore Francesco Saja;

udito l'Avvocato dello Stato Giorgio Azzariti per il Presidente del Consiglio dei ministri.

 

Considerato in diritto

 

 

1. - Entrambe le ordinanze di rimessione attengono al medesimo tema della responsabilità civile del giudice: pertanto i relativi giudizi vanno riuniti e decisi con unica sentenza.

2. - Come accennato in narrativa, la Presidenza del Consiglio dei ministri eccepisce preliminarmente l'irrilevanza e quindi l'inammissibilità delle proposte questioni, in quanto nessuna delle denunciate norme della legge 13 aprile 1988 n. 117 dovrebbe trovare diretta applicazione nei giudizi a quibus, i quali hanno l'oggetto sopra rispettivamente indicato. L'eccezione non può pero essere accolta poiché, come già chiarito dalla giurisprudenza di questa Corte (da ult. sent. n. 18 del 1989), debbono ritenersi influenti sul giudizio a quo anche le norme che, pur non direttamente applicabili per la decisione della controversia che ne costituisce oggetto, tuttavia attengono allo status del giudice e in genere ai suoi doveri nonché alle relative garanzie, e incidono quindi su un elemento fondamentale del processo, quale l'indipendenza dell'organo giurisdizionale.

3. - Relativamente alla prima questione dedotta, la Corte di cassazione dubita della legittimità costituzionale dell'art. 2, terzo comma, lettere b e c, della cit. legge n. 117 del 1988, il quale dispone che costituisce colpa grave del giudice l'affermazione o la negazione, determinate da negligenza inescusabile, di un fatto la cui esistenza é, rispettivamente, negata o esclusa dagli atti del procedimento. Ritiene la Cassazione che, non potendo il giudizio di legittimità estendersi ad accertamenti di fatto, la disposizione denunciata riserverebbe ai magistrati di cassazione un trattamento irrazionalmente deteriore rispetto agli altri giudici e perciò contrastante con l'art. 3 Cost., in quanto non specificherebbe che i fatti inescusabilmente ignorati o presupposti debbano emergere dalla sentenza impugnata o dal ricorso.

La questione non é fondata, risultando chiaramente implicita nelle vigenti disposizioni la volontà normativa di cui il collegio rimettente pretende l'esplicita enunciazione. E' evidente infatti che non potrebbe attribuirsi al giudice una responsabilità che non derivi da azioni od omissioni concernenti le funzioni istituzionalmente attribuitegli. E poiché alla Corte di cassazione é riservato il solo controllo di legittimità dei provvedimenti impugnati, esperibile attraverso l'esame dei medesimi nonché degli atti e documenti relativi, soltanto la colpa grave in cui i giudici siano incorsi nell'esercizio di detta attività di controllo può avere rilievo ai fini della loro responsabilità civile: fermo restando peraltro che le valutazioni di fatto possono avere rilievo quanto agli errores in procedendo.

Non sussiste dunque la denunciata violazione del principio di eguaglianza.

4. - La Corte di cassazione, con altra complessa censura, dubita altresì del contrasto degli artt. 2 e 16 (quest'ultimo relativo alla responsabilità dei componenti gli organi collegiali) 1. cit. con il principio di eguaglianza, stante che essi non distinguono tra collegio penale, da una parte, e, giudice monocratico e collegio civile, dall'altra. Secondo l'ordinanza di rimessione, il disposto degli impugnati artt. 2 e 16 comprometterebbe anzitutto l'imparzialità del collegio decidente, attribuendo alle parti uno strumento di pressione idoneo ad influenzarne le decisioni. Le indicate disposizioni violerebbero ancora il principio di eguaglianza perché alla completa conoscenza degli atti di causa da parte del giudice monocratico ed alla possibilità di controllare l'esattezza della deliberazione, da parte dei componenti non relatori del collegio civile, non corrisponderebbe un'analoga possibilità di controllo, da parte dei componenti non relatori del collegio penale, sia sul dispositivo, pubblicato in udienza subito dopo la deliberazione, sia sulla motivazione della sentenza, sottoscritta soltanto dal presidente e dal relatore.

