Sentenza n. 776 del 1988

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SENTENZA N.776

ANNO 1988

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Prof. Francesco SAJA, Presidente

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO

Dott. Aldo CORASANITI

Prof. Giuseppe BORZELLINO

Dott. Francesco GRECO

Prof. Renato DELL'ANDRO

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

Prof. Antonio BALDASSARRE

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

Avv. Mauro FERRI

Prof. Luigi MENGONI

Prof. Enzo CHELI

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 11, terzo comma, del r.d. l8 giugno 1931, n. 773 (testo unico delle leggi di pubblica sicurezza), promosso con ordinanza emessa il 28 agosto l986 dal Tribunale amministrativo regionale della Sicilia - Sezione di Catania - sul ricorso proposto da Bottaro Emanuele contro la Prefettura di Siracusa - Ministero dell'Interno, iscritta al n. 643 del registro ordinanze l987 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 47/Ia s.s. dell'anno l987;

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 9 giugno 1988 il Giudice relatore Gabriele Pescatore;

 

Considerato in diritto

 

1. - Il Tribunale amministrativo regionale per la Sicilia -Sezione di Catania - dubita della legittimità costituzionale dell'art. 11, terzo comma, del T.U. delle leggi di pubblica sicurezza, approvato con R.D. 18 giugno 1931, n. 773, nella parte in cui impone la revoca delle autorizzazioni di polizia quando vengano a mancare, in tutto o in parte, le condizioni alle quali ne e subordinato il rilascio. La tassatività della previsione, che non consente alla autorità di pubblica sicurezza alcuna discrezionalità nella valutazione della gravita del fatto sopravvenuto e correlativamente dell'incidenza che la revoca dall'autorizzazione può avere sul soggetto interessato, sarebbe in contrasto con l'art. 3 della Costituzione.

Risulterebbero infatti obbligatoriamente trattate in modo eguale situazioni anche radicalmente diverse l'una dall'altra.

2.-Il giudice a quo pone in luce problemi che meritano particolare attenzione, anche per i riflessi che essi sono in condizione di produrre nella società.

Per la verità la Corte, adita in tema di legittimità della pena accessoria della interdizione di esercitare la pesca marittima, ha già osservato (cfr. sentenza 10 febbraio 1972 n. 30) per un verso che, interdettagli la pesca, restano pur sempre aperte al pescatore altre attività marittime e comunque tutte quelle che sono consentite da una certa mobilita lavorativa generale, e per l'altro che <l'esercizio di un'attività può ben essere-e spesso é-sottoposta a condizioni, limitazioni ed obblighi, in funzione di interessi ed esigenze sociali dall'ordinamento statuale ritenuti meritevoli di protezione>.

Deve riconoscersi tuttavia che si riscontra nell'ordinamento una sicura evoluzione verso una minore rigidità delle sanzioni, sia principali che accessorie, così come verso una più graduata valutazione degli effetti nelle varie previsioni collegate a comportamenti sanzionati.

Tenuto conto di ciò e della indubbia gravita delle conseguenze che normalmente derivano dalla privazione dell'esercizio di una specifica attività professionale, non può escludersi -in linea di principio - l'opportunità che l'attuale normativa venga riveduta, eventualmente riconoscendosi all'amministrazione un margine di discrezionalità nel procedere alla revoca dell'autorizzazione al suddetto esercizio.

3.-La realizzazione di siffatto orientamento rende peraltro evidente che essa presuppone tipiche valutazioni riservate alla discrezionalità legislativa.

Come ha esattamente posto in luce l'Avvocatura generale dello Stato, la normativa attuale é fondata sul principio, secondo il quale la nomina ad un impiego o, per riferirsi a ciò che rileva nel caso, il rilascio di un'autorizzazione di polizia, devono sempre considerarsi subordinati al permanere dei requisiti che la legge richiede perché possa inizialmente conferirsi l'impiego o rilasciarsi l'autorizzazione. L'abbandono di questo principio e la sua sostituzione con un altro e diverso vanno inevitabilmente considerati con riguardo alla loro compatibilità con l'intero sistema e con le sue varie articolazioni.

D'altronde, la stessa scelta nel caso di specie si prospetta suscettibile di molteplici alternative, potendosi - nel limitare l'operatività del criticato automatismo - dar rilievo al tipo di reato commesso, alla entità della pena, alla sussistenza di particolari attenuanti, alla mancanza di particolari aggravanti, alla concessione della sospensione condizionale della pena o ad altro ancora. Nessuna di tali scelte risulta, all'evidenza, costituzionalmente obbligata.

Non può quindi non concludersi nel senso della inammissibilità della questione, conformemente del resto a quanto la Corte ha deciso con riguardo a questioni affini già sollevate in tema di applicazione obbligatoria di pene accessorie (cfr. la sentenza 19 dicembre 1986, n. 270 e le ordinanze 22 maggio 1987, n. 187 e 3 dicembre 1987, n. 438).

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 11, terzo comma, r.d. 18 giugno 1931, n. 773 (testo unico delle leggi di pubblica sicurezza), sollevata, in riferimento all'art . 3 della Costituzione, con ordinanza 28 agosto 1986 (R.O. n. 643 del 1987) del Tribunale amministrativo regionale per la Sicilia, Sezione di Catania.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 22/06/88.

 

Francesco SAJA - Gabriele PESCATORE

 

Depositata in cancelleria il 07/07/88.