Sentenza n. 742 del 1988

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SENTENZA N.742

ANNO 1988

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Dott. Francesco SAJA, Presidente

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO

Dott. Aldo CORASANITI

Prof. Giuseppe BORZELLINO

Dott. Francesco GRECO

Prof. Renato DELL'ANDRO

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

Prof. Antonio BALDASSARRE

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

Avv. Mauro FERRI

Prof. Luigi MENGONI

Prof. Enzo CHELI

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 4 del decreto-legge 2 dicembre 1985, n. 688, recante: <Misure urgenti, in materia previdenziale, di tesoreria e di servizi delle ragionerie provinciali dello Stato>, promosso con ricorso della Regione Toscana notificato il 28 dicembre 1985, depositato in cancelleria il 4 gennaio 1986 ed iscritto al n. 1 del registro ricorsi 1986.

Visto l'atto di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 10 maggio 1988 il Giudice relatore Aldo Corasaniti;

uditi l'avv. Fabio Lorenzoni e l'avvocato dello Stato Gaetano Zotta per il Presidente del Consiglio dei ministri.

 

Considerato in diritto

 

1. - La Regione Toscana impugna l'art. 4 del decreto-legge 2 dicembre 1985, n. 688, per violazione degli artt. 3, comma primo, 42, 81, 119 Cost.

Osserva in primo luogo che il decreto-legge sarebbe illegittimo per il fatto stesso di costituire reiterazione di precedente decreto-legge non convertito.

Deduce, poi, che la norma impugnata, disponendo il versamento nella tesoreria dello Stato degli importi dei mutui non erogati e concessi agli enti ed organismi pubblici di cui all'art. 40 della legge 30 marzo 1981, n. 119 (oltre alle regioni, anche comuni, province e relative aziende, nonché enti pubblici non economici di cui alla tabella A, allegata alla legge 5 agosto 1978, n. 468, o determinati con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri di cui all'ultimo comma dell'art. 25 della legge medesima, enti portuali, aziende autonome dello Stato, Enel), ingiustificatamente parifica le regioni ad enti non dotati di autonomia finanziaria.

Tale norma, privando le regioni della disponibilità di entrate che fanno parte del loro patrimonio (quali sono quelle da mutuo contratto), violerebbe la garanzia della proprietà pubblica riconosciuta dall'art. 42 Cost.

Privando, d'altra parte, le regioni degli interessi sulle somme acquisite, e depositate in istituti di credito senza coprire gli oneri del correlativo debito di restituzione, la norma stessa violerebbe l'art. 81 Cost., nella parte in cui (ultimo comma) prevede la necessaria indicazione dei mezzi di copertura delle maggiori spese decise.

Violerebbe, infine, l'autonomia finanziaria delle regioni sotto diversi profili. Finirebbe con lo svuotare, innanzi tutto, la funzione del servizio di tesoreria regionale, pur previsto dalla legge fondamentale dello Stato in materia (art. 33 legge 19 maggio 1976, n. 335). Acquisirebbe allo Stato l'importo di <entrate proprie> delle regioni, quali sono quelle derivanti da mutui contratti, pur non ricorrendo quelle ragioni di riduzione dell'indebitamento pubblico che, in riferimento alla finanza regionale derivata da trasferimenti statali, giustificano, secondo la giurisprudenza della Corte, il regime della tesoreria unica.

Violerebbe anche il limite intrinseco del potere di coordinamento, finendo con il sopprimere l'autonomia finanziaria della regione, almeno nella fase che intercorre tra acquisizione delle entrate ed erogazione delle spese, anziché armonizzarla con le esigenze generali.

2.- L'impugnazione, proposta nei confronti del decreto-legge 2 dicembre 1985, n. 688, con riferimento all'art. 4 del medesimo, si estende, naturalmente, alla legge di conversione 31 gennaio 1986, n. 11, che, fra l'altro, non reca sul punto emendamenti (sentt. 75/1967; 75/1979; 185/1981; 41/1985; 151/1986).

