Sentenza n. 139 del 1989

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SENTENZA N.139

ANNO 1989

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Prof. Giovanni CONSO, Presidente

Prof. Ettore GALLO

Prof. Aldo CORASANITI

Prof. Giuseppe BORZELLINO

Prof. Renato DELL'ANDRO

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

Prof. Antonio BALDASSARRE

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

Avv. Mauro FERRI

Prof. Luigi MENGONI

Prof. Enzo CHELI

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 266 del codice penale, promosso con ordinanza emessa il 10 giugno 1988 dalla Corte d'assise di Roma nel procedimento penale a carico di De Luca Athos, iscritta al n. 451 del registro ordinanze 1988 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 42, prima serie speciale, dell'anno 1988.

Visto l'atto di costituzione di De Luca Athos, nonché l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 10 gennaio 1989 il Giudice relatore Giovanni Conso;

udito l'avv. Mauro Mellini per De Luca Athos.

 

Considerato in diritto

 

1. - La Corte d'assise di Roma dubita che l'art. 266 del codice penale, <nella parte in cui non prevede quale limite massimo di pena irroganda per la istigazione una pena inferiore alla meta di quella prevista per il reato istigato>, sia conforme all'art. 3 della Costituzione.

Sollevata nel corso di un procedimento penale per istigazione di militari alla diserzione, instaurato, ex art. 266 del codice penale (Istigazione di militari a disobbedire alle leggi), nei confronti di un imputato <non militare>, in quanto <permanentemente non idoneo al servizio militare>, la questione proposta prende le mosse dalla disparità di trattamento ravvisabile <tra le condotte previste dall'art. 266 e quelle richiamate dall'art. 212 e 213 c.p.m.p. nonché dall'art. 302 c.p.>, sotto il particolare profilo che queste ultime, a differenza delle prime, comportano <l'applicazione di una pena inferiore alla meta di quella stabilita per il reato istigato>>. Se ne <evince che e principio del nostro ordinamento positivo penale e militare che l'istigazione a commettere un reato non consenta una pena superiore alla meta della pena prevista per il reato istigato> e se ne deduce che la mancata estensione di tale principio alla pena contemplata dall'art. 266 del codice penale sarebbe priva di giustificazione, in quanto le <fattispecie> ivi <indicate> risulterebbero di gravità minore <o, almeno, pari> a quelle <indicate> negli artt. 212 e 213 del codice penale militare di pace e nell'art. 302 del codice penale.

2. - In realtà, delle molteplici <fattispecie> alternativamente <indicate> nell'art. 266 del codice penale (istigare i militari a disobbedire alle leggi o a violare il giuramento dato o i doveri della disciplina militare o altri doveri inerenti al proprio stato oppure far loro apologia di fatti contrari alle leggi, al giuramento, alla disciplina o ad altri doveri militari) viene qui in discussione soltanto la prima, con ancor più particolare riguardo all'ipotesi costituita dall'istigazione di militari a disobbedire alle leggi penali, anzi ad una singola legge penale, come, appunto, nel caso dell'istigazione a disertare: un'ipotesi che il giudice a quo riconduce nell'ambito dell'art. 266, secondo l'insegnamento della più autorevole dottrina, da sempre in linea con la Relazione ministeriale al progetto preliminare del codice penale (Lavori preparatori, vol. II, p. 44), senza che questa Corte abbia motivo di discostarsene (v. già la sentenza n. 16 del 1973, in risposta a più ordinanze di rimessione, una delle quali relativa proprio ad un'ipotesi di istigazione a disertare).

Del resto, a ricondurre la dedotta questione nei limiti indicati non sono soltanto le esigenze sottostanti al requisito della rilevanza, strettamente correlate all'addebito contestato nel procedimento principale. Non minore peso riveste la considerazione evidenziata dall'Avvocatura dello Stato nell'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri, la dove si sottolinea come, unicamente con riguardo alle fattispecie di istigazione a commettere un reato, esista la possibilità di commisurare la pena per l'istigatore alla pena concernente il reato al quale si riferisce l'istigazione.

3. - Nel merito la questione é fondata.

Peraltro, delle due argomentazioni prospettate nell'ordinanza di rimessione non può essere condivisa quella, più generale, secondo cui dagli artt. 212 (Istigazione a commettere reati militari) e 213 (Istigazione di militari a disobbedire alle leggi) del codice penale militare di pace, nonché dall'art. 302 (Istigazione a commettere alcuno dei delitti preveduti dai capi primo e secondo) del codice penale, si evincerebbe <che é principio comune del nostro ordinamento positivo penale e militare che l'istigazione a commettere un reato non consenta una pena superiore alla meta della pena prevista per il reato istigato> tutte le volte che l'istigazione venga incriminata dal legislatore di per se stessa, in deroga all'art. 115, terzo e quarto comma, del codice penale, dove l'istigazione non seguita dalla commissione del reato e configurata semplicemente come ipotesi di quasi reato, passibile soltanto di una misura di sicurezza.

Tale argomentazione non é confortata dall'analisi della normativa vigente in materia di istigazione.

In primo luogo, si rivela addirittura controproducente l'inserimento dell'art. 213 del codice penale militare di pace fra le norme in cui troverebbe estrinsecazione il preteso principio generale. Poiché tale disposizione - nell'incriminare <il militare che commette alcuno dei fatti d'istigazione o di apologia indicati nell'art. 266 del codice penale> (con l'ovvia eccezione del fatto del <militare che istiga uno o più militari in servizio alle armi a commettere un reato militare>, fattispecie oggetto di apposita, autonoma previsione ad opera dell'art. 212 del codice penale militare di pace) - prende a base proprio le pene <stabilite> dall'art. 266, resta a priori escluso che in essa si possa ritrovare traccia di un qualsiasi riferimento alla pena prevista per il reato istigato.

