Ordinanza n. 105 del 1989

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ORDINANZA N.105

ANNO 1989

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Dott. Francesco SAJA, Presidente

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO

Dott. Aldo CORASANITI

Prof. Giuseppe BORZELLINO

Dott. Francesco GRECO

Prof. Renato DELL'ANDRO

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

Avv. Mauro FERRI

Prof. Luigi MENGONI

Prof. Enzo CHELI

ha pronunciato la seguente

 

ORDINANZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 10, ter e 10 quater, della legge 31 maggio 1965, n. 575 (Disposizioni contro la mafia), promosso con ordinanza emessa il 28 settembre 1987 dalla Corte di cassazione nel procedimento penale a carico di Scarfò Vincenzo Antonio ed altri, iscritta al n. 90 del registro ordinanze 1988 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 13, prima serie speciale, dell'anno 1988.

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 26 ottobre 1988 il Giudice relatore Vincenzo Caianiello.

Ritenuto che la Corte di Cassazione, con ordinanza in data 28 settembre 1987, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 27, primo comma, 35 primo comma e 41, primo comma, questione di legittimità costituzionale degli artt. 10 ter e 10 quater, terzo comma, inseriti nella legge 31 maggio 1965, n. 575 (Disposizioni contro la mafia) dall'art. 20 della legge 13 settembre 1982, n. 464 (Disposizioni in materia di misure di prevenzione di carattere patrimoniale ed integrazione alle leggi 27 dicembre 1956, n. 1423, 10 febbraio 1962, n. 57 e 31 maggio 1965, n. 575);

che la prima delle disposizioni impugnate viene censurata nella parte in cui, prevedendo la decadenza delle licenze, concessioni ed iscrizioni per quelle società di persone di cui sia amministratore, socio o dipendente il soggetto sottoposto a misura di prevenzione, si porrebbe in contrasto:

a) con l'art. 27, primo comma, della Costituzione in quanto la decadenza, non pronunciata sul presupposto di una situazione di obiettiva pericolosità, si risolverebbe in una misura punitiva a carico di persone anche diverse da quella che ha posto in essere il comportamento che ha dato luogo all'applicazione della misura di prevenzione, determinando cosi una sorta di responsabilità per fatto altrui, non consentita dall'invocato parametro costituzionale;

b) con l'art. 35, primo comma, della Costituzione, in quanto, senza alcuna valida ragione, si verrebbero a sopprimere attività lavorative già esistenti;

c) con l'art. 41, primo comma, della Costituzione determinandosi un impedimento nei confronti dell'iniziativa economica privata, non giustificato né dal secondo comma dello stesso art. 41 della Costituzione, né dalla necessità di tutelare beni oggetto di altre norme costituzionali;

d) con l'art. 3 della Costituzione, creando per le società di persone un'ingiustificata e deteriore disciplina rispetto a quella prevista per le società di capitali, nei confronti delle quali, ai fini della decadenza della licenza, si richiede non solo che il soggetto (non amministratore) sottoposto alla misura di prevenzione sia socio o dipendente, ma che determini, altresì, <scelte e indirizzi> nella gestione della società);

che l'art. 10 quater, terzo comma, della legge n. 575 del 1965 e censurato nella parte in cui -attraverso i rinvii all'art. 3 ter, secondo comma, della stessa legge e quindi all'art. 4, commi sesto e settimo della legge 27 dicembre 1956 n. 1423 -esclude l'effetto sospensivo delle sole impugnazioni dei provvedimenti di decadenza pronunciati a carico di soggetti diversi da quello sottoposto alla misura di prevenzione;

che tale statuizione determinerebbe un'ingiustificata disparità di trattamento (art. 3 Cost.), in quanto, mentre la decadenza nei confronti del soggetto sottoposto alla misura di prevenzione consegue alla definitività del relativo provvedimento, la decadenza nei confronti del terzi (considerati dal precedente art. 10 ter) può essere disposta ed opera anche prima che il provvedimento di irrogazione della misura di prevenzione divenga definitivo, senza peraltro che tale immediata esecutività trovi giustificazione in esigenze di ordine cautelare: in entrambi i casi infatti nel corso del procedimento, il Tribunale avrebbe il potere di sospendere la licenza ove sussistano <motivi di particolare gravità> (artt. 10, secondo comma e 10 ter, primo comma, ultima parte);