3.- La circostanza che il decreto-legge impugnato costituisca reiterazione di precedente decreto-legge non convertito non può da sola costituire motivo di impugnazione in via principale, tanto più quando, come nel caso, il decreto-legge sia stato convertito (cfr. sentenze di questa Corte nn. 307 del 1983, 302 del 1988).

4. - Va premesso che l'art. 4 del decreto-legge n. 688 del 1985, impugnato, impone agli enti ed organismi pubblici di cui all'art. 40 legge n. 119 del 1981, di versare in conti correnti presso la tesoreria centrale o nelle contabilità speciali presso le sezioni provinciali della tesoreria dello Stato loro intestate gli importi (quote) non ancora erogati, alla data di entrata in vigore dell'atto, dei mutui concessi dagli istituti di credito o dalle sezioni opere pubbliche degli istituti di credito.

Dispone poi che il versamento deve essere effettuato in quattro rate a scadenze indicate e che sulle somme non versate in termini e dovuto un interesse di mora pari al tasso ufficiale di sconto aumentato di cinque punti.

La normativa segna un ulteriore passo in avanti negli indirizzi della più recente legislazione di convogliamento delle risorse regionali in conti correnti presso le tesorerie statali, al fine di evitare, nei limiti del possibile, ristagno di liquidità ed aggravi negli interessi passivi a carico dello Stato.

Al riguardo, oltre a precedenti normative concernenti finanziamenti settoriali, va soprattutto richiamato l'art. 31 della legge 5 agosto 1978, n. 468, sulla riforma di alcune norme di contabilità dello Stato in materia di bilancio, che disponeva, in generale, ma limitatamente alle assegnazioni, contributi e quanto altro proveniente dal bilancio dello Stato, l'obbligo delle regioni di versare le rispettive disponibilità in conti correnti non vincolati con il Tesoro.

L'art. 40, comma primo, della legge 30 marzo 1981, n. 119, poi, estendeva l'obbligo di deposito in conto corrente presso il Tesoro di tutte le disponibilità finanziarie regionali, quale che fosse la loro provenienza, salva la facoltà delle regioni medesime di mantenere presso il sistema bancario disponibilità non superiori al 12% delle entrate annue previste dal bilancio di competenza; ciò anche per l'evidente collegamento che sussiste, per un verso, fra tempi di erogazione da parte dello Stato delle risorse ascrivibili alla finanza di trasferimento e disponibilità derivante dalla finanza <propria> delle regioni e, per altro verso, fra esigenze di una sempre sufficiente (in relazione ai fabbisogni) provvista di mezzi disponibili a favore delle regioni e contrapposte esigenze di evitare ristagni di liquidità, con aggravio inutile di oneri passivi a carico dello Stato, cioè a fini di coordinamento ai sensi dell'art. 119 Cost., oltreché a fini di controllo della liquidità complessiva del sistema (sentt. 162/1982; 307/1983; 245/1984).

Successive leggi ebbero a prevedere una riduzione della quota di risorse disponibili presso le tesorerie regionali (art. 21, comma quarto, decreto-legge 12 settembre 1983, n. 463, convertito in legge 11 novembre 1983, n. 638; art. 35, comma quattordicesimo, legge 27 dicembre 1983, n. 730; art. 3 legge 29 ottobre 1984, n. 720) ed il temporaneo carattere infruttifero dei conti presso il Tesoro (legge 7 agosto 1982, n. 526, artt. 37, 82; art. 1 decreto- legge 10 gennaio 1983, n. 1, non convertito).

5.- Ciò posto, é da osservare che l'autonomia finanziaria delle regioni ha un indubbio carattere funzionale, nel senso che é destinata a soddisfare le esigenze di pubblico interesse nelle forme e nei modi stabiliti dalla legge.

Ciò, per un verso, esclude la pertinenza del riferimento all'art. 42 Cost. e, per altro verso, consente di valutare anche le censure proposte in riferimento all'art. 119 Cost.

