Sentenza n.447 del 1988

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SENTENZA N.447

ANNO 1988

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

Prof. Francesco SAJA Presidente

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO

Dott. Aldo CORASANITI

Prof. Giuseppe BORZELLINO

Dott. Francesco GRECO

Prof. Renato DELL'ANDRO

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

Prof. Antonio BALDASSARRE

Avv. Mauro FERRI

Prof. Enzo CHELI

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale della legge della Regione Toscana approvata il 21 febbraio 1978 e riapprovata il 26 aprile 1978, avente per oggetto: <Abbandono dei diritti di credito di modico valore>, promosso con ricorso del Presidente del Consiglio dei ministri notificato il 17 maggio 1978, depositato in Cancelleria il 23 maggio successivo ed iscritto al n. 13 del Registro ricorsi 1978.

Udito nell'udienza pubblica del 23 febbraio 1988 il Giudice relatore Aldo Corasaniti;

udito l'Avvocato dello Stato Giorgio Azzariti per il ricorrente.

Considerato in diritto

l.- Con il ricorso di cui in epigrafe il Governo impugna una legge della Regione Toscana riapprovata il 26 aprile 1978 (Abbandono dei diritti di credito di modico valore), che prevede la possibilità per la Giunta regionale di abbandonare, con deliberazione cumulativa, crediti di importo non superiore a lire 2.500. Secondo il ricorrente la normativa impugnata sarebbe in violazione: del principio di eguaglianza, in quanto si tratterebbe di normativa ingiustificatamente difforme da quella dello Stato sull'annullamento dei propri crediti; del principio di legalità delle pene (art. 25, comma secondo, Cost.), applicabile anche alla fattispecie, principio rispetto al quale risulterebbe incompatibile il potere assolutamente discrezionale ivi previsto, di abbandono del credito; del principio di buon andamento dell'amministrazione (art. 97 Cost.), in quanto si sarebbe trascurato di considerare il rilievo che assume il carattere sanzionatorio dei crediti collegati a pena pecuniaria; del principio di imparzialità (art. 97 Cost.), perchè difetterebbe l'indicazione dei criteri in osservanza dei quali la Giunta regionale dovrebbe deliberare l'abbandono del credito; del principio fondamentale della legislazione dello Stato di irrinunziabilità delle pretese collegate all'esercizio di un potere sanzionatorio (art. 117 Cost.).

Le questioni non sono fondate.

2. - Non sussiste la pretesa violazione del principio di eguaglianza. Il riconoscimento stesso, infatti, di una competenza legislativa delle Regioni in date materie comporta l'eventualità, legittima alla stregua del sistema costituzionale, di una disciplina regionale delle stesse materie divergente da quella nazionale, nei limiti, come é ovvio, segnati dall'art. 117 della Costituzione per le Regioni a Statuto ordinario e dagli Statuti speciali per le Regioni ad autonomia differenziata.

3. - La normativa statale in materia di annullamento dei crediti di modico valore (l. 1° luglio 1955, n. 553) prevede la facoltà, che compete al Ministro e agli Intendenti di Finanza (art. 1), di annullare i crediti di valore non superiore a lire 500, quando siano di dubbia e difficile esazione. E' escluso l'annullamento dei soli crediti derivanti dalle sanzioni penali della multa e dell'ammenda (art. 4), oltrechè di quelli d'imposta, per i quali rimangono ferme le relative norme di riscossione. Possono, inoltre, essere annullati i crediti di importo superiore, quando siano assolutamente inesigibili e previo parere favorevole dell'Avvocatura erariale (ora dello Stato) quando il loro importo superi le lire l.200.000 e del Consiglio di Stato, quando superi le lire 9.600.000 (art. 265 del r.d. 23 maggio 1924, n. 827, <Regolamento per l'esecuzione della legge sull'amministrazione del patrimonio e sulla contabilita generale dello Stato>, come modificato con d.P.R. 30 giugno 1972, n. 422).

Norme particolari sono in vigore per l'annullamento dei debiti dei sottufficiali e dei militari di truppa che abbiano lasciato il servizio senza diritto ad alcun assegno a carico dello Stato (r.d. 10 febbraio 1927, n. 443; d.lgs. 21 aprile 1948, n. 715) e per i crediti di dubbia e difficile esazione dell'Amministrazione delle Ferrovie dello Stato (d.P.R. 27 marzo 1952, n. 534).

Si può escludere, in base a queste norme, l'esistenza di un principio della legislazione dello Stato di non annullabilità dei crediti relativi a sanzioni amministrative; un principio del genere sussiste solo per i crediti relativi a sanzioni penali (multa ed ammenda) ai sensi dell'art. 4, l. n. 553 del 1955; e del resto le sanzioni amministrative, a differenza da quelle penali, non si pongono come strumento di difesa dei valori essenziali del sistema, come tali non misurabili sul terreno della convenienza economica, ma vengono a costituire un momento ed un mezzo per la cura dei concreti interessi pubblici affidati all'amministrazione.

4.- Quanto ora detto conduce ad escludere la riferibilità della riserva di legge, prevista dall'art. 25, comma secondo, della Costituzione per le sanzioni penali, alle sanzioni amministrative.

Non può peraltro disconoscersi che anche rispetto alle sanzioni amministrative ricorre l'esigenza della prefissione ex lege di rigorosi criteri di esercizio del potere relativo all'applicazione (o alla non applicazione) di esse, e ciò in riferimento sia al principio di imparzialità (art. 97 della Costituzione), espressamente invocato dal ricorrente, sia al principio di cui all'art. 23 Cost., implicitamente invocato con il denunziare la mancata previsione, ad opera della legge regionale, di criteri siffatti.

Ma é innegabile che la normativa impugnata fornisce sufficienti indicazioni anche ai fini ora indicati. Il limite quantitativo assai modico é già, sotto questo profilo, una garanzia, ma, oltre a ciò, la medesima ragion d'essere della norma, che é quella di evitare all'amministrazione costi non proporzionati ai ricavi, contiene l'univoco riferimento a una valutazione delle possibili difficoltà di esazione, come criterio per deliberare l'abbandono del credito.

Nè può ritenersi violato il principio di buon andamento (art. 97 Cost.) per la mancata considerazione della specifica funzione della sanzione amministrativa. La deterrenza di una sanzione, infatti, non e l'unico modo con il quale può assicurarsi l'efficienza di un comando amministrativo: comunque tale deterrenza é male invocata per le sanzioni di modico valore ed e inadeguata allo