Sentenza n. 994 del 1988

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SENTENZA N.994

ANNO 1988

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Dott. Francesco SAJA, Presidente

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO

Dott. Aldo CORASANITI

Prof. Giuseppe BORZELLINO

Dott. Francesco GRECO

Prof. Renato DELL'ANDRO

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

Prof. Antonio BALDASSARRE

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

Avv. Mauro FERRI

Prof. Luigi MENGONI

Prof. Enzo CHELI

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

 

nel giudizio promosso con ricorso della Regione Toscana notificato il 12 aprile 1979, depositato in cancelleria il 21 aprile successivo ed iscritto al n. 9 del registro ricorsi 1979, per conflitto di attribuzione sorto a seguito dei provvedimenti del Prefetto di Livorno in data 2 e 10 novembre 1978, nn. 3517 e 3550 (Produzione di mangimi composti concentrati).

Visto l'atto di costituzione del Presidente del Consiglio dei Ministri;

udito nell'udienza pubblica dell'8 marzo 1988 il Giudice relatore Antonio Baldassarre;

 

Considerato in diritto

 

1. - Il conflitto di attribuzione sottoposto all'esame di questa Corte con il presente giudizio nasce dalla diversa interpretazione che la Regione ricorrente e lo Stato danno all'art. 67 del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616, in ordine al trasferimento o meno alle competenze regionali, nell'ambito della materia <agricoltura e foreste> (art. 117 Cost.), dell'autorizzazione alla produzione dei mangimi composti e di quelli composti concentrati, di cui all'art. 5 della legge 15 febbraio 1963, n. 281, come modificato dall'art. 4 della legge 8 marzo 1968, n. 399.

2. - L'art. 67 del d.P.R. n. 616 del 1977 dispone, al suo primo comma, il trasferimento alle regioni delle funzioni svolte dallo Stato e da altri enti pubblici concernenti <la costruzione e la gestione di impianti per la raccolta, la conservazione, la lavorazione, la trasformazione e la vendita di prodotti agricoli e zootecnici, nonché per l'allevamento del bestiame, esclusi quelli di interesse nazionale di cui al successivo terzo comma>.

Appare chiaro dal tenore dell'articolo appena citato - e, del resto, le parti in causa concordano su questo punto - che la produzione di mangimi composti rientra, materialmente, nell'ambito degli oggetti ivi descritti e, più precisamente, nella lavorazione e trasformazione di prodotti agricoli e zootecnici e per l'allevamento del bestiame.

Ciò é indubbiamente confermato dalla definizione dell'attività di produzione dei mangimi composti contenuta nella legge 15 febbraio 1963, n. 281 (e successive modificazioni), che prevede l'autorizzazione oggetto del presente conflitto. Dall'art. 1 di detta legge si desume, infatti, che i mangimi composti, i quali sono in ogni caso <prodotti destinati all'alimentazione degli animali allevati>, consistono in preparazioni ottenute, per lo più, attraverso l'associazione, la composizione o la diluizione di prodotti semplici di origine vegetale, animale o minerale, cui talvolta sono aggiunti integratori o additivi allo scopo di migliorare l'alimentazione degli animali. In altre parole, dalla definizione legale della produzione dei mangimi composti si deduce chiaramente che si tratta di un ciclo essenzialmente interno alla produzione agricola, tale da giustificare il suo inserimento come sub-materia ricompresa nell'agricoltura, come, del resto, era stato già disposto con il precedente trasferimento compiuto dal d.P.R. n. 11 del 1972. Tanto più ciò vale, se si considera che sarebbe del tutto incongruo attribuire a soggetti diversi le funzioni relative alla zootecnia e all'allevamento del bestiame, da un lato, e un'attività ritenuta indispensabile per lo svolgimento delle predette funzioni, qual é, appunto, la produzione di mangimi, dall'altro.

3. - Resta il fatto - ed é qui il vero nodo del presente conflitto-che, nel trasferire alle regioni la lavorazione dei prodotti agricoli e zootecnici e per l'allevamento del bestiame, l'art. 67, primo e terzo comma, del d.P.R. n. 616 del 1977 ha riservato allo Stato <gli interventi (...) relativi agli impianti di interesse nazionale>.

Nel delineare la riserva allo Stato di tali interventi, il citato art. 67, terzo comma, precisa che questi debbono avvenire nei limiti e in conformità con quanto stabilito dall'art. 4, lett. m, del d.P.R. 15 gennaio 1972, n. 11, oltreché <in attuazione degli indirizzi fissati in sede di programmazione nazionale, sentita la commissione interregionale, di cui all'art. 13 della legge 16 maggio 1970, n. 281>. Con questa precisazione, l'art. 67, terzo comma, del d.P.R. n. 616 del 1977 mostra, in realtà, di voler confermare sostanzialmente il disposto contenuto nell'art. 4, lett. m, del d.P.R. n. 11 del 1972, per il quale la classificazione di un impianto per la lavorazione e trasformazione dei prodotti agricoli e zootecnici fra quelli d'interesse nazionale dipende dalla rilevanza da esso rivestita in ordine alla regolazione dei mercati e, in particolare, alla disciplina dell'immissione sul mercato nazionale dei prodotti agricoli e zootecnici.

In altre parole, la ripartizione di competenze fra regioni e Stato operata dall'art. 67 ricalca o, più precisamente, si armonizza perfettamente con la distinzione - tradizionalmente presente nei piani di sviluppo dell'agricoltura (a cominciare dalla legge n. 454 del 1961, il c.d. piano verde) e ripresa, ai fini qui interessanti, da tutti i decreti di trasferimento occorsi in materia, incluso il d.P.R. n. 616 del 1977 (art. 71, lett. b) - che intercorre tra gli interventi in materia di agricoltura (riservati alle regioni) e quelli <d'interesse nazionale per la regolazione del mercato agricolo> (riservati allo Stato). E, come questa Corte ha avuto modo più volte di precisare, questi ultimi si caratterizzano, sotto il profilo oggettivo, per avere una diretta influenza o incidenza sui termini costitutivi del mercato stesso, quali la domanda e l'offerta, i prezzi, i costi di produzione, e così via (v., in particolare, sentt. nn. 304 e 433 del 1987) e, sotto il profilo funzionale, per la stretta correlazione che li lega alla programmazione nazionale e, in genere, agli interessi unitari che sorreggono quest'ultima (v. sentt. nn. 142 del 1972, 216 del 1987). Sotto l'aspetto appena accennato va, anzi, sottolineato come l'art. 67, terzo comma, del d.P.R. n. 616 del 1977 rimarchi questa sorta di proceduralizzazione dell'interesse nazionale, posta evidentemente a garanzia della competenza tendenzialmente generale delle regioni in materia di produzione agricola e zootecnica, esigendo che gli interventi statali d'interesse nazionale avvengano <in attuazione degli indirizzi fissati in sede di programmazionale nazionale, sentita la commissione interregionale, di cui all'art. 13 della legge 16 maggio 1970, n. 281>.

4. - Sulla base dell'interpretazione dell'art. 67 del d.P.R. n. 616 del 1977, che é stata ora data, si rivela fondato il ricorso della Regione Toscana avverso l'esercizio da parte del Prefetto di Livorno della competenza relativa all'autorizzazione alla produzione di mangimi composti e di mangimi composti concentrati.

Dagli atti di causa non risulta, infatti, che la predetta autorizzazione possa essere classificata tra gli interventi di interesse nazionale, sia sotto il profilo della sua rilevanza in ordine alla regolazione del mercato nazionale dei prodotti zootecnici, sia sotto il profilo del suo collegamento con indi rizzi fissati in sede di programmazione nazionale. A dire il vero, anzi, gli atti prefettizi qui impugnati mancano di qualsiasi riferimento al d.P.R. n. 616 del 1977, mentre assumono a giustificazione del potere esercitato proprio le norme che, sotto il profilo dell'attribuzione di competenza, sono state modificate, dapprima, dal d.P.R. n. 11 del 1972 e, poi, dal d.P.R. n. 616 del 1977.

Considerando che le autorizzazioni in questione concernono impianti che già producevano altri tipi di mangimi - e quindi si riferiscono, non già all'ingresso di un nuovo produttore nel mercato, ma più semplicemente a un ampliamento della gamma di prodotti secondo standard di produzione comunemente esistenti nei mangimifici-, si deve supporre che gli atti impugnati abbiano invaso la competenza regionale definita dall'art. 67 del d.P.R. n. 616 del 1977, la quale ricomprende anche le autorizzazioni alla gestione di impianti per la raccolta, la conservazione, la lavorazione, la trasformazione e la vendita dei prodotti agricoli e zootecnici, nonché per l'allevamento del bestiame, salvo gli impianti di interesse nazionale, nell'accezione sopra definita.

Tali atti, pertanto, vanno annullati.

5. - Contro tale conclusione non può valere l'argomento formulato dall'Avvocatura dello Stato, secondo la quale il complesso di controlli e di autorizzazioni previsti sulla produzione dei mangimi in virtù della legge 15 febbraio 1963, n. 281, come modificata dalla legge 8 marzo 1968, n. 399, dovrebbe indurre a pensare che nel caso si é fuori della materia agricoltura (e quindi dalle competenze regionali), trattandosi di atti di competenza dei Ministri della sanità e dell'industria e commercio, rimasti tali in virtù dell'art. 71, lett. d, del d.P.R. n. 616 del 1977, in quanto diretti a tutelare l'igiene sanitaria e a prevenire o reprimere le frodi nella produzione agricola, nonché a disciplinare la produzione industriale.

In verità, non c'é alcun dubbio che, a norma del citato art. 71, lett. d, lo Stato conservi la competenza in materia di <disciplina e controllo di qualità> per quanto concerne le sostanze di uso agrario e forestale (concimi, diserbanti, etc.), nonché per quel che riguarda i prodotti agricoli e forestali, tra i quali sono sicuramente da ricomprendere i mangimi, nella loro varietà.

Tuttavia, tale funzione-ragionevolmente conservata allo Stato allo scopo di salvaguardare le indubbie esigenze di unitarietà connesse alla difesa della qualità dei prodotti e alla repressione delle frodi su tutto il territorio nazionale - e non soltanto diversa da quella qui in contestazione (che riguarda la produzione di mangimi come attività di lavorazione e di trasformazione di prodotti zootecnici), ma non e neppure tale da comportare l'attrazione al medesimo soggetto che ne é competente (lo Stato) delle distinte funzioni qui in contestazione (di spettanza, nei limiti anzidetti, delle regioni). Un conto é, infatti, la trasformazione dei prodotti zootecnici, come i mangimi, che, per essere iniziata a scopo di vendita o di distribuzione per il consumo, deve essere autorizzata a norma degli artt. 4 e 5 della legge n. 281 del 1963, come modificati dagli artt. 3 e 4 della legge n. 399 del 1968 (autorizzazione la cui spettanza e qui in contestazione); altro conto é l'insieme di attività di vigilanza, di controllo e di prescrizione attinenti alla qualità dei prodotti e alle loro caratteristiche igienico- sanitarie, cui devono sottostare coloro che producono mangimi e che, a norma degli artt. 1, 10 e segg. della legge n. 281 del 1963, e successive modificazioni, spettano allo Stato e, in particolare, al Ministro della sanità (competenza che é stata confermata dalla successiva legge 23 dicembre 1978, n. 833, all'art. 6, lett. u).

Non é, tuttavia, senza significato che nel ribadire la riserva allo Stato delle competenze da ultimo menzionate, il legislatore nazionale si sia preoccupato di riconoscere alle regioni un ruolo sostanziale anche in relazione ad esse: per un verso, infatti, ha delegato alle regioni le funzioni concernenti il controllo di qualità dei prodotti agricoli e forestali, nonché delle sostanze ad uso agrario e forestale (art. 77, lett. d, del d.P.R. n. 616 del 1977); per altro verso, ha previsto che, per il compito di reprimere le frodi nella lavorazione e nel commercio dei prodotti agricoli, lo Stato possa avvalersi della collaborazione delle regioni (art. 77, u.c., dello stesso decreto). E questa e un'ulteriore prova dello spostamento sul versante regionale, in una forma o nell'altra, della cura del complesso degli interessi più strettamente attinenti alla produzione agricola e zootecnica.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara che spetta alla Regione Toscana rilasciare l'autorizzazione per la produzione di mangimi di cui all'art. 5 della legge 15 febbraio 1963, n. 281, come modificato dall'art. 4 della legge 8 marzo 1968, n. 399 e, di conseguenza, annulla i decreti 2 novembre 1978, n. 3517 e 10 dicembre 1978, n. 3550 adottati dal Prefetto di Livorno.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 12/10/88.

 

Francesco SAJA - Antonio BALDASSARRE

 

Depositata in cancelleria il 27/10/88.