Specificamente il collegio rimettente lamenta che il principio di immediatezza della decisione, sancito per la cassazione penale dall'art. 537 c.p.p., nonché la completa conoscenza degli atti di causa unicamente da parte del presidente e del relatore, che sottoscrivono il provvedimento, porrebbero i giudici non relatori in posizione anomala, chiamandoli sostanzialmente a rispondere di errori od omissioni altrui.

Sotto il primo profilo l'inconsistenza della censura in esame é stata già ritenuta da questa Corte con la citata sentenza n. 18 del 1989, dalla quale non sussiste alcun motivo per discostarsi.

Per vero, in essa si é chiarito come la limitatezza e tassatività delle fattispecie in cui é ipotizzabile una colpa grave del giudice, nonché la specifica e circostanziata descrizione delle ipotesi di responsabilità, non consentano di ritenere in pericolo la serenità e l'imparzialità del giudizio.

Ma anche sotto l'altro profilo e cioè l'asserito deteriore trattamento dei membri del collegio penale, che non siano relatori, la censura é certamente infondata.

In sostanza la Corte rimettente da per presupposto che la decisione collegiale possa da essa venire adottata con un diverso grado di conoscenza della causa da parte dei vari componenti, come se alcuni di loro vi partecipassero a diverso titolo, senza quella piena informazione che costituisce invece il requisito indispensabile per una corretta e responsabile formazione del giudizio; né la sottoscrizione del provvedimento da parte soltanto del presidente ed estensore permette di dubitare della fondamentale esigenza di approfondita conoscenza da parte di tutti i componenti del collegio giudicante. L'esercizio della funzione giurisdizionale esige imprescindibilmente che tutti i giudici conoscano a fondo gli elementi del processo, poiché soltanto cosi viene, da un lato, assolto un essenziale loro dovere e, dall'altro, risulta tutelata la posizione del cittadino.

La validità di questa affermazione non e minimamente attenuata dalle caratteristiche del giudizio penale: il principio di immediatezza della decisione - operante peraltro in tutti i gradi e talvolta anche al di fuori del processo penale, come ad esempio nel rito del lavoro-e correlato alle esigenze di concentrazione e di sollecita definizione del procedimento ed al particolare contenuto della decisione stessa; ma non implica certo che alcuni dei decidenti possano conoscere in minor misura, o superficialmente, gli atti di causa. Né alcuna delle norme di rito, indicate con una certa approssimazione nell'ordinanza di rimessione, riserva al presidente del collegio, o al relatore, l'esclusiva o maggiore disponibilità degli atti medesimi, ovvero la possibilità di esaminarli: che anzi, per la sua posizione e la maggiore esperienza, spetta al primo di curare che tutti i giudici conoscano adeguatamente gli atti processuali e di adottare i provvedimenti necessari a tale scopo.

5. -Parimenti non fondata e la terza questione di costituzionalità, relativa agli artt. 533, 534 e 536 cod. proc. pen., i quali, secondo l'ordinanza di rimessione, non imporrebbero di informare la parte civile del ricorso dell'imputato e della data fissata per l'udienza, cosi ledendo il diritto, sancito dall'art. 24 Cost., alla difesa in giudizio della parte suddetta.

Per contro, secondo la giurisprudenza della stessa Corte di cassazione, l'art. 534 cit. va interpretato secundum Constitutionem, nel senso che nel giudizio di legittimità la parte civile deve essere informata e messa in condizione di partecipare al dibattimento, sia pure soltanto mediante AVVISO al difensore.

Tale essendo lo stato della giurisprudenza, va ritenuta non fondata anche la terza ed ultima questione sollevata con la predetta ordinanza di rimessione.

6.-Prendendo in considerazione il provvedimento del Tribunale amministrativo regionale della Lombardia, rileva la Corte che con esso si deduce come gli artt. 1, 2, 7 e 8 cit. 1. n. 117 del 1988, prevedendo in generale la responsabilità civile per dolo o colpa grave degli appartenenti a tutte le magistrature, imporrebbero a carico dei giudici amministrativi una responsabilità per lesione di interessi legittimi, in quanto tali posizioni giuridiche soggettive costituiscono di norma l'oggetto del processo amministrativo. Rilevato che in linea generale questa responsabilità non graverebbe sulla pubblica amministrazione, e quindi sui funzionari ad essa appartenenti, ne risulterebbe, ad avviso del Tribunale, un trattamento in violazione dell'art. 103 Cost.

