Ordinanza n. 860 del 1988

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ORDINANZA N.860

ANNO 1988

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Prof. Francesco SAJA, Presidente

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO

Dott. Aldo CORASANITI

Prof. Giuseppe BORZELLINO

Dott. Francesco GRECO

Prof. Renato DELL'ANDRO

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

Prof. Antonio BALDASSARRE

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

Avv. Mauro FERRI

Prof. Luigi MENGONI

Prof. Enzo CHELI

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

 

nei giudizi di legittimità costituzionale degli artt. 28 e 37 della legge 20 maggio 1970, n. 300 (Norme sulla tutela della liberta e dignità dei lavoratori, della liberta sindacale e dell'attività sindacale nei luoghi di lavoro e norme sul collocamento), e dell'art. 23, primo comma, della legge 29 marzo 1983, n. 93 (Legge quadro sul pubblico impiego), promossi con le seguenti ordinanze:

1) ordinanza emessa il 16 maggio 1987 dal Pretore di Genzano nel procedimento civile vertente la S.p.a. Casa di Cura Villa delle Querce e la Federazione Funzione Pubblica C.G.I.L., iscritta al n. 328 del registro ordinanze 1987 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 34/I ss. dell'anno 1987;

2) ordinanza emessa l'11 febbraio 1987 dal Pretore di Roma sul ricorso proposto dall'Associazione Nazionale Funzionari di Polizia contro il Ministero dell'Interno ed altro, iscritta al n. 401 del registro ordinanze 1987 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 39/I ss. dell'anno 1987;

Visti l'atto di costituzione della Federazione Funzione Pubblica C.G.I.L. nonché gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 23 marzo 1988 il Giudice relatore Francesco Greco.

Ritenuto che il Pretore di Genzano, con ordinanza del 16 maggio 1987 (R.O. n. 328/87), emessa nel giudizio di opposizione a decreto ex art. 28 della legge 20 maggio 1970 n. 300 promosso dalla s.p.a. Villa delle Quercie di Nemi contro la Federazione della funzione pubblica aderente alla CGIL, ha sollevato, su istanza di parte, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 28 della legge n. 300 del 1970 in riferimento agli artt. 3, 24 e 102 della Costituzione;

che, a parere del giudice rimettente la disposizione censurata-consentendo che una medesima condotta del datore di lavoro, idonea a ledere contemporaneamente situazioni giuridiche collettive ed individuali, sia oggetto di pronunce divergenti in un giudizio ex art. 28 legge citata e in un giudizio individuale e non prevedendo poi adeguati meccanismi di coordinamento tra i due giudizi-determinerebbe la possibilità di un <contrasto pratico> tra giudicati;

che, sempre ad avviso del giudice a quo, la mancata previsione di un congegno di coordinamento tra i due giudizi e la conseguente possibilità di giudicati contrastanti violerebbe, da un lato, gli artt. 3 e 24 Cost. e, dall'altro lato, l'art. 102 Cost. conferendo al giudice del procedimento ex art. 28 dello Statuto dei lavoratori la fisionomia e la posizione di un giudice speciale, svincolato, nell'accertamento dei fatti, tanto da precedenti accertamenti effettuati in sede di giudizio penale quanto da accertamenti compiuti dal giudice civile in una causa individuale avente ad oggetto gli stessi eventi;

che nel giudizio si é costituita la Federazione funzione pubblica C.G.I.L. Comprensorio dei Castelli Romani in persona del suo segretario, rappresentata e difesa dagli avv.ti Luciano Ventura e Livio Bussa, chiedendo alla Corte di dichiarare infondata la questione sollevata dal Pretore di Genzano;

che é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, argomentando e concludendo per l'inammissibilità o l'infondatezza della questione.

che il Pretore di Roma, con ordinanza dell'11 febbraio 1987, emessa nel procedimento promosso ai sensi dell'art. 28 della legge n. 300 del 1970 nei confronti del Ministero dell'Interno e della Presidenza del Consiglio dei ministri da parte dell'Associazione Nazionale Funzionari di Polizia per lamentare la propria esclusione dalla contrattazione per il rinnovo del contratto collettivo di categoria, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24 e 39 Cost., questione di legittimità costituzionale degli artt. 28 e 37 della stessa legge n. 300 del 1970 nonché dell'art. 23, primo comma, della legge 29 marzo 1983, n. 93, nella parte in cui escludono l'applicabilità nei confronti dello Stato del citato art. 28, per la tutela di posizioni di diritto soggettivo proprie ed esclusive del sindacato e non correlate a posizioni soggettive inerenti al rapporto di impiego di singoli dipendenti;

che il giudice remittente, pur dandosi carico della sentenza n. 68 del 1980, con la quale questa Corte ha dichiarato l'infondatezza della questione di legittimità costituzionale dello stesso art. 28 della legge n. 300 del 1970, nella parte in cui non consente l'esperibilità dello speciale procedimento ivi previsto nei confronti dello Stato, ha ritenuto di dovere nondimeno sollevare il suddetto dubbio di incostituzionalità sotto il diverso profilo che una differenza di tutela, mentre può risultare giustificata nei rapporti fra impiego pubblico e impiego privato, non appare razionale nell'ambito del pubblico impiego in generale, cosicché sarebbe illegittimo che il sindacato dei dipendenti statali godesse di mezzi di tutela ritenuti meno efficaci di quelli a disposizione dell'analogo sindacato dei dipendenti degli altri enti pubblici non economici, i quali possono fruire del menzionato procedimento speciale;

che anche in tale giudizio é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri per mezzo dell'Avvocatura Generale dello Stato che ha concluso nel senso dell'inammissibilità e, comunque, dell'infondatezza della questione;

Considerato che, per quanto concerne la questione sollevata dal Pretore di Genzano (R.O. n. 328/87), l'azione speciale ex art. 28 Statuto dei lavoratori e l'azione individuale, pur diretta a reprimere una medesima condotta del datore di lavoro, restano azioni del tutto distinte ed autonome in ragione della diversità dei soggetti legittimati a proporle, della diversità degli interessi tutelati (interessi collettivi sindacali l'una e diritti individuali l'altra) e della diversità dei profili di illiceità della condotta;

che, in particolare, nei due giudizi la condotta del datore di lavoro é esaminata, ricostruita, valutata da angolazioni e con finalità profondamente differenti, dal momento che il giudice del procedimento repressivo speciale é chiamato a verificare se l'atto o il comportamento del datore di lavoro abbia leso gli interessi collettivi di cui sono titolari esclusivi le associazioni sindacali, mentre il giudice dell'azione individuale ha il compito di controllare la legittimità del medesimo atto o comportamento sul terreno della disciplina del rapporto di lavoro;

che, a causa della strutturale diversità dei due giudizi e degli accertamenti in essi compiuti, il medesimo fatto storico (nella specie: il licenziamento di alcuni dipendenti) può essere oggetto, in sede di procedimento repressivo speciale ed in sede di giudizio individuale, di pronunce di segno differente ma non per questo contraddittorie, insuscettibili di produrre alcun contrasto tra giudicati;

che sul piano più strettamente operativo - cui si riferisce il giudice a quo - l'eventuale adozione di pronunce divergenti nei due giudizi di cui si discute non sembra porre insolubili problemi di coordinamento poiché e evidente che l'atto od il comportamento potenzialmente <plurioffensivo> del datore di lavoro che venga sottoposto al duplice vaglio del giudizio ex art. 28 Statuto dei lavoratori e del giudizio individuale potrà essere considerato esente da censure solo quando esso avrà superato positivamente entrambe le verifiche giudiziali, mentre sarà sufficiente che uno dei due distinti accertamenti si concluda con esito negativo per il datore di lavoro perché dell'atto o del comportamento sia alternativamente dichiarata l'invalidità o decretata la rimozione degli effetti;

che la evidenziata assenza di contrasto tra giudicati e l'inesistenza dei particolari problemi di coordinamento menzionati nell'ordinanza di rinvio escludono che la norma impugnata violi gli artt. 3 e 24 Cost.;

che l'autonomia e le peculiari caratteristiche del procedimento regolato dall'art. 28 della legge n. 300 del 1970 sono modellate sulle particolari esigenze di tutela di interessi collettivi, differenti dagli interessi individuali dei singoli lavoratori, ma non valgono certo a conferire al giudice dell'azione repressiva la fisionomia e la natura di un giudice speciale, in contrasto con l'art. 102 Cost., poiché il pretore é un magistrato ordinario, inserito nell'ordine giudiziario, e non é lecita alcuna confusione tra la sua posizione istituzionale e la specificità dei procedimenti dal legislatore attribuiti alla sua competenza;

che per le suesposte ragioni la questione sollevata dal Pretore di Genzano va dichiarata manifestamente infondata;

che del pari manifestamente infondata va dichiarata la questione sollevata dal Pretore di Roma;

che, invero, non può disconoscersi che rilevanti diversità tra i vari rapporti di impiego (quali, con riferimento alla dicotomia pubblico-privato, sono state ritenute idonee a giustificare, in parte qua, una diversità di disciplina: v. sent. n. 60 del 1980) si rinvengono non soltanto per effetto di tale dicotomia, ma esistono, con non minore incidenza, anche all'interno del vasto campo del pubblico impiego;

che non é dubitabile, in particolare, che sussistono profonde differenze di disciplina e di tutela tra i rapporti con Stato, Enti pubblici economici ed Enti pubblici non economici, onde non e ipotizzabile un'automatica estensione dall'un settore all'altro delle rispettive normative;

che, nonostante significativi processi di omogeneizzazione di dette normative, il rapporto di pubblico impiego statale resta tutt'ora distinto da quello intercorrente con Enti pubblici, sia pure non economici, e che, di fronte alla dilatazione degli ambiti del diritto pubblico, ben può il legislatore diversamente apprezzare il collegamento e la strumentalità del rapporto di lavoro rispetto alle finalità istituzionali assegnate agli uffici in cui si articola l'amministrazione pubblica;

che, con riferimento allo Stato, é innegabile che i fini assunti in via diretta dal medesimo sono, per natura o per valutazione insindacabile del legislatore, tra quelli basilari per l'esistenza stessa e per il mantenimento delle condizioni indispensabili alla vita della Comunità;

che, in considerazione di ciò, può trovare ragionevole giustificazione uno speciale regime degli strumenti di difesa dei sindacati anche rispetto ad altri comparti della pubblica amministrazione, assumendo proprio in tale contesto pienezza di significato la riserva dell'art. 37 della legge n. 300 del 1970 per Enti pubblici non economici che, in relazione alle funzioni esercitate, abbiano norme che escludano il peculiare rimedio di cui all'art. 28 dello Statuto dei Lavoratori;

che, più in particolare, per quanto concerne la Polizia di Stato non può trascurarsi la posizione del tutto peculiare della medesima, giustificata dalle delicate funzioni che essa é chiamata a svolgere (anche rispetto a quelle degli altri organi statali);

che, in tale quadro complessivo, l'inapplicabilità dell'istituto dell'art. 28 cit. ai sindacati della Polizia di Stato, da una parte non contrasta con gli artt. 3 e 39 Cost. e dall'altra non costituisce impedimento né diminuzione di tutela giurisdizionale in relazione all'art. 24 Cost., rimanendo questa assicurata, fra l'altro, anche dai mezzi cautelari previsti dalla giurisdizione amministrativa, non meno rapidi ed incisivi, specie alla luce degli interventi di questa Corte (v. sent. n. 190 del 1985);

Visti gli artt. 26, secondo comma, legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara la manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale degli artt. 28 e 37 della legge 20 maggio 1970 n. 300 (Norme sulla tutela della libertà e dignità dei lavoratori, della libertà sindacale e dell'attività sindacale nei luoghi di lavoro e norme sul collocamento) e 23, primo comma, della legge 29 marzo 1983, n. 93 (Legge quadro sul pubblico impiego), sollevate, in riferimento agli artt. 3, 24, 39 e 102 Cost., dai Pretori di Genzano e di Roma con le ordinanze in epigrafe.

Così deciso in Roma, in camera di consiglio, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 05/07/88.

 

Francesco SAJA - Francesco GRECO

 

Depositata in cancelleria il 21/07/88.