Sentenza n.1143 del 1988

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SENTENZA N.1143

ANNO 1988

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

Prof. Francesco SAJA Presidente

Prof. Giovanni CONSO

Dott. Aldo CORASANITI

Prof. Giuseppe BORZELLINO

Dott. Francesco GRECO

Prof. Renato DELL'ANDRO

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

Prof. Antonio BALDASSARRE

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

Avv. Mauro FERRI

Prof. Luigi MENGONI

Prof. Enzo CHELI

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 2 del d.l. 30 dicembre 1979, n. 663 (Finanziamento del servizio sanitario nazionale nonché proroga dei contratti stipulati dalle pubbliche amministrazioni in base alla L. 1° giugno 1977, n. 285, sulla occupazione giovanile), convertito, con modificazioni, in legge 29 febbraio 1980, n. 33, nel testo sostituito dall'art. 15 della legge 23 aprile 1981, n. 155 (Adeguamento delle strutture e delle procedure per la liquidazione urgente delle pensioni e per i trattamenti di disoccupazione, e misure urgenti in materia previdenziale e pensionistica), promosso con ordinanza emessa il 5 giugno 1987 dalla Corte di cassazione sul ricorso proposto da Cianci Giuseppe contro I.N.P.S., iscritta al n. 166 del registro ordinanze 1988 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 19/I ss. dell'anno 1988.

Visti gli atti di costituzione di Cianci Giuseppe e dell'I.N.P.S.

nonché l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 29 novembre 1988 il Giudice relatore Francesco Greco;

uditi gli avv.ti Franco Agostini per Cianci Giuseppe, Gaspare Benenati per l'I.N.P.S. e l'avvocato dello Stato Paolo D'Amico per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Considerato in diritto

1. - La Corte di cassazione dubita della legittimità dell'art. 2, secondo comma, del d.l. 30 dicembre 1979, n. 663, convertito, con modificazioni, nella legge 29 febbraio 1980, n. 33, nel testo sostituito dall'art. 15 della legge 23 aprile 1981, n. 155, nella parte in cui non consente al lavoratore assicurato, colpito da malattia ed avente diritto alla relativa indennità, la possibilità di provare che la omessa trasmissione all'I.N.P.S., entro due giorni dalla visita medica, del certificato di malattia sia dipesa da un giustificato motivo.

Sarebbero violati gli artt. 38, secondo comma, e 3 Cost.: a) per la situazione di privilegio attribuita al momento strumentale dell'accertamento (invio del certificato medico) rispetto alla reale esistenza della malattia, come evento da tutelare, con la grave sanzione della perdita del diritto, costituzionalmente garantito, all'indennità di malattia; b) per la irrazionalità della norma censurata che esclude la possibilità di far valere una causa di impedimento dell'invio del certificato medico solo per quanto riguarda il rapporto tra il lavoratore assicurato e l'I.N.P.S., mentre nessuna sanzione e prevista per quanto attiene al rapporto tra le due parti del contratto di lavoro, sicché il datore di lavoro e tenuto al pagamento della indennità integrativa, mentre, invece, l'I.N.P.S. non deve l'indennità di malattia; c) per l'eguale irrazionalità rispetto ad altra norma (art. 5, quattordicesimo comma, del d.l. 12 settembre 1983, n. 463, convertito, con modificazioni, nella legge 11 novembre 1983, n. 638), ispirata alla stessa ratio (repressione dell'assenteismo) che, regolando l'ipotesi dell'assenza del lavoratore in malattia alla visita domiciliare di controllo, non prevede alcuna sanzione nel caso che la mancata presenza sia dovuta a giustificato motivo.

2. - La questione è fondata.