Inoltre l'art. 51. cit., attribuendo al giudice civile il compito di verificare l'ammissibilità della domanda di risarcimento dei danni proposta contro i giudici amministrativi e perciò conferendo sostanzialmente la competenza a conoscere la lesione di interessi legittimi, violerebbe, secondo la predetta ordinanza, il riparto della giurisdizione stabilito dagli artt. 103, 113 e 125, secondo comma, Cost.

La prima censura, il cui contenuto si riflette, come si vedrà, sulla seconda, non é fondata.

Anzitutto va osservata l'eccessiva ampiezza con cui essa e formulata, in quanto anche la posizione di diritto soggettivo può formare oggetto del processo amministrativo, come si verifica nei casi di giurisdizione esclusiva: il che, già di per se, rileva l'imprecisa formulazione della doglianza. Ma, oltre a ciò, va rilevato che il presupposto della questione sollevata dal Tribunale regionale e costituito dalla considerazione che la responsabilità, gravante sul giudice ai sensi della legge n. 117 del 1988, sia intimamente ed esclusivamente collegata alla situazione giuridica sostanziale oggetto del processo principale.

Ma tale presupposto non può essere condiviso. Esso infatti confonde la posizione soggettiva dedotta in giudizio con il rapporto processuale instaurato mediante l'esercizio dell'azione, che resta invece ben distinto.

Il processo, per vero, dà luogo ad un rapporto giuridico autonomo rispetto a quello che forma la materia della pretesa, in quanto ha un oggetto diverso e intercorre anche con soggetti, gli organi giurisdizionali, estranei per definizione alla situazione sostanziale: esso ha proprie caratteristiche e conseguentemente va considerato nella sua autonomia, anche se funzionalmente é innegabile un'incidenza strumentale.

Precisamente, la situazione giuridica processuale, di cui sono titolari le parti, costituisce un diritto soggettivo perfetto, anzi un diritto fondamentale, al quale e correlato il dovere degli organi giudiziari di rendere effettiva la tutela giurisdizionale. Non può pertanto esser dubbio che il mancato o inesatto adempimento di questo dovere integri la lesione del detto diritto soggettivo, al quale é estranea e quindi indifferente la posizione, eventualmente di interesse legittimo, di cui si chiede la tutela giurisdizionale.

La responsabilità civile di cui alla l. n. 117 del 1988 nasce dunque in ogni caso dalla lesione di un diritto soggettivo perfetto, anche quando oggetto del giudizio amministrativo sia un interesse legittimo: dal che discende l'inesattezza della premessa da cui muove la questione ora esaminata.

In base alle anzidette considerazioni non può trovare accoglimento neppure la seconda censura che, a parte qualsiasi altro rilievo, avrebbe, secondo l'ordinanza di rimessione, nella fondatezza della prima questione il necessario presupposto.

In conclusione, tutte le censure formulate dal Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia si rivelano prive di fondamento.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

riuniti i giudizi,

a) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 2 e 16 della legge 13 aprile 1988, n. 117, sollevate in riferimento agli artt. 3 e 101 della Costituzione dalla Corte di cassazione con l'ordinanza indicata in epigrafe;

b) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 533, 534 e 536 del codice di procedura penale, sollevata in riferimento all'art. 24 della Costituzione dalla Corte di cassazione con la medesima ordinanza;

c) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 1, 2, 5, 7 e 8 della legge n. 117 del 1988 cit., sollevate in riferimento agli artt. 103, 113 e 125, secondo comma, della Costituzione dal Tribunale amministrativo regionale della Lombardia con l'ordinanza indicata in epigrafe.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 13/04/89.

 

Francesco SAJA - Giovanni CONSO - Ettore GALLO - Aldo CORASANITI - Giuseppe BORZELLINO - Renato DELL'ANDRO - Gabriele PESCATORE - Ugo SPAGNOLI - Francesco Paolo CASAVOLA - Antonio BALDASSARRE - Vincenzo CAIANIELLO - Mauro FERRI - Luigi MENGONI - Enzo CHELI.

 

Depositata in cancelleria il 28/04/89.

 

Francesco SAJA, PRESIDENTE

Francesco SAJA, REDATTORE