La normativa impugnata non sopprime, peraltro, il servizio di tesoreria regionale previsto dall'art. 33 della legge 19 maggio 1976, n. 335, anche se ne riduce l'operatività in riferimento alle percentuali delle entrate regionali di volta in volta effettivamente disponibili (cfr., analogamente, sent. 243/1985); né elimina l'autonomia finanziaria regionale, restando integro il potere di ripartire le risorse disponibili tra le diverse desti nazioni, che di questa autonomia e il profilo essenziale (sentt. nn. 162/1982; 307/1983). Oltre a ciò neppure incide su quelle che, almeno ai sensi di normativa statale (legge 29 ottobre 1984, n. 720, art. 1) sono da considerare le <entrate proprie>, vale a dire quelle derivanti da cespiti patrimoniali o da autonomia impositiva (cfr., tuttavia, per una nozione più articolata di <entrate proprie>, le norme degli statuti speciali della Regione Sicilia e della Regione Trentino-Alto Adige, su cui le sentenze di questa Corte nn. 61 e 62 del 1987).

Restano, comunque, salvaguardate quelle che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, sono, nella presente materia della tesoreria, le esigenze e le garanzie inderogabili dell'autonomia regionale, poiché la normativa impugnata non configura anomali strumenti di controllo sulla gestione finanziaria regionale e non frappone ostacoli all'effettiva e pronta utilizzazione delle risorse a disposizione della regione (sentenze nn. 155/1977; 94/1981; 162/1982; 307/1983; 244/1985).

6. -Neppure fondata é la questione proposta in riferimento all'art. 81, ultimo comma, Cost. e sotto il profilo di una pretesa alterazione fra entrate e spese determinata dall'essere la regione privata degli interessi attivi sulle somme di cui essa si era procurata la disponibilità attraverso il mutuo, interessi attivi destinati, secondo l'assunto, a coprire l'onere degli interessi passivi.

Si rileva, innanzi tutto, che nessuna garanzia costituzionale assiste l'aspettativa regionale, peraltro meramente ipotetica, di lucrare maggiori tassi di interesse presso istituti di credito discrezionalmente scelti (sentt. nn. 162/1982; 307/1983; 242, 243/1985). E' innegabile, poi, che, a fronte del mutuo contratto e, dunque, dell'obbligo di restituzione, la regione acquisisce la disponibilità della somma relativa. Va comunque osservato che la copertura delle nuove spese deve essere indicata dalle leggi regionali che le prevedono (o, per le spese pluriennali, dalle leggi di bilancio: art. 2, l. 19 maggio 1976, n. 335) e che la copertura delle spese di ammortamento e degli interessi passivi di un mutuo potrà essere fornita da una qualsiasi entrata regionale, non essendovi, ne per ragioni logiche, ne per ragioni sistematiche, necessario collegamento fra la detta spesa e l'eventuale entrata derivante da interessi attivi connessi all'utilizzazione provvisoria delle somme provenienti dal mutuo attraverso il deposito presso aziende di credito.

7. -Né appare utilmente invocato il principio di eguaglianza per quel che concerne la lamentata parificazione delle regioni ad enti non dotati di autonomia costituzionalmente garantita, sia avuto riguardo alla detta ratio della norma di evitare ristagni di liquidità ed inutile aggravio di interessi passivi a carico dello Stato- rispetto a cui la diversa natura degli enti e degli organismi considerati dall'art. 40 e successive modificazioni della legge n. 119 del 1981 (cfr., supra par. 1 del <considerato in diritto>) non assume rilievo-sia, anche, considerato il carattere disomogeneo delle situazioni confrontate, non suscettibili di comparazione sotto un singolo profilo, senza tener conto della disciplina complessiva di ciascuna di esse (sent. n. 243/1985).

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 4 del decreto-legge 2 dicembre 1985, n. 688, recante <Misure urgenti in materia previdenziale, di tesoreria e di servizi delle ragionerie provinciali dello Stato>, convertito nella legge 31 gennaio 1986, n. 11, sollevata in via principale dalla Regione Toscana, con il ricorso indicato in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 20/06/88.

 

Francesco SAJA - Aldo CORASANITI

 

Depositata in cancelleria il 30/06/88.