Sentenza n. 85 del 1989

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SENTENZA N.85

ANNO 1989

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Dott. Francesco SAJA, Presidente

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO

Dott. Aldo CORASANITI

Prof. Giuseppe BORZELLINO

Dott. Francesco GRECO

Prof. Renato DELL'ANDRO

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

Prof. Antonio BALDASSARRE

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

Avv. Mauro FERRI

Prof. Luigi MENGONI

Prof. Enzo CHELI

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 3, 6, 8, 9, 10, 12, 13 e 15 della legge regionale approvata il 22 settembre 1987 e riapprovata il 16 giugno 1988 dal Consiglio Regionale del Piemonte, (Riordino dell'esercizio delle funzioni amministrative nelle materie di competenza regionale ed indirizzi normativi per la delega di funzioni amministrative), promosso con ricorso del Presidente del Consiglio dei ministri notificato il 6 luglio 1988, depositato in cancelleria il 16 luglio 1988 ed iscritto al n. 20 del registro ricorsi 1988.

udito nell'udienza pubblica del 13 dicembre 1988 il Giudice relatore Enzo Cheli;

uditi l'Avvocato dello Stato Sergio Laporta, per il ricorrente, e l'avv. Massimo Severo Giannini per la Regione.

 

Considerato in diritto

 

1. - Ad avviso del Presidente del Consiglio dei Ministri gli artt. 3, 6, 8, 9, 10, 12, 13 e 15 della legge regionale del Piemonte, approvata il 22 settembre 1987 e riapprovata il 16 giugno 1988, in tema di <Riordino dell'esercizio delle funzioni amministrative nelle materie di competenza regionale ed indirizzi normativi per la delega di funzioni amministrative> si presenterebbero in contrasto con l'art. 128 Cost. (nonché con le <specificazioni> di tale parametro costituzionale contenute negli artt. 118, 119 e 129 Cost.) in considerazione del fatto che:

a) l'art. 3, nel prevedere che Comuni e Province possono essere chiamati a concorrere - con risorse proprie anche finanziarie e secondo modalità stabilite dalla Regione nel provvedimento di approvazione del piano regionale - alla realizzazione di opere ed infrastrutture di rilievo regionale, risulterebbe invasivo dell'autonomia assicurata agli enti locali in materia finanziaria dagli artt. 119, primo comma, e 128 Cost;

b) l'art. 8, primo comma, assegnando alla Regione il potere di determinare gli ambiti territoriali ottimali per l'esercizio delle funzioni amministrative proprie o delegate agli enti locali, si presenterebbe lesivo delle competenze statali nonché dell'art. 129 Cost., in relazione alla possibile deroga agli ambiti naturali del decentramento statale e regionale, identificati dalla Costituzione con le Province ed i Comuni;

c) gli artt. 6, 9, 10, 12, 13 e 15, prevedendo l'istituzione e regolando le funzioni delle <assemblee dei sindaci>, come strutture obbligatorie di cooperazione tra i Comuni compresi nelle aree di programma, invaderebbero la riserva di legge statale statuita dall'art. 128 Cost. in tema di autonomia comunale e provinciale, determinando un'alterazione della tipologia organizzativa degli enti locali ed una sottrazione di funzioni agli organi istituzionalmente competenti di tali enti.

2. - Il ricorso é infondato.

Va innanzitutto rilevata l'insussistenza della censura espressa sub a).

Nessuna lesione alla sfera della riserva legislativa statale, definita dagli artt. 128 e 119, primo comma, della Costituzione con riferimento alla disciplina dell’autonomia finanziaria degli enti locali, può essere ravvisata nei contenuti espressi dall'art. 3 della legge regionale impugnata. La norma in questione si limita, infatti, a prevedere l'ipotesi di un concorso facoltativo degli enti locali, con proprie risorse anche finanziarie, alla realizzazione di opere ed infrastrutture di rilievo regionale - e pertanto d'interesse comune per le Regioni e gli enti territoriali minori - previste nel piano regionale di sviluppo, senza nulla sottrarre alla libertà di determinazione degli stessi enti, cui spetta pur sempre il compito di valutare l'opportunità e la misura del possibile contributo: libertà di determinazione che viene, d'altro canto, confermata anche attraverso l'esplicita previsione di una <previa intesa> tra Regione ed ente locale. Il fatto poi che le modalità del concorso nella spesa debbano, una volta raggiunta l'intesa, essere determinate attraverso il provvedimento regionale di approvazione del piano (eventualmente espresso anche con atto non legislativo) attiene alle esigenze di razionalizzazione del procedimento, ma nulla toglie alle connotazioni facoltative del rapporto che si viene ad instaurare tra Regione ed enti locali ed alla conseguente salvaguardia delle rispettive sfere di autonomia.

Evidente risulta anche l'infondatezza della censura di cui sub b), formulata nei confronti dell'art. 8 della legge impugnata, con riferimento alle possibili difformità tra <gli ambiti territoriali ottimali>, determinati dalla Regione ai sensi di tale articolo, e l'ambito territoriale proprio dei Comuni e delle Province. L'art. 129 Cost., nell'indicare le Province ed i Comuni anche come circoscrizioni di decentramento regionale, non impone, infatti, un sistema di articolazioni territoriali infraregionali rigido e chiuso ne esclude la possibilità che il legislatore regionale possa adottare, per l'esercizio delle proprie funzioni-senza in ogni caso incidere nell’autonomia organizzativa e funzionale riconosciuta ai Comuni ed alle Province dall'art. 128 Cost. - diverse dimensioni territoriali, più rispondenti alle esigenze di un efficace svolgimento delle attività o dei servizi da espletare. A questo proposito e appena il caso di ricordare che l'esperienza recente ha offerto numerosi esempi di forme di aggregazione delle aree territoriali infraregionali diverse dai Comuni e dalle Province (comprensori, consorzi, bacini di traffico, distretti scolastici, etc.), che la legislazione delle varie Regioni ordinarie ha potuto di volta in volta realizzare, senza incorrere in particolari contestazioni di ordine costituzionale.

3. -Nonostante la loro maggiore consistenza, anche le censure di cui sub c), relative alla disciplina concernente l'istituzione, la struttura e le funzioni delle <assemblee dei sindaci> dei Comuni compresi nelle diverse aree di programma, non sono fondate.

Ai sensi di tali norme: a) nell'ambito di ciascuna delle diciannove aree di programma definite dalla legge regionale viene istituita una <assemblea di sindaci> come <strumento di raccordo tra gli enti locali con compiti di concorso in materia di programmazione regionale> (art. 9); b) tale assemblea e chiamata ad esercitare una serie di funzioni consultive in tema di piano regionale di sviluppo e di atti, piani, programmi e progetti subregionali - di competenza delle Province attraverso cui si realizza l'articolazione del piano regionale (artt. 6, 9, 12 e 13); c) le modalità di funzionamento dell'assemblea vengono rimesse in larga parte ad un regolamento regionale, mentre la legge regionale si preoccupa di fissare direttamente la disciplina relativa al primo impianto ed alla fase transitoria (artt. 9, 10, 15).

Queste norme, esaminate nella loro complessa articolazione, non presentano profili suscettibili di determinare, nei confronti degli enti locali destinatari, interferenze di carattere organizzativo o alterazioni di natura funzionale in grado di apportare lesioni alla riserva di <legge generale> dello Stato stabilita dall'art. 128 Cost.

In proposito, va innanzitutto ricordato che l'art. 11 del d.P.R. 24 luglio 1977 n. 616, nel formulare alcuni principi in materia di programmazione regionale, ha tra l'altro stabilito che le Regioni determinano i programmi regionali di sviluppo <con il concorso degli enti locali territoriali secondo le modalità previste dagli statuti regionali>. A sua volta lo statuto della Regione Piemonte, nel regolare, all'art. 75, la formazione e l'attuazione del piano di sviluppo regionale, ha rinviato alla legge regionale la determinazione delle modalità di <partecipazione> degli enti locali ai diversi atti attraverso cui si articola il piano.

In tale contesto trova, dunque, fondamento la legittimazione del legislatore regionale alla definizione delle forme attraverso cui garantire il <concorso> dei Comuni compresi nel territorio piemontese ai procedimenti ed agli atti di programmazione regionale: forme che possono ben estendersi alla previsione - tenuto anche conto dell'estrema frammentazione delle istituzioni locali presenti nella Regione Piemonte - di strumenti di raccordo di natura procedimentale destinati a semplificare e razionalizzare la raccolta dei pareri richiesti ai diversi Comuni, salva in ogni caso la riserva di legge statale fissata dall'art. 128 Cost. in tema di principi posti a base dell'autonomia degli enti locali.

Tale riserva non risulta, peraltro, sotto alcun profilo, violata dalla disciplina in esame.

L'<assemblea dei sindaci>, nella configurazione che né dalla legge impugnata, non altera, infatti, la tipologia organizzativa degli enti locali, dal momento che realizza una struttura che non assume né le caratteristiche di nuovo ente locale né la natura di organo incorporato nell'impianto comunale. Tale assemblea - come recita la stessa legge regionale - rappresenta, invece, più riduttivamente, uno <strumento di raccordo> destinato a coordinare, sul piano del procedimento, le fasi del <concorso> cui i Comuni sono chiamati ai fini della formazione ed attuazione degli atti di programmazione affidati alla competenza regionale.

La conferma di questa particolare connotazione dell'organo può essere individuata sia nella natura delle funzioni allo stesso assegnate (che attengono alla <partecipazione> al procedimento di programmazione in veste solo consultiva), sia nel fatto che l'assemblea e chiamata ad esprimere i propri pareri attraverso pronunce che fanno salva l'autonomia dei soggetti componenti, dal momento che le stesse debbono far risultare <nominativamente> le posizioni dei singoli membri (art. 10, secondo comma).

Poste tali premesse, si presenta anche agevole rilevare l'infondatezza della censura relativa all’indebita sottrazione di funzioni che la legge in contestazione avrebbe determinato nei confronti degli organi degli enti locali istituzionalmente preposti al loro esercizio. Basti solo considerare che il sindaco partecipa all'assemblea non a titolo personale, bensì come rappresentante dell'ente comunale e, di conseguenza, come <portatore> della volontà espressa dagli organi del Comune istituzionalmente competenti a manifestare l'avviso dell'ente locale ai suoi diversi livelli: su questo piano, risulta dunque chiaro che la legge regionale nulla ha tolto e nulla ha aggiunto alle competenze istituzionali previste dalla legge statale per ciascun organo comunale.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale relative agli artt. 3, 6, 8, 9, 10, 12, 13 e 15 della legge regionale del Piemonte approvata il 12 settembre 1987 e riapprovata il 16 giugno 1988 (Riordino dell'esercizio delle funzioni amministrative in materia di competenza regionale ed indirizzi normativi per la delega di funzioni amministrative), sollevate, in riferimento agli artt. 128, 118, 119 e 129 della Costituzione, con il ricorso di cui in epigrafe.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 22/02/89.

 

Francesco SAJA, Presidente - Giovanni CONSO - Ettore GALLO - Aldo CORASANITI - Giuseppe BORZELLINO- Francesco GRECO - Renato DELL'ANDRO - Gabriele PESCATORE- Ugo SPAGNOLI - Francesco Paolo CASAVOLA - Antonio BALDASSARRE - Vincenzo CAIANIELLO - Mauro FERRI - Luigi MENGONI - Enzo CHELI.

 

 

Depositata in cancelleria il 03/03/89.

 

Francesco SAJA, PRESIDENTE

Enzo CHELI, REDATTORE