Ordinanza n.26 del 1989

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ORDINANZA N.26

ANNO 1989

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Dott. Francesco SAJA, Presidente

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO

Prof. Aldo CORASANITI

Prof. Giuseppe BORZELLINO

Dott. Francesco GRECO

Prof. Renato DELL'ANDRO

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

Prof. Antonio BALDASSARRE

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

Avv. Mauro FERRI

Prof. Luigi MENGONI

Prof. Enzo CHELI

ha pronunciato la seguente

 

ORDINANZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 10 del d.P.R. 29.9.1973, n. 597 (<Istituzione e disciplina dell'imposta sul reddito delle persone fisiche>) promosso con ordinanza emessa il 3 dicembre 1987 dalla Commissione tributaria centrale sul ricorso proposto da Gasperini Giampaolo contro l'Ufficio Distrettuale delle Imposte Dirette di Avellino, iscritta al n. 295 del registro ordinanze 1988 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 27/1 a S.S. dell'anno 1988;

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 30 novembre 1988 il Giudice relatore Vincenzo Caianiello;

Ritenuto che, nel corso del giudizio promosso da Giampaolo Gasparini, avente ad oggetto la non riconosciuta deducibilità dal reddito dichiarato ai fini dell'IRPEF della somma pagata a titolo di imposta di successione nell'anno di riferimento, la Commissione tributaria centrale, con ordinanza del 3 dicembre 1987, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 10 del d.P.R. 29 settembre 1973 n. 597 per violazione degli artt. 53, 3 e 42, ultimo comma, Cost., in quanto la norma denunciata non consente la detrazione (rectius: deduzione) del tributo assolto;

che il giudice rimettente, dopo aver premesso in linea generale che ogni decremento di ricchezza a disposizione del contribuente dovrebbe essere portato in diminuzione della sua capacità contributiva (cui va in concreto commisurata l'obbligazione tributaria) e che il legislatore nel dettare la relativa disciplina e autorizzato a valutazioni discrezionali ma non arbitrarie sulla individuazione degli indici rivelatori della capacità contributiva stessa, ha osservato che il passaggio di beni e di attività legato alla successione ereditaria e un <unico fatto giuridico tributario>, cui il legislatore ricollega la duplice conseguenza del pagamento della imposta di successione e del pagamento, poi, di tutte le altre imposte derivanti dalla nuova consistenza economica dell'obbligato, nei periodi di imposta corrispondenti, in rapporto a redditi ed attività di cui si è in tal modo venuta ad incrementare la capacita contributiva del soggetto inciso;

che da tali premesse il giudice a quo argomenta che non sarebbe consentita un'arbitraria distinzione tra i presupposti patrimoniali dell'imposta di successione e la <natura afferente ai tributi sul reddito del decremento dovuto al pagamento stesso>, non potendosi prescindere dalla globalità di valutazione della capacità contributiva, in quanto, se e vero che la legge stabilisce <i diritti dello Stato sulle eredità> (art. 42 Cost.) <e altrettanto certo che il chiamato alla stessa proprio in vista della successione e tenuto ad un esborso che rappresenta in senso tecnico una diminuzione della sua capacita contributiva nel periodo di imposta considerato>;

che non si è costituita la parte, mentre e intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, con il patrocinio dell'Avvocatura generale dello Stato, concludendo per la declaratoria di inammissibilità o, in subordine, di infondatezza della questione;

che la difesa dello Stato, in particolare, ha rilevato che le deduzioni di oneri dal reddito complessivo ai fini della formazione del reddito imponibile sono ammesse soltanto nei casi e con le modalità stabilite di volta in volta discrezionalmente dal legislatore, secondo quanto é stato già affermato dalla Corte costituzionale in numerose pronunce.

Considerato che la norma oggetto della questione di costituzionalità e stata impugnata nella parte in cui- conformemente alla previsione dell'art. 8 n. 9 della legge 9 ottobre 1971 n. 825, recante la delega al Governo per la riforma tributaria - non consente la deduzione, in sede di dichiarazione annuale dei redditi delle persone fisiche, delle somme corrisposte all'erario a titolo di pagamento dell’imposta di successione nell'anno di riferimento, assumendosi che in tal modo si eluderebbe il criterio della rispondenza dell'imposizione all’effettiva capacita contributiva del soggetto obbligato;

che, in materia di agevolazioni e benefici tributari e, più specificamente, di oneri deducibili, questa Corte ha già in numerose decisioni affermato che la loro individuazione rientra nella competenza del legislatore il quale, nella sua discrezionalità deve razionalmente valutare, secondo criteri politico economici, l'incidenza dell'onere sostenuto in collegamento con la produzione del reddito nonché il nesso di proporzionalità dello stesso onere con il gettito generale dei tributi, tenendo altresì conto della necessità di conciliare le esigenze finanziarie dello Stato con quelle del privato cittadino, chiamato a contribuire ai bisogni della vita collettiva, non meno pressanti di quelli della vita individuale (sentt. n. 134 e 143 del 1982, n. 108 del 1983; ord. n. 556 del 1987);

che, come questa Corte ha riconosciuto, le relative disposizioni potrebbero essere censurate soltanto se si configurino quale il frutto di scelte irrazionali e non giustificate;

che, nel caso di specie, la scelta operata dal legislatore, nel senso di non ammettere in deduzione ai fini dell'IRPEF l'ammontare dell'imposta di successione corrisposta nell'anno di riferimento, appare né ingiustificata né irrazionale, in quanto l'imposizione inerente alla successione, contrassegnata da un'aliquota progressiva il cui imponibile e costituito dall'asse ereditario netto, e in diretto collegamento col patrimonio ereditario (sent. n. 68 del 1985) trovando la sua giustificazione nel fenomeno stesso dell'eredità, come successione di un soggetto ad un altro, indipendentemente dai trasferimenti di ricchezza che il fenomeno importa, il che denota la sua natura di prelievo sul patrimonio ereditario;

che, viceversa, l'IRPEF, come imposta personale, colpisce il reddito complessivo, dedotte le spese personali, quelle cioè necessarie a far fronte alle fondamentali esigenze di vita, ovvero quelle giuridicamente necessitate (quali quelle connesse ad indebitamenti, assicurazioni, oneri immobiliari, obblighi di diritto familiare) o socialmente utili di cui si consente la deducibilità per favorire determinati settori della vita sociale (arte, scienza, cultura, religione), tutte spese, queste, che hanno riguardo alla formazione del reddito o in questo trovano la loro fonte, si che non può confondersi con esse l'aspetto patrimoniale insito nell'imposta di successione, diversa essendo la natura dell'onere di cui si invoca la deducibilità rispetto a quella dell'IRPEF (imposta personale sul reddito);

che non può perciò RAVVISARSI, come si sostiene nella ordinanza di rinvio, quella <unicità del fatto giuridico tributario>, in relazione alla < globalità di valutazione della capacità contributiva>, essendo, come si è detto del tutto distinta la funzione del tributo ereditario nei confronti dei presupposti dell'IRPEF che, rispetto a quel tributo, costituiscono espressione di una capacita contributiva assolutamente autonoma;

che sotto tale profilo appare quindi del tutto ininfluente che il trapasso del compendio ereditario, nel patrimonio del soggetto tenuto all'imposta relativa, realizzi il fenomeno della <confusione patrimoniale>, perché la peculiare funzione di quell'imposta consente di mantenere concettualmente distinte le due vicende tributarie, ancorché facenti capo al medesimo soggetto;

che pertanto la questione é manifestamente infondata.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953 n. 87 e 9, secondo comma, delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 10 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597 (<Istituzione e disciplina dell'imposta sul reddito delle persone fisiche>), nella parte in cui non consente la deducibilità, in sede di dichiarazione dei redditi, dell'imposta di successione corrisposta nell'anno di riferimento, in relazione agli artt. 53, 3 e 42 Cost., sollevata dalla Commissione tributaria centrale con l'ordinanza indicata in epigrafe.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 11/01/89.

 

Francesco SAJA - Giovanni CONSO - Ettore GALLO - Aldo CORASANITI - Giuseppe BORZELLINO - Francesco GRECO - Renato DELL'ANDRO - Gabriele PESCATORE - Ugo SPAGNOLI - Francesco Paolo CASAVOLA - Antonio BALDASSARRE - Vincenzo CAIANIELLO - Mauro FERRI - Luigi MENGONI - Enzo CHELI

 

Depositata in cancelleria il 24/01/89.

 

Francesco SAJA, PRESIDENTE

Vincenzo CAIANIELLO, REDATTORE