Ordinanza n.597 del 1988

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ORDINANZA N.597

ANNO 1988

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

Prof. Francesco SAJA Presidente,

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO

Dott. Aldo CORASANITI

Prof. Giuseppe BORZELLINO

Dott. Francesco GRECO

Prof. Renato DELL'ANDRO

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

Prof. Antonio BALDASSARRE

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

Avv. Mauro FERRI

Prof. Luigi MENGONI

Prof. Enzo CHELI

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nei giudizi di legittimità costituzionale degli artt. 42 e 49, primo comma, della legge 3 maggio 1982, n. 203 (Norme sui contratti agrari), promossi con ordinanze emesse il 30 maggio e il 4 luglio 1984 dal Tribunale di Napoli-Sezione specializzata Agraria - nei procedimenti civili vertenti tra Scognamiglio Giuseppe e Scognamiglio Francesco ed altri e tra Gammella Salvatore ed altro e Gammella Cira ed altri, iscritte ai nn. 1180 e 1181 del registro ordinanze 1984 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 62 bis dell'anno 1985.

Visti l'atto di costituzione di Gammella Salvatore ed altro nonchè gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 20 aprile 1988 il Giudice relatore Francesco Paolo Casavola.

Ritenuto che nel corso del procedimento vertente tra Scognamiglio Giuseppe e Scognamiglio Francesco, Anna, Ciro e Cira, avente ad oggetto il riconoscimento, ai sensi dell'art. 49, primo comma, della legge n. 203 del 1982, della qualità di affittuario coltivatore diretto del fondo rustico relitto dalla madre, il Tribunale di Napoli-Sezione specializzata Agraria - ha sollevato questione di legittimità costituzionale della stessa norma, la quale dispone che, in caso di successione, gli eredi coltivatori diretti del fondo (o imprenditori a titolo principale) hanno diritto di continuare la conduzione e la coltivazione del fondo stesso anche per le porzioni ricomprese nelle quote degli altri coeredi non diretti coltivatori e sono considerati affittuari di tali quote;

che il giudice a quo ha fatto riferimento: a) all 'art . 3 della Costituzione, in quanto la preferenza accordata dalla disposizione impugnata all'erede che abbia coltivato e continui a coltivare il fondo stesso comporterebbe una ingiustificata disparità di trattamento in danno dell'erede che, pur essendo coltivatore diretto o imprenditore a titolo principale, non coltivi il fondo del de cuius per una qualunque ragione; b) agli artt. 41 e 42 della Costituzione, in quanto la norma impugnata modificherebbe i rapporti successori a tutto danno degli eredi coltivatori diretti che non fossero in possesso dei cespiti ereditari e limiterebbe sensibilmente il diritto di proprietà, imponendo un rapporto locatizio non voluto, con grave svilimento delle quote, colpite da un vincolo di lunga durata;

che con l'ordinanza emessa il 4 luglio 1984 nel corso del procedimento civile fra gli eredi Gammella ed avente lo stesso oggetto, il Tribunale di Napoli-Sezione specializzata Agraria-sollevava la medesima questione di legittimità costituzionale dell'art. 49, primo comma, della legge n. 203 del 1982 e, in via gradata, nell'ipotesi di infondatezza, sollevava il dubbio di costituzionalità, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, dell'art. 42 della stessa legge, nella parte in cui non prevede la risoluzione anticipata del contratto di affitto (cd. <ripresa>) da parte del proprietario coltivatore diretto, concedente ex art. 49 citato, in relazione agli affitti costituiti dopo l'entrata in vigore della legge 203 del 1982, osservando che tale norma, applicandosi solo ai concedenti nei cui confronti la durata del contratto d'affitto si sia protratta-per leggi di proroga o per la stessa legge n. 203 del 1982 - ben oltre il termine convenzionale stabilito, genera un'ingiustificata disparità di trattamento in danno dei proprietari nei cui confronti il rapporto di affitto risulti addirittura costituito coattivamente;

che in entrambi i giudizi é intervenuta l'Avvocatura dello Stato chiedendo che la questione venga dichiarata infondata.

Considerato che i due giudizi, attinendo a questioni in parte identiche e in parte connesse, devono essere riuniti;

che la ratio della norma di cui all'art. 49 della legge n. 203 del 1982 é da individuarsi nell'esigenza di assicurare, anche dopo la morte dell'imprenditore agricolo, l'integrità dell'azienda e la continuità e l'unita dell'impresa e, pertanto, la garanzia di continuità nella conduzione di un fondo data ad uno dei coeredi non può essere considerata nella prospettiva di un privilegio attribuito ad uno di essi a danno degli altri, bensì nel più ampio quadro dell'interesse pubblico alla conservazione di un'impresa produttiva;

che, vista sotto tale profilo, la speciale tutela accordata all'erede che ha coltivato e continui a coltivare il fondo relitto trova giustificazione nel fatto che la situazione di costui e obiettivamente diversa da quella degli altri eredi, che, pur imprenditori a titolo principale-ai sensi dell'art. 12 della legge 12 maggio 1975, n. 153 - o coltivatori diretti, non hanno coltivato o non continuino a coltivare lo stesso fondo, e non si risolve in una soppressione della proprietà privata (che resta agli eredi nella misura da essi conseguita) ne in una soppressione dell'iniziativa economica privata, ma soltanto in una limitazione di entrambe in vista di interessi pubblici costituzionalmente rilevanti;

che la stessa norma non dispone nè potrebbe disporre alcun esproprio del fondo, limitandosi a costituire un rapporto di affitto forzoso fra i coeredi, tanto più che il rapporto di affitto così instaurato comporta comunque un prezzo che l'imprenditore agricolo paga agli altri coeredi e che costituisce l'utilità alternativa al diretto godimento del fondo;

che, pertanto, le questioni di legittimità costituzionale del l'art. 49 della legge n. 203 del 1982 risultano manifestamente infondate;

considerato altresì che l'ordinanza di rimessione del 4 luglio 1984 (R.O. n. 1181/84) non chiarisce se i reclamanti il diritto di ripresa possiedano i requisiti richiesti dall'art. 42 della legge n. 203 del 1982 per l'esercizio di tale diritto e, quindi, se la fattispecie concreta non possa essere definita dal giudice a quo indipendentemente dalla risoluzione della questione di legittimità costituzionale della stessa norma di legge;

che, conseguentemente, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 42 della legge n. 203 del 1982, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, risulta manifestamente inammissibile, per difetto di motivazione sulla rilevanza.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9 delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

a) dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 49, primo comma, della legge 3 maggio 1982, n. 203 (Norme sui contratti agrari), sollevata, in riferimento agli artt. 3, 41 e 42 della Costituzione, dal Tribunale di Napoli-Sezione specializzata Agraria- con le ordinanze indicate in epigrafe (R.O. nn. 1180 e 1181/84);

b) dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'art. 42 della stessa legge, sol levata, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, dal Tribunale di Napoli-Sezione specializzata Agraria-con l'ordinanza indicata in epigrafe (R.O. n. 1181/84).

Così deciso in Roma, in camera di consiglio, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 12/05/88.

Francesco SAJA, PRESIDENTE

Francesco Paolo CASAVOLA, REDATTORE

Depositata in cancelleria il 31 Maggio 1988.