Il d.l. 30 dicembre 1979, n. 633, convertito, con modificazioni, nella legge 29 febbraio 1980, n. 33, e ulteriormente la legge 23 aprile 1981, n. 155, operanti nell'ambito della riforma sanitaria di cui alla legge n. 833 del 1978, hanno innovato il sistema precedente di regolamentazione dell'erogazione dell'indennità di malattia al lavoratore colpito da detto evento. Questo risultava dalla legge istitutiva dell'I.N.A.M. 11 gennaio 1943, n. 138, e dagli artt. 1913 e 1915 cod. civ., stante il disposto dell'art. 1886 cod. civ. e, successivamente, dal Regolamento delle prestazioni economiche approvato dal Ministro del Lavoro verso la fine degli anni cinquanta, che agli artt. 6 e 7 recepiva le norme del codice civile.

L'attuale sistema, invece, per la parte che interessa, stabilisce che il lavoratore deve inviare, a mezzo raccomandata con avviso di ricevimento, o consegnare il certificato di malattia, rilasciatogli dal medico curante, rispettivamente all'I.N.P.S. o alla struttura sanitaria pubblica, da esso indicata d'intesa con la Regione, e al datore di lavoro nel termine di due giorni: sullo stato di salute del lavoratore possono essere eseguiti controlli con i medici dei servizi sanitari indicati dalle Regioni (art. 2, terzo comma, d.l. cit. e art. 1, legge di conversione).

La disciplina dello svolgimento dei controlli e dettata da convenzioni tra l'I.N.P.S. e le UU.SS.LL., da stipularsi sulla scorta di appositi schemi predisposti d'intesa tra l'I.N.P.S. e le Regioni ed approvati dal Ministro della Sanità (d.l. n. 168/1981, art. 8 bis, introdotto con la legge di conversione n. 331/1981) entro un certo tempo, decorso il quale, provvede direttamente il Ministro della Sanità di concerto col Ministro del Lavoro e della Previdenza Sociale (artt. 8 bis e 10, ottavo comma, d.l. cit.).

Successivamente, il sistema e stato modificato dal protocollo di intesa 22 gennaio 1983, conv. con modifiche in legge n. 638 del 1983, che ha apprestato misure urgenti in materia di previdenza e sanità nonché per il contenimento della spesa pubblica in vari settori della pubblica amministrazione.

E' stata prevista, tra l'altro, una visita medica di controllo da effettuarsi al domicilio del lavoratore da parte di medici o delle UU.SS.LL. o dell'I.N.P.S., iscritti in apposite liste, in fasce orarie predeterminate.

Al lavoratore assente senza giustificato motivo alla visita medica di controllo e inflitta la perdita per intero del trattamento economico di malattia per i primi dieci giorni.

Per quanto interessa la questione, si rileva che la norma censurata, così come le precedenti, non prevede alcuna sanzione a carico del lavoratore che non inoltra, entro due giorni, il certificato medico di malattia che costituisce il primo atto del procedimento di erogazione dell'indennità relativa, nel corso del quale e prevista la visita medica di controllo sulla sussistenza della denunciata malattia.

L'individuazione della sanzione è opera dell'elaborazione giurisprudenziale.

Nella vigenza della disciplina normativa precedente al 1° gennaio 1980 si riteneva prevalentemente (più in applicazione degli artt. 1913 e 1915 cod. civ. che del sopra citato Regolamento delle prestazioni economiche, atteso il suo carattere di disciplina interna dell'Ente) che, al lavoratore il quale avesse omesso o ritardato l'invio del certificato medico, rendendo così impossibile il controllo sulla effettiva esistenza della malattia, accertamento, questo, utile solo se svolto con immediatezza, perdeva l'indennità per intero se vi era dolo o in misura ridotta se vi era colpa, in ragione del pregiudizio derivatone all'I.N.A.M.: pregiudizio che, o era in re ipsa o doveva essere provato dall'I.N.A.M. e consisteva nel danno patrimoniale che era derivato all'Istituto a causa di detta impossibilita.

