Ordinanza n. 209 del 1989

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ORDINANZA N.209

ANNO 1989

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

 

composta dai signori Giudici:

Dott. Francesco SAJA, Presidente

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO

Prof. Aldo CORASANITI

Prof. Giuseppe BORZELLINO

Dott. Francesco GRECO

Prof. Renato DELL'ANDRO

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

Prof. Antonio BALDASSARRE

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

Avv. Mauro FERRI

Prof. Luigi MENGONI

Prof. Enzo CHELI

ha pronunciato la seguente

 

ORDINANZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 2, secondo comma, del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636 (Revisione della disciplina del contenzioso tributario), e dell'art. 10, comma secondo, n. 15 della legge 9 ottobre 1971, n. 825 (Delega legislativa al Governo della Repubblica per la riforma tributaria), promosso con ordinanza emessa il 26 ottobre 1987 dalla Commissione tributaria di primo grado di Verbania sul ricorso proposto da Falcicchio Paolo contro l'Intendenza di Finanza di Novara, iscritta al n. 364 del registro ordinanze 1988 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 37, prima serie speciale, dell'anno 1988.

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 25 gennaio 1989 il Giudice relatore Vincenzo Caianiello.

Ritenuto che, nel corso del giudizio tributario promosso da Paolo Falcicchio, residente in Verbania (Novara), avverso il silenzio- rifiuto dell'Intendente di finanza di Novara in ordine ad istanze di rimborso I.LO.R. relative agli anni 1978 e 1979, la Commissione tributaria di primo grado di Verbania adita ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell'art. 2, secondo comma, del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, per contrasto con gli artt. 3 e 76 della Costituzione;

che, ad avviso del giudice a quo, la norma denunciata - per la quale la competenza territoriale delle commissioni tributarie di primo grado e determinata dal luogo ove ha sede l'ufficio finanziario nei cui confronti e proposto il ricorso-violerebbe l'art. 3, primo comma, della Costituzione, in quanto, non tenendo conto della residenza o del domicilio fiscale del contribuente, affida la risoluzione di non poche controversie a collegi i cui componenti possono non essere del luogo in cui la ricchezza e stata prodotta o comunque assoggettata a tassazione;

che lo stesso giudice a quo, pur consapevole del precedente già esaminato dalla Corte costituzionale é deciso nel senso della non fondatezza (sent. n. 214 del 1976), ritiene tuttavia di apportare nuove argomentazioni richiamando all'uopo la sentenza n. 210 del 1986 delle S.U. della Corte di cassazione, in cui, tra l'altro, si afferma che la competenza territoriale delle commissioni tributarie é <funzionale ad un diretto legame delle commissioni medesime con il territorio, affinché le controversie siano per quanto possibile conosciute dai giudici del luogo in cui la ricchezza viene prodotta e assoggettata a tassazione>;

che il giudice rimettente ha, inoltre, prospettato il contrasto dello stesso art. 2, secondo comma, del d.P.R. n. 636 con l'art. 76 della Costituzione, in riferimento all'art. 10, n. 15, della legge delega per la riforma tributaria n. 825 del 1971, rilevando l’incongruenza della disposizione denunciata con la norma delegante, la quale prevede la designazione di alcuni membri delle commissioni tributarie da parte degli enti locali; sicché non si comprenderebbe la ragione per la quale i consigli comunali di una determinata circoscrizione debbano procedere a tali designazioni, quando poi <molti ricorsi dei cittadini dei Comuni interessati non vengono decisi, anzi non possono essere decisi, dai suddetti membri>;

che é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri con il patrocinio dell'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione venga dichiarata inammissibile o, in subordine, infondata, osservandosi in particolare, nell'atto di intervento, che le commissioni tributarie sono organi giurisdizionali dello Stato e non organismi di <autodichia> delle comunità locali e che i componenti designati dai Comuni (per il primo grado) e dalle Province (per il secondo grado) non sono assimilabili a <giudici elettivi> e non sono rappresentanti politici dei <cittadini contribuenti>, e che, inoltre, nessun parametro costituzionale impone allo Stato - apparato di moltiplicare e disperdere le sedi giudiziarie sul territorio per avvicinarle alla <utenza>.

Considerato che per quanto concerne l’ipotizzata violazione dell'art. 3 della Costituzione, ad opera della norma impugnata, la Corte ha già esaminato una questione analoga, dichiarandola non fondata con la sent. n. 214 del 1976 (pur richiamata nell'ordinanza di rimessione), nella quale é stato tra l'altro affermato che <il giudice deve giudicare iuxta alligata et probata e non in base alla conoscenza personale che può avere dei fatti sottoposti al suo giudizio>, dovendo le conoscenze occorrenti per vagliare quei fatti essere tratte dalle prove;

che é stato altresì rilevato che lo stesso d.P.R. n. 636 (art. 10), nel precisare che i componenti delle commissioni in questioni <hanno tutti identica funzione, indirizzata unicamente all’applicazione della legge>, impone loro di prescindere, nel giudizio, da ogni considerazione di interessi territoriali o di categoria, si che l'interesse degli enti locali nella designazione di una parte di detti componenti non può che essere di carattere generico e certamente non si riconnette in alcun modo con le singole controversie che i collegi devono risolvere (sent. n. 196 del 1982);

che, quanto all’asserita <novità> di argomentazioni a sostegno della questione, a mezzo del rinvio operato alla motivazione contenuta nella sentenza delle S.U. della Corte di cassazione, si osserva che in quella pronuncia sono state svolte talune considerazioni ad esclusivo sostegno di una compatibilità ed armonizzazione tra processo civile e processo tributario, al fine di pervenire all'affermazione dell’inderogabilità della competenza territoriale delle commissioni tributarie e della conseguente ammissibilità del regolamento di competenza, nel silenzio della specifica normativa, di guisa che dalle accennate argomentazioni non è possibile ricavare elementi tali da indurre la Corte a modificare il proprio orientamento (sent. n. 214 del 1976);

che, in ordine al preteso contrasto con l'art . 76 della Costituzione, la questione é manifestamente infondata perché, come già rilevato dalla Corte (sent. n. 217 del 1984), la legge di delega (art. 10 n. 14 legge n. 825 del 1971) si limita ad affermare la necessita della revisione, fra l'altro, delle competenze territoriali delle commissioni tributarie senza specifici vincoli per il legislatore delegato, il quale pertanto ha fissato detta competenza nel modo ritenuto più idoneo e conveniente in rapporto alla peculiarità della materia.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara la manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale dell'art. 2, secondo comma, del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636 (Revisione della disciplina del contenzioso tributario) sollevate, in riferimento agli artt. 3 e 76 della Costituzione, dalla Commissione tributaria di primo grado di Verbania con l'ordinanza indicata in epigrafe.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 12/04/89.

 

Francesco SAJA - Giovanni CONSO - Ettore GALLO - Aldo CORASANITI - Giuseppe BORZELLINO - Francesco GRECO - Renato DELL'ANDRO - Gabriele PESCATORE - Ugo SPAGNOLI - Francesco Paolo CASAVOLA - Antonio BALDASSARRE - Vincenzo CAIANIELLO - Mauro FERRI - Luigi MENGONI - Enzo CHELI.

 

Depositata in cancelleria il 20/04/89.

 

Francesco SAJA, PRESIDENTE

Vincenzo CAIANIELLO, REDATTORE