Ma - anche a prescindere dall'art. 213 del codice penale militare di pace, che, a causa dell'inclusione nell'art. 212 dell'ipotesi di istigazione a commettere reati militari, rimane comunque estraneo alla tematica in esame-non si può affermare che la commisurazione della pena applicabile per l'istigatore alla pena prevista per il reato istigato (nel senso che la prima dev'essere sempre applicata non già, come asserisce il giudice a quo, <in misura non superiore>, bensì <in misura inferiore alla meta della pena stabilita per il delitto al quale si riferisce l'istigazione>) assurga a principio generale per i reati di istigazione. Vi fa ostacolo la constatazione che, per quanto riguarda l'ordinamento penale comune, tale limite, pur previsto nel codice penale dall'art. 302, secondo comma, e, in forma diversa, dall'art. 322 (Istigazione alla corruzione), e assente non solo nell'art. 266, ma anche nell'art. 303 (Pubblica istigazione e apologia), nell'art. 327 (Eccitamento al dispregio e vilipendio delle istituzioni, delle leggi e degli atti dell'Autorità) e nell'art. 414 (Istigazione a delinquere), per tacere dell'art. 415 (Istigazione a disobbedire alle leggi), i cui rapporti con l'art. 414 non sono dissimili da quelli tra l'art. 213 e l'art. 212 del codice penale militare di pace. Per quanto riguarda, poi, l'ordinamento militare, il limite, pur presente nell'art. 212, non figura né nell'art. 78 n. 1 (Istigazione all'alto tradimento) né nell'art. 98 (Istigazione od offerta) del codice penale militare di pace.

4.-Resta da considerare l'altra argomentazione del giudice a quo: quella secondo cui, indipendentemente dall'esistenza del principio ora confutato, l'art. 266 del codice penale violerebbe l'art. 3 della Costituzione perché la fattispecie in esame, pur rivestendo minore o, almeno, pari gravita, non fruirebbe della commisurazione limitativa riconosciuta a chi deve rispondere di una delle fattispecie previste o dall'art. 302 del codice penale o dall'art. 212 del codice penale militare di pace.

Per quanto accomunate dall'ordinanza di rimessione, le situazioni sottostanti ai rapporti che intercorrono, da un lato, fra l'art. 266 e l'art. 302 del codice penale e, dall'altro, fra lo stesso art. 266 e l'art. 212 del codice penale militare di pace vanno prese in esame separatamente, in ragione della non omogenea fisionomia delle due fattispecie (artt. 302 e 212) assunte come tertia comparationis.

5. - Le differenze fra l'art. 266 e l'art. 302 del codice penale risultano troppo marcate perché la disparità di trattamento riscontrabile a proposito del limite di pena posto dal secondo comma dell'art. 302, e non contemplato dall'art. 266, possa apparire priva di ogni razionale giustificazione.

Soprattutto il fatto che tra i comportamenti contemplati dall'art. 302 figuri pure l'istigazione a commettere il delitto previsto dall'art. 266 e, quindi, l'istigazione all'istigazione di militari a disobbedire alle leggi, sta a dimostrare non solo come le due norme operino su piani diversi, ma anche come la condotta nei riguardi della quale il legislatore ha posto il limite di pena (cioè, l'istigazione all'istigazione) si presenti di minor gravita rispetto alla condotta rappresentata dall'istigazione di militari a disobbedire alle leggi, essendo la prima più lontana della seconda dal perseguito obiettivo di far disobbedire alle leggi uno o più militari.

6. -Del tutto corrispondenti sono, invece, le fattispecie (istigazione a commettere reati militari ed istigazione di militari a commettere un reato militare) che vengono in esame quando il confronto si instaura tra l'art. 212 del codice penale militare di pace e la parte impugnata dell'art. 266 del codice penale.

Appare, pertanto, priva di razionale giustificazione la disparità di trattamento riscontrabile a proposito del limite di pena posto dal secondo comma dell'art. 212 del codice militare di pace (<la pena é sempre applicata in misura inferiore alla meta della pena stabilita per il reato al quale si riferisce l'istigazione>) e non previsto dall'art. 266 del codice penale. Fatta eccezione per la diversa qualifica del soggetto agente (militare nel primo caso, non militare nel secondo), la ragion d'essere delle due norme a confronto sostanzialmente coincide. Ne rileva in contrario che l'art. 212 del codice penale militare di pace, pur comminando <la stessa pena>, dedichi il primo comma all'ipotesi del <militare, che istiga uno o più militari in servizio alle armi a commettere un reato militare> ed il secondo comma all'ipotesi del militare che istiga <un militare in congedo illimitato, e l'istigazione si riferisca ad uno dei reati per i quali, secondo l'art. 7 di questo Codice, ai militari in congedo illimitato e applicabile la legge penale militare>. Entrambe le ipotesi, se realizzate da un non militare, rientrano, infatti, nella più generica previsione dell'art. 266 del codice penale.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 266 del codice penale, nella parte in cui non prevede che per l'istigazione di militari a commettere un reato militare la pena sia <sempre applicata in misura inferiore alla meta della pena stabilita per il reato al quale si riferisce l'istigazione>.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 08/03/89.

 

Giovanni CONSO - Ettore GALLO - Aldo CORASANITI - Giuseppe BORZELLINO - Renato DELL'ANDRO - Gabriele PESCATORE - Ugo SPAGNOLI - Francesco Paolo CASAVOLA - Antonio BALDASSARRE - Vincenzo CAIANIELLO - Mauro FERRI - Luigi MENGONI - Enzo CHELI.

 

Depositata in cancelleria il 21/03/89.

 

Giovanni CONSO, PRESIDENTE

Giovanni CONSO, REDATTORE