che é intervenuta l'Avvocatura Generale dello Stato eccependo preliminarmente l'irrilevanza delle questioni sollevate, in quanto, nella stessa ordinanza di rimessione, si afferma che il giudice a quo ritiene di dover annullare il decreto impugnato nel capo relativo all'applicazione della misura di prevenzione;

che, ad avviso dell'interveniente, l'eventuale annullamento del provvedimento con cui si dispone la misura di prevenzione determinerebbe l'automatico venir meno anche del provvedimento di decadenza della licenza che, nel primo, trova il suo indispensabile presupposto logico-giuridico, non residuando, in capo al giudice a quo, investito dell'impugnazione di entrambi i provvedimenti, alcun autonomo potere di decisione in ordine al secondo;

che, in via subordinata, l'Avvocatura Generale dello Stato ha chiesto che le questioni venissero dichiarate infondate.

Considerato che l'eccezione di inammissibilità per difetto di rilevanza non può essere accolta, in quanto, proprio in relazione allo specifico aspetto individuato dall'Avvocatura di Stato, l'ordinanza di rimessione appare esaurientemente motivata;

che é ininfluente sulla definizione del giudizio a quo l'art. 1, secondo comma, della legge 3 agosto 1988, n. 327 (emanata nelle more del presente giudizio), nella parte in cui espressamente prevede che, dall'entrata in vigore della legge medesima, <cessano di avere efficacia i provvedimenti di diniego o di revoca di licenze ed autorizzazioni, nonché i provvedimenti di diniego, di revoca o di sospensione della patente di guida emessi in conseguenza della diffida>;

che, difatti, non solo dal tenore letterale della disposizione, concernente i soli provvedimenti di revoca e non anche di decadenza, ma anche dal contesto del sistema nel quale la norma si inserisce, nonché dall'esame dei lavori parlamentari, si evince che la stessa riguarda i soli provvedimenti di revoca emessi a seguito di un atto di diffida e non già in qualsiasi modo conseguenti all'applicazione di una misura di prevenzione;

che, per quanto attiene alla lamentata violazione dell'art. 27, primo comma, della Costituzione, deve anzitutto rilevarsi che la decadenza di cui all'art. 10-ter, diversamente da quella prevista dal precedente art. 10, é applicata da un organo giurisdizionale, <sulla base di indizi gravi, precisi e concordanti>, e con procedimento camerale che garantisce il contraddittorio, (art. 10 quater);

che, in tale quadro, la norma appare costituzionalmente legittima, in quanto é di tutta evidenza che essa tende a colpire non solo il prevenuto ma anche quei soggetti la lesione dei cui interessi economici e giustificata dal fatto che, per aver essi acconsentito a svolgere attività economiche in comune con la persona che, a causa dell'appartenenza ad associazioni criminali e sottoposta a misure di prevenzione, e presumibile che siano a conoscenza di tali circostanze, dato il contesto sociale in cui agiscono;

che la decadenza concernente le società di persone non colpisce dunque, in alcun senso, terzi estranei e quindi non coinvolti, ma collegandosi anch'essa ad una situazione di pericolosità si inserisce coerentemente nel sistema di prevenzione, del quale costituisce un ulteriore strumento, attuabile nel rispetto del principio del contraddittorio e del diritto di difesa (art. 10 quater legge n. 575 del 1965);

che sotto tale profilo la questione appare dunque manifestamente infondata;

che ad identiche conclusioni-sempre in relazione all'impugnazione del medesimo art. 10 ter-deve pervenirsi anche per quanto riguarda la prospettata violazione dell'art. 3 della Costituzione non potendosi

ritenere che il diverso trattamento delle società di persone rispetto alle società di capitali sia irragionevole, essendo, invece, anche in questo caso, del tutto evidente, come esso trovi piena giustificazione nel diverso modo di formazione della volontà societaria e di partecipazione alla sua gestione, e, più in particolare, nella libera trasferibilità delle quote delle società di capitali, da cui discende la normale irrilevanza dei rapporti personali tra soci;

