Sentenza n. 109 del 1989

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SENTENZA N.109

ANNO 1989

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Dott. Francesco SAJA, Presidente

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO

Dott. Aldo CORASANITI

Prof. Giuseppe BORZELLINO

Dott. Francesco GRECO

Prof. Renato DELL'ANDRO

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

Prof. Antonio BALDASSARRE

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

Avv. Mauro FERRI

Prof. Luigi MENGONI

Prof. Enzo CHELI

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. l0, terzo comma, della legge 20 settembre l980, n. 576, dell'art. l0, quarto comma, della stessa legge, introdotto dalla legge 2 maggio l983, n. l75 (Interpretazione autentica dell'art. 24 e integrazione e modifica della legge 20 settembre l980, n. 576, concernente la riforma della previdenza forense) promosso con ordinanza emessa il 9 giugno l988 dal Pretore di Roma nel procedimento civile vertente tra Amorosino Elia e Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza Avvocati e Procuratori, iscritta al n. 677 del registro ordinanze l988 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 48, prima serie speciale, dell'anno l988.

Visti gli atti di costituzione della Cassa Nazionale di Previdenza ed Assistenza Avvocati e Procuratori e di Amorosino Elia nonché l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 21 febbraio 1989 il Giudice relatore Luigi Mengoni;

uditi gli avv.ti Maurizio Cinelli per la Cassa Nazionale di Previdenza ed Assistenza Avvocati e Procuratori e Sandro Amorosino per Amorosino Elia e l'Avvocato dello Stato Luigi Siconolfi per il Presidente del Consiglio dei ministri.

 

Considerato in diritto

 

1.-In linea principale il Pretore di Roma dubita della legittimità, in riferimento agli artt. 3 e 38 della Costituzione, dell'art. 10, terzo comma, primo periodo, della legge n. 576 del 1980 sulla previdenza forense, in quanto assoggetta in indiscriminatamente all'obbligo di contribuzione piena alla Cassa anche i titolari di pensione di invalidità che continuano l'esercizio della professione, anziché esonerarli o almeno ridurne il carico contributivo in misura superiore alla riduzione poi concessa, con la disposizione aggiunta dalla legge n. 175 del 1983, ai titolari di pensione di vecchiaia: e ciò perché gli invalidi meriterebbero maggiore considerazione ai fini di un alleggerimento dell'obbligo di contribuzione, essendo <per definizione costretti a una produttività massima pari a meno di un terzo del normale>.

La questione é irrilevante per la decisione del giudizio a quo, e pertanto inammissibile. La ricorrente non é andata oltre la domanda di una riduzione della contribuzione alla Cassa pari a quella prevista nel secondo periodo del comma sotto esame in favore dei pensionati per vecchiaia.

2. -In linea subordinata l'art. 10, terzo comma, citato é ritenuto censurabile dal giudice remittente almeno nel secondo periodo, in quanto non estende ai titolari di pensione di invalidità l'agevolazione contributiva accordata ai pensionati per vecchiaia, i quali, dopo cinque anni di attività professionale dalla data del pensionamento, sono esonerati dal pagamento del contributo soggettivo di cui ai primi due comma dell'art. 10, restando obbligati a pagare solo un contributo di solidarietà nella misura del 3% del reddito. Sarebbero violati il principio di eguaglianza e il principio di adeguatezza della tutela previdenziale alle esigenze di vita, atteso che la ratio della riduzione contributiva, individuata <nella ridotta capacita produttiva e di reddito del pensionato>, inerisce all'invalidità non meno che all'età avanzata.

3. - Occorre preliminarmente esaminare due eccezioni opposte l'una dalla Cassa, l'altra dalla ricorrente.

A giudizio della Cassa, pure la seconda questione sarebbe irrilevante, e quindi inammissibile, mancando un interesse attuale della ricorrente. Il regime contributivo privilegiato, di cui essa lamenta il rifiuto di applicazione in suo favore, e riservato ai professionisti pensionati da più di cinque anni, che abbiano compiuto i settant'anni, mentre la ricorrente e ancora lontana dal raggiungimento di tale età. L'eccezione non ha pregio. La sola condizione di ordine temporale, cui é assoggettata la riduzione contributiva prevista dalla norma impugnata, é il compimento di cinque anni di attività professionale dopo il conseguimento della pensione. Per i titolari di pensione di vecchiaia, con riguardo ai quali la disposizione e stata introdotta, la detta condizione implica che essi devono avere compiuto il settantesimo anno di età; questa specifica condizione, essendo una conseguenza del requisito di età pensionabile fissato dall'art. 2, primo comma, della legge n. 576 del 1980, non potrebbe riproporsi, in caso di accoglimento della questione, per i titolari di pensione di invalidità.

A sua volta, la ricorrente obietta che la questione dovrebbe essere respinta sulla base di una interpretazione <adeguatrice> che, diversamente da quella accolta dal giudice a quo, riconosca l'applicabilità della norma denunziata anche ai pensionati per invalidità. Ma la lettera della legge segna un limite invalicabile delle possibilità di interpretazione: l'interpretazione antiletterale e ammissibile solo quando sia evidente, alla stregua dell'interpretazione storica e/o logico- sistematica, che il legislatore e caduto in un errore di linguaggio o in una falsa demonstratio.

Nella disposizione aggiunta dalla legge del 1983 all'art. 10, terzo comma, della legge sulla previdenza forense l'esplicito richiamo dell'art. 2, ottavo comma, limita il campo di applicazione ai titolari di pensione di vecchiaia.

3.-Due ragioni, peculiari a questa categoria di pensionati, spiegano la mancata previsione di analogo beneficio in favore dei titolari di pensione di invalidità, e al tempo stesso la giustificano alla stregua di entrambi i parametri costituzionali indicati dal giudice remittente, onde la questione da lui proposta deve essere dichiarata non fondata.

La prima ragione deriva dal principio di corrispettività, rivalutato dalla riforma del 1980, ma incoerentemente pretermesso nell'originario terzo comma dell'art. 10, in relazione all'ipotesi dell'art. 2, ottavo comma. Poiché questa norma concede un solo supplemento di pensione di vecchiaia, rapportato al quinquennio di attività professionale successivo alla maturazione del diritto a pensione, la legge del 1983, appunto in applicazione del criterio di correlazione tra contribuzione e prestazione previdenziale, ha soppresso per gli avvocati ultrasettantenni, che abbiano ottenuto la liquidazione definitiva della pensione, l'obbligo del contributo soggettivo, da essi precedentemente versato a fondo perduto, e li ha assoggettati soltanto a un contributo di solidarietà del 3%(cfr. Corte cost. n. 1008 del 1988).

Questa ratio non ricorre per i titolari di pensione di invalidità.

La contribuzione piena alla Cassa, alla quale rimangono obbligati senza limiti di tempo qualora proseguano l'attività professionale, trova un corrispettivo nella progressiva maturazione del diritto alla pensione di vecchiaia (art. 5, quinto comma, della legge n. 576 del 1981), tenuto presente che, per ipotesi, essi sono iscritti alla Cassa da una data anteriore al compimento del quarantesimo anno di età. D'altra parte, non va trascurato il rilievo che, per il fatto stesso di essere beneficiari di una pensione di invalidità, essi godono, a loro volta, di una tutela previdenziale privilegiata, sia sotto il pro filo del requisito di anzianità contributiva (dieci o anche solo cinque anni, a fronte dell'anzianità trentennale richiesta per la pensione di vecchiaia), sia sotto il profilo della durata media della pensione.

4. - L'altra ragione giustificativa della limitazione dei destinatari della norma impugnata ai pensionati per vecchiaia si coglie nel fatto del <naturale regresso della capacità di lavoro produttivo per l'avanzare dell'età> (cfr. sent. n. 62 del 1977).

Al contrario, la residua capacità dell'invalido all'esercizio della professione (capacità specifica) é stabile, e anzi, negli anni immediatamente successivi al pensionamento, può incrementarsi grazie a cure appropriate o anche per spontanea ripresa di forze dell'organismo o per capacità di adattamento; tant'é che la legge prevede due revisioni triennali per accertare la persistenza dell'invalidità, prima di ammettere la concessione definiva della pensione.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 10, terzo comma, primo periodo, della legge 20 settembre 1980, n. 576 (Riforma del sistema previdenziale forense), modificato dall'art. 2 della legge 2 maggio 1983, n. 175 (Interpretazione autentica dell'art. 24 e integrazione e modifica della legge 20 settembre 1980, n. 576, concernente la riforma della previdenza forense), sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 38 della Costituzione, dal Pretore di Roma con l'ordinanza indicata in epigrafe;

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 10, terzo comma, secondo periodo della legge n. 576 del 1980 citata, sollevata dal nominato Pretore con la medesima ordinanza.

 

 Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 06/03/89.

 

Francesco SAJA, Presidente - Giovanni CONSO - Ettore GALLO - Aldo CORASANITI - Giuseppe BORZELLINO - Francesco GRECO - Renato DELL'ANDRO - Gabriele PESCATORE - Ugo SPAGNOLI - Francesco Paolo CASAVOLA - Antonio BALDASSARRE - Vincenzo CAIANIELLO - Mauro FERRI - Luigi MENGONI - Enzo CHELI.

 

Depositata in cancelleria il 16/03/89.

 

Francesco SAJA, PRESIDENTE

Luigi MENGONI, REDATTORE