Intervenute le nuove leggi (n. 433 del 1980, n. 155 del 1981), in giurisprudenza si sono formati tre indirizzi: uno che ha continuato a ritenere applicabili gli artt. 1913 e 1915 cod. civ., essendo quello all'indennità un diritto già sorto per effetto della malattia; un secondo, invece, secondo cui, essendo la nuova disciplina completamente esaustiva, l'invio del certificato medico, finalizzato all'attuazione del tempestivo controllo da parte dell'I.N.P.S., si configura come un onere il cui assolvimento e condizione essenziale per avere diritto alla indennità: atteso, cioè, il carattere perentorio del termine, il ritardato invio della certificazione non farebbe sorgere il diritto, limitatamente ai giorni del ritardo; il terzo, infine, che, pur ritenendo che l'invio del certificato costituisce un onere a carico del lavoratore e che al ritardato invio consegue la perdita della indennità per i giorni del ritardo, ammette la possibilità della prova, da parte dell'onerato, dell'esistenza di giustificati motivi di ritardo nell'invio suddetto.

Le Sezioni Unite della Corte di cassazione, chiamate a risolvere il contrasto di giurisprudenza, hanno statuito: a) che il diritto alla prestazione previdenziale nasce dalla legge e la prestazione viene erogata dall'I.N.P.S. nell'esercizio della funzione pubblica, secondo il precetto costituzionale (art. 38, secondo comma, Cost.), a seguito di un atto di certazione che incide sulla situazione soggettiva dell'assicurato rendendo concretamente operante il suo diritto alla prestazione; b) l'atto di impulso si configura come un onere a carico del lavoratore; c) spetta all'Istituto disporre gli opportuni controlli nelle forme previste dalla legge; d) l'assicurato per l'invio del certificato deve osservare il termine di due giorni che e perentorio, avuto riguardo alla funzione commessagli dalla norma; e) il ritardo nell'invio fa perdere all'assicurato l'indennità corrispondente ai giorni del ritardo.

La Corte non ha precisato se l'assicurato potesse o meno addurre giustificato motivo del ritardo, ma il giudice a quo, che e la Sezione Lavoro della stessa Corte di cassazione, ha interpretato l'indirizzo giurisprudenziale instaurato nel senso che, trattandosi di onere, debba escludersi la rilevanza del giustificato motivo ed ha sollevato la questione di legittimità costituzionale in esame.

Ora, indubbiamente non sussiste la dedotta violazione dell'art. 3 Cost. per la pretesa irrazionalità del diverso trattamento riservato all'Istituto, non tenuto all'erogazione dell'indennità per i giorni del ritardo nell'invio del certificato medico ed al datore di lavoro rispetto al quale, pur dovendogli essere trasmessa copia di tale certificato, continuano ad avere rilievo le ragioni che possono avere impedito la comunicazione nel termine dell'esistenza della malattia con la relativa documentazione.

Trattasi di situazioni diverse non essendo la funzione dell'I.N.P.S. assimilabile agli obblighi derivanti al datore di lavoro dal rapporto di lavoro e dalla contrattazione collettiva.

Mentre, certamente sussiste un'assimilazione tra la situazione in esame e quella che si verifica a seguito dell'assenza del lavoratore in malattia alla visita medica domiciliare di controllo, per cui e ammessa, secondo la previsione normativa, l'adduzione di un giustificato motivo dell'assenza (art. 5 comma quattordicesimo, d.l. n. 463 del 1983, convertito, con modificazioni, nella legge n. 638 del 1983).

Invero, sia il tempestivo invio del certificato medico che la visita di controllo domiciliare realizzano la stessa finalita della repressione dell'assenteismo, mentre, anche secondo l'indirizzo giurisprudenziale prevalente, il diritto al trattamento economico di malattia deriva dalla legge e non dal certificato medico, sicché entrambe le situazioni in comparazione presuppongono un diritto già sorto e sono dirette a soddisfare le esigenze del buon andamento dell'amministrazione che eroga denaro pubblico, sebbene il certificato medico costituisca l'atto iniziale del procedimento nel quale è inserito il controllo, onde la necessita del suo tempestivo inoltro entro un termine breve.

Ma anzitutto si osserva che una delle due modalità di inoltro previste dalla norma censurata, la spedizione cioè della raccomandata con avviso di ricevimento, attesa la notoria lentezza del servizio postale, non e certamente idonea ad assicurare la tempestività della recezione e, quindi, il sollecito controllo.

Inoltre, vale considerare che, al suddetto fine, ha anche rilevanza la natura della malattia. Vi sono, infatti, malattie che possono essere accertate egualmente nonostante il ritardato invio del certificato e malattie, invece, di cui il più tempestivo inoltro del certificato non assicura il controllo effettivo perché è idoneo solo quello fatto in concomitanza dell'evento morboso.

A parte le suddette considerazioni, non può dubitarsi che l'imposizione di un onere legato ad un termine perentorio molto breve importa violazione dell'altro precetto costituzionale (art. 38, secondo comma, Cost.) invocato, se non sia consentita all'onerato la deduzione dell'eventuale giustificato motivo del ritardo dell'inoltro, sia pure con il conseguente carico della relativa prova.

Rileva che, per la stessa natura dell'onere, la sua inosservanza dipende dalla volontà dell'onerato e, quindi, anche la conseguenza, cioè la perdita totale o parziale del diritto e che manca una fonte normativa specifica di previsione della sanzione.

Comunque, l'interpretazione giurisprudenziale che prevede un onere nella materia di cui trattasi, per quanto finalizzato al conseguimento di un interesse pubblico, quale e la repressione dell'assenteismo, sia pure nella sfera del precetto costituzionale del buon andamento dell'amministrazione (art. 97 Cost.), non deve importare violazione di altri precetti costituzionali, quali la tutela della salute (art. 32 Cost.) e il diritto del lavoratore ad avere, in caso di malattia, i mezzi adeguati alle sue esigenze di vita (art. 38, secondo comma, Cost.), onde la necessità quanto meno di un bilanciamento degli interessi.

Per quanto riguarda il precetto di cui all'art. 38, secondo comma, Cost., si è affermato più volte che, pur essendo rimessa alla discrezionalità del legislatore la regolamentazione delle modalità di erogazione della prestazione previdenziale (nella specie, l'indennità di malattia) non si possono porre condizioni, requisiti ed oneri vessatori ed eccessivamente gravosi, tali da rendere nulla la detta erogazione alla quale, invece, il lavoratore ha diritto.

E nella specie è eccessivamente gravoso e vessatorio l'onere dell'invio del certificato medico relativo, entro il termine di due giorni, classificato come perentorio, all'I.N.P.S. o alla struttura pubblica indicata dallo stesso Istituto, d'intesa con la Regione, senza consentire al lavoratore ammalato di addurre, a giustificazione dell'eventuale ritardo dell'inoltro, un serio e apprezzabile motivo, da provarsi dallo stesso lavoratore, sia pure rigorosamente, perché importa indiscriminatamente la perdita, sia pure parziale, dell'indennità quale mezzo diretto a soddisfare essenziali esigenze di vita, onde la violazione dell'art. 38, secondo comma, Cost.

Pertanto, va dichiarata l'illegittimità costituzionale della norma censurata, interpretata nel senso che non consente al lavoratore assicurato di addurre e provare un giustificato motivo del ritardato invio del certificato medico attestante la malattia che lo ha colpito.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 2, d.l. 30 ottobre 1979, n. 663 (Finanziamento del servizio sanitario nazionale nonché proroga dei contratti stipulati dalle pubbliche amministrazioni in base alla L. 1° giugno 1977, n. 285, sul l'occupazione giovanile), convertito, con modificazioni, nella legge 29 febbraio 1980, n. 33, nel testo sostituito dall'art. 15, legge 23 aprile 1981, n. 155, nella parte in cui non consente al lavoratore assicurato di addurre e provare l'esistenza di un giustificato motivo del ritardato invio del certificato medico della malattia che lo ha colpito.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 15/12/88.

Francesco SAJA, PRESIDENTE

Francesco GRECO, REDATTORE

Depositata in cancelleria il 29 Dicembre 1988.