che manifestamente infondata é anche la questione attinente al lamentato contrasto con l'art. 35, primo comma della Costituzione, in quanto come questa Corte ha già affermato (sentenze nn. 15 del 1983, 98 del 1973, 22 del 1967) l'invocato parametro non ha funzione immediatamente precettiva, ma soltanto introduttiva alle disposizioni del titolo III, e, comunque, il soggetto tutelato e il lavoratore subordinato e non già l'imprenditore, la cui libertà di iniziativa e di azione trova garanzia, su altro piano e con ben diverso regime, nell'art. 41 Cost. (sentenza n. 141 del 1967);

che, per quanto attiene all'ingiustificato ostacolo che la decadenza delle licenze frapporrebbe al libero svolgimento dell'iniziativa economica, l'ordinanza di rimessione, nel formulare tale censura, non tiene conto del motivo ispiratore della norma denunciata, la quale, volendo impedire agli appartenenti alla criminalità organizzata di gestire, seppure indirettamente, attività economiche, tende a sminuire il loro ruolo eversivo nella società e ciò proprio a tutela dei diritti fondamentali indicati nel secondo comma dell'art. 41 della Costituzione (pur citato nella stessa ordinanza di rinvio) e in conformità al criterio dell'utilità sociale, cui non corrisponde certo lo svolgimento di iniziative economiche presuntivamente collegate ad attività criminali;

che, pertanto, anche sotto tale profilo, la questione appare manifestamente infondata;

che identica statuizione va adottata in relazione all'impugnazione dell'art. 10 quater della legge n. 575 del 1965, nella parte in cui prevede l'immediata esecutività del provvedimento di decadenza pronunciato nei confronti dei soggetti terzi rispetto al prevenuto, la dove, per quest'ultimo, l'operatività della decadenza presuppone, invece, la definitività del provvedimento applicativo della misura di prevenzione;

che, in riferimento alla lamentata diversità di trattamento non può non osservarsi che, mentre la decadenza pronunciata nei confronti dei terzi opera a prescindere dalla definitività della misura di prevenzione, in quanto scaturisce da un procedimento giudiziale in cui e assicurato il diritto di difesa, la decadenza pronunciata dalla pubblica amministrazione nei confronti del prevenuto, al contrario, in quanto prevista ope legis, non potrebbe non presupporre la definitività della misura di prevenzione;

che, pertanto, nei termini su esposti, e in relazione al regime di applicazione del provvedimento di decadenza, le situazioni poste a raffronto sono tutt'altro che omogenee, il che, peraltro, giustifica la diversità di effetti di un'eventuale impugnazione della misura di prevenzione.

Visti gli artt. 26, secondo comma, legge 11 marzo 1953, n. 87 e 9 delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara manifestamente infondate le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 10 ter e 10 quater, terzo comma, della legge 31 maggio 1965, n. 575 (Disposizioni contro la mafia), aggiunti dall'art. 20 legge 13 settembre 1982, n. 646 (Disposizioni in materia di misure di prevenzione di carattere patrimoniale ed integrazione alle leggi 27 dicembre 1956, n. 1423, 10 febbraio 1962, n. 57 e 31 maggio 1965, n. 575), sollevate in riferimento agli artt. 3, 27, primo comma, 35, primo comma, 41, primo comma, della Costituzione, dalla Corte di Cassazione con ordinanza in data 28 settembre 1987.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 22/02/89.

 

Francesco SAJA - Giovanni CONSO - Ettore GALLO - Aldo CORASANITI - Giuseppe BORZELLINO - Francesco GRECO - Renato DELL'ANDRO - Gabriele PESCATORE - Ugo SPAGNOLI - Francesco Paolo CASAVOLA - Vincenzo CAIANIELLO - Mauro FERRI - Luigi MENGONI - Enzo CHELI.

 

Depositata in cancelleria il 09/03/89.

 

Francesco SAJA, PRESIDENTE

Vincenzo CAIANIELLO, REDATTORE