Sentenza n. 928 del 1988

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SENTENZA N.928

ANNO 1988

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Dott. Francesco SAJA, Presidente

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO

Dott. Aldo CORASANITI

Prof. Giuseppe BORZELLINO

Dott. Francesco GRECO

Prof. Renato DELL'ANDRO

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

Prof. Antonio BALDASSARRE

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

Avv. Mauro FERRI

Prof. Luigi MENGONI

Prof. Enzo CHELI

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 8 della legge 20 marzo 1975, n. 70 (Disposizioni sul riordinamento degli enti pubblici e del rapporto di lavoro del personale dipendente), promosso con ordinanza emessa il 12 marzo 1987 dal Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia - Sede di Bari - sul ricorso proposto da Lisanti Antonio contro I.N.P.S., iscritta al n. 327 del registro ordinanze 1987 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 34/I ss. dell'anno 1987;

Visti l'atto di costituzione dell'I.N.P.S. nonché l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 22 giugno 1988 il Giudice relatore Francesco Greco.

 

Considerato in diritto

 

1.-Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia dubita della legittimità costituzionale dell'art. 8 della legge 20 marzo 1975, n. 70, nella parte in cui stabilisce un orario di servizio unico per tutti i dipendenti degli enti contemplati nella stessa legge, compreso l'Istituto Nazionale della Previdenza Sociale, senza prevedere una particolare disciplina dell'orario di servizio per gli avvocati e i procuratori legali degli enti stessi, iscritti all'albo speciale di cui all'ultimo comma dell'art. 3 del r.d.l. 27 novembre 1933, n. 1578, ed inquadrati nel ruolo professionale previsto dall'art. 15 della citata legge n. 70 del 1975.

Risulterebbero violati: a) l'art. 3 Cost., per l'irrazionalità della disciplina che regolerebbe in modo uniforme situazioni oggettivamente diverse quali sono rispettivamente quelle degli impiegati e dei professionisti; b) l'art. 97 Cost., in quanto la rigidità dell'orario inciderebbe negativamente sull'organizzazione degli uffici legali e sui risultati dell'attività svolta a cura di questi, essenziale per l'amministrazione, e renderebbe, inoltre, incerta per i professionisti la possibilità di un impegno adeguato e necessario ad escludere la loro responsabilità professionale.

2.-Anzitutto, si ritiene non fondata l'eccezione di inammissibilità sollevata dall'Avvocatura Generale dello Stato in base al rilievo che la norma impugnata era stata, già alla data dell'ordinanza di rimessione, sostituita dall'art. 6 del d.P.R. n. 346 del 1983.

Invero, si osserva che, nonostante il succedersi nel tempo di varie norme, come si dirà in seguito, i principi da esse enunciati sono rimasti invariati, sicché il merito della questione non ha subito modifiche sostanziali, il che induce la Corte a procedere al suo esame.

3. - La questione non é fondata.

Secondo l'ormai costante indirizzo giurisprudenziale dei giudici amministrativi, gli avvocati e i procuratori dell'I.N.P.S., al pari dei legali degli altri enti pubblici, sono da considerarsi nello stesso tempo sia professionisti, sia impiegati, nel senso che, nello svolgimento del loro lavoro professionale hanno garantita una posizione di indipendenza e sono sottoposti al controllo dei Consigli dell'Ordine professionale, mentre, per gli altri profili del rapporto di impiego, sono assoggettati ai doveri ed alle limitazioni derivanti dal rapporto stesso, ivi compreso il dovere di osservare l'orario di lavoro prescritto dall'ente.

La disciplina di detto orario, in base e per effetto delle varie fonti di diverso livello (contratti collettivi succedutisi nel tempo e trasfusi in buona parte in vari d.P.R.: art. 6, d.P.R. n. 346 del 1983; art. 7, quarto comma, d.P.R. n. 13 del 1986; art. 7, d.P.R. n. 267 del 1987) non e uniforme e rigida ma articolata e differenziata a seconda delle varie situazioni ed esigenze del personale. In particolare, per quanto riguarda gli avvocati e i procuratori legali, l'I.N.P.S. tiene conto (v. ordine di servizio della Direzione Generale dell'Istituto n. 527 del 20 gennaio 1982) della peculiarità del rapporto e della necessita che questi ultimi hanno di svolgere la loro attività professionale all'esterno dell'ufficio, per cui , con dichiarazione da essi stessi sottoscritta, possono attestare la durata della prestazione svolta all'esterno.

Comunque, nella fattispecie, quella esercitata dal ricorrente e per la quale si controverte, non era attività a favore e nell'interesse dell'Istituto datore di lavoro, essendo state svolte le prestazioni a favore e nell'interesse di un altro e diverso ente (Sez. provinciale di controllo sugli atti degli enti locali).

Si deve, quindi, ritenere che non sussistono né la uniformità né la rigidità dell'orario ritenute dal giudice remittente, specie per quanto riguarda gli avvocati e i procuratori legali dell'Istituto ed, in particolare, il ricorrente e che, conseguente mente, non risultano violati gli invocati precetti costituzionali, essendo le norme denunciate non irrazionali ed idonee ad assicurare il buon andamento dell'amministrazione.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 8 della legge 20 marzo 1975, n. 70 (Disposizioni sul riordinamento degli enti pubblici e del rapporto di lavoro del personale dipendente), sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 97 Cost., dal Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia con l'ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 08/07/88.

 

Francesco SAJA - Francesco GRECO

 

Depositata in cancelleria il 28/07/88.