Sentenza n. 24 del 1989

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SENTENZA N.24

ANNO 1989

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Dott. Francesco SAJA, Presidente

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO

Prof. Aldo CORASANITI

Prof. Giuseppe BORZELLINO

Dott. Francesco GRECO

Prof. Renato DELL'ANDRO

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

Prof. Antonio BALDASSARRE

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

Avv. Mauro FERRI

Prof. Luigi MENGONI

Prof. Enzo CHELI

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 184, comma secondo, del codice penale militare di pace, promosso con ordinanza emessa il 12 gennaio 1988 dal Tribunale militare di Padova nel procedimento penale a carico di Bufano Giovanni ed altri, iscritta al n. 185 del registro ordinanze 1988 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 20 prima serie speciale dell'anno 1988.

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri;

udito nella camera di consiglio del 30 novembre 1988 il Giudice relatore Ettore Gallo.

 

Considerato in diritto

 

1. - Effettivamente l'art. 21 Cost., di cui si è occupata la sentenza n. 126 del 1985 per dichiarare l'illegittimità di altra fattispecie, non può venire in esame nella presente questione, almeno sotto l'aspetto invocato dall'ordinanza. Non e, infatti, ravvisabile la necessaria strumentalità del fatto previsto nella disposizione impugnata - come sostiene l'ordinanza- rispetto a quello contemplato nell'art. 180, I co., c.p.m.p., giacche istanze e reclami collettivi ben possono essere realizzati attraverso numerose altre modalità, senza che si debbano all'uopo imprescindibilmente indire riunioni arbitrarie.

La questione s'incentra, perciò, sulla compatibilità del divieto penale di arbitrarie riunioni di militari in luoghi militari con l'esercizio del diritto costituzionale di riunione previsto dall'art. 17 Cost. Un diritto questo effettivamente strumentale rispetto al perseguimento di determinati fini, ma che, proprio per ciò, resta condizionato dalla liceità o meno di essi, sicché non può esservi dubbio che l'ordinamento, ma anche la stessa Autorità militare, debbano poterli valutare per apprezzare la liceità della riunione.

Non deve essere, infatti, trascurato che la questione si riferisce a riunioni <<in luoghi militari> i quali, per loro natura, sono innanzitutto destinati al perseguimento delle finalità proprie delle Forze armate, nello spirito di cui all'art. 52, I co. Cost.

Sembra evidente allora che il legislatore non possa indiscriminatamente consentire ai militari di riunirsi a loro libito in quei luoghi, senza pregiudicare quella disciplina, la quale pure rappresenta, nell'ordinamento militare, un bene giuridico degno di tutela. Proprio su di essa, infatti, si fonda l'efficienza delle Forze armate e quindi, in definitiva, il perseguimento di quei fini che la Costituzione solennemente tutela.

E ben vero che <l'ordinamento delle Forze Armate si informa allo spirito democratico della Repubblica> (art. 52, ult. co. Cost): ma <informarsi allo spirito> non vuol dire la ricezione pura e semplice di qualsiasi disposizione della Costituzione, senza alcun riguardo alla natura dell'ordinamento in parola ed alle finalità cui esso e ispirato, giusta la norma espressa dalla prima parte dello stesso articolo.

Proprio di ciò si è dato carico il legislatore ordinario emanando le <Norme di principio sulla disciplina militare> (l. 11 luglio 1978 n. 382), che all'art. 3 riconoscono bensì ai militari i diritti della Costituzione spettanti a tutti i cittadini, precisando, pero, che <per garantire l'assolvimento dei compiti propri delle Forze armate, la legge impone ai militari limitazioni nell'esercizio di alcuni di tali diritti, nonché l'osservanza di particolari doveri nell'ambito dei principi costituzionali>.

Disposizione questa che e stata accolta con favore anche dalla dottrina, come quella che ragionevolmente contempera i diritti costituzionali del cittadino militare con le esigenze dei particolari doveri propri di un'Istituzione intesa a perseguire finalità parimenti tutelate dalla Costituzione e concernenti l'interesse dell'intera collettività nazionale.

E puntualmente, per quanto si riferisce alla specie in esame, il Regolamento di disciplina, contemplando il diritto di riunione, rimanda alla citata legge di principio sulla disciplina militare che, all'art. 7, vieta le riunioni non di servizio nell'ambito dei luoghi militari: mentre poi e ancora il II comma del detto art. 30 del Regolamento a soggiungere che <nei casi in cui le riunioni sono consentite, queste devono essere autorizzate dall'autorità competente>.

2.-Tuttavia, se tutto questo indica eloquentemente che il sistema tende ad imporre limiti proprio all'esercizio del diritto costituzionale di riunione, nello spirito di cui al citato art. 3 della legge di principio sulla disciplina militare, ciò tuttavia non risolve il problema sollevato dall'ordinanza del Tribunale di Padova che, non senza ragione, adombra l'eccessività di una tutela addirittura penale nei riguardi di violazioni che, come quella di specie, possono nella realtà presentarsi pacifiche ed innocue.

La questione, però, non può essere superata dal semplice riferimento all'art. 17 della Costituzione, né dal mero richiamo alla sentenza n. 126 del 1985 di questa Corte. Quest'ultima, infatti, ha potuto correttamente ravvisare pregiudizio all'art. 21 Cost. nell'incriminazione del solo fatto della presentazione di una domanda o di un esposto da parte di dieci o più militari perché la libertà di manifestazione del pensiero in uno scritto diretto a presentare richieste, o a rappresentare alle superiori situazioni concernenti il servizio, non può in alcun modo compromettere le finalità dell'Istituzione ne attentare all'osservanza di particolari doveri. Ma altrettanto non può dirsi della riunione arbitraria di militari in luoghi militari, sia perché, da una parte, essi possono venire distolti da eventuali servizi, sia perché, comunque, con la loro collettiva presenza, essi vanno ad occupare ed impegnare luoghi militari destinati, per loro natura, alle finalità proprie dell'Istituzione, determinando anche situazioni di disordine e di confusione.

Ora, e ben vero che, se la riunione e pacifica e disarmata, e se e diretta a trattare senza animosità di cose attinenti al servizio o alla disciplina nell'intento di un inserimento partecipativo alla vita della caserma, lungi dall'essere pericolosa, può rappresentare - come la sentenza di questa Corte da ultimo citata ha detto testualmente-mezzo di promozione e di <sviluppo in senso democratico dell'ordinamento delle Forze armate>. Va, pero, rilevato che la fattispecie di <Adunanza di militari>, prevista nel II comma dell'art. 184 c.p.m.p., non contempla situazioni cosi pacifiche ed innocue.

Che, anzi, inserita com'é nel Capo concernente la rivolta, l'ammutinamento e la sedizione militare, ed in consecuzione alle ipotesi di sedizione previste dai due articoli che la precedono, non può che riferirsi ad adunanze ostili e cariche di pericolo sia per la disciplina che per le finalità istituzionali costituzionalmente tutelate: tant'é vero che lo <Schema di disegno di legge delega> per il nuovo codice penale militare di pace suggerisce al legislatore delegato di <ristrutturare le ipotesi di sedizione militare come comportamenti collettivi (e anche come comportamenti individuali idonei a promuovere un comportamento collettivo) caratterizzati da ribellione ed ostilità verso le autorità militari o verso le istituzioni> (art. 10, lett. d). E la relazione precisa che <la materia della sedizione militare e da rivedere integralmente, considerato che essa e attualmente collocata frammentariamente in diverse disposizioni (articoli da 180 a 185 del c.p.m.p.), non tutte tra loro nettamente distinte, sulle quali la giurisprudenza manifesta un notevole travaglio interpretativo. In sede di riforma, nella descrizione delle fattispecie legali, debbono essere espressi chiaramente i caratteri della sedizione, che costituisce essenzialmente un reato collettivo, caratterizzato da ribellione ed ostilità verso le autorità militari, con scopo di sovversione>.

3.-Emerge chiaramente allora che, secondo la relazione allo Schema di legge delega, si chiede al legislatore delegato di rendere esplicito ed evidente, mediante espresso riferimento alla <ribellione ed ostilità verso le autorità, a scopo di sovversione>, ciò che, nell'attuale frammentarietà degli articoli che vanno da 180 a 185, e tuttavia implicito. Del resto, anche la dottrina specialistica tradizionale considerava le ipotesi criminose contemplate negli art.li 184 e 185 c.p.m.p. come <forme complementari di sedizione militare>, ed i lavori preparatori al progetto preliminare del codice attualmente vigente (n. 126) le definivano <pericolose manifestazioni collettive>.

Non può esservi, quindi, alcun dubbio che, nel pensiero del legislatore, la giustificazione della repressione penale delle <arbitrarie adunanze militari> previste dal II co. dell’art. 184 c.p.m.p. risiede proprio nel loro carattere ostile e sedizioso che, mentre rappresenta di per se stesso una lesione della disciplina, realizza al contempo una situazione di concreto pericolo nei confronti dell'efficienza dell'Istituzione in funzione dei fini costituzionali.

Essendo, perciò, certo, da quanto fin qui s'é detto, che il legislatore ha inteso reprimere con la sanzione penale adunanze arbitrarie di militari a carattere sedizioso o rivoltoso, non e possibile accogliere la richiesta di cancellare la fattispecie dal codice penale militare senza lasciare impunite manifestazioni collettive cariche di offensività per beni giuridici che la Costituzione ha consacrato.

Resta, pero, il problema sollevato dall'ordinanza, giacche, nell'espressione letterale del dato testuale vengono ricomprese anche ipotesi che di quell'offensività sono prive, in quanto si presentano pacifiche e dirette a fini innocui che possono persino possedere un contenuto positivo. Ebbene, in tali casi, da vagliarsi volta per volta dal giudice di merito nel contesto delle concrete circostanze in cui il fatto si svolge, la soluzione e da ricercare sul piano interpretativo. Per il quale valgono sia l'evoluzione generale dell'esperienza giuridica circa taluni principi fondamentali del giure penale (esclusione di presunzioni di pericolosità, accertamento dell'offensività concreta di condotte tipiche etc..), sia la stessa giurisprudenza di questa Corte che ha legittimato talune situazioni che il codice penale militare incriminava.

Cosi se risulta acclamato che la finalità dell'adunanza non aveva carattere ostile, ma soltanto quello di discutere iniziative comuni dirette a rappresentare ai superiori la necessita di migliorare il rancio, appare evidente che, proprio nella prospettiva di cui alla citata sentenza n. 126 del 1985 di questa Corte, la liceità penale dei fini si riverbera - come in tutte le riunioni di cui all'art. 17 della Costituzione - nella liceità stessa dell'adunanza. Fermo restando ovviamente l'illecito disciplinare della mancanza di autorizzazione a sensi dell'art. 30, co. II, del Regolamento di disciplina.

Del resto, non senza ragione, per l'art. 260, II co., c.p.m.p. la pena comminata e tale da far dipendere la punibilità dalla richiesta del Comandante del Corpo: questi può così esercitare un primo controllo sulla natura dell'adunanza, sulla quale peraltro ovviamente l'Autorità giudiziaria militare e chiamata ad esprimere il giudizio decisivo. Quando poi il nuovo codice penale militare avrà reso espliciti, in una rinnovata formulazione della norma, i connotati del delitto di <adunanza arbitraria> (giusta quanto prescrive la citata relazione allo schema di legge), gli attuali dubbi interpretativi non potranno più sorgere.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 184, II co., c.p.m.p., sollevata dal Tribunale militare di Padova con ordinanza 12 gennaio 1988 in riferimento agli art.li 2, 3, 17, 21 e 52 ult. co., della Costituzione.

 

Così deciso in Roma, in camera di consiglio, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 11/01/89.

 

Francesco SAJA - Giovanni CONSO - Ettore GALLO - Aldo CORASANITI - Giuseppe BORZELLINO - Francesco GRECO - Renato DELL'ANDRO - Gabriele PESCATORE - Ugo SPAGNOLI - Enzo CHELI - Vincenzo CAIANIELLO - Mauro FERRI - Luigi MENGONI - Francesco Paolo CASAVOLA - Antonio BALDASSARRE

 

Depositata in cancelleria il 24/01/89.

 

Francesco SAJA, PRESIDENTE

Ettore GALLO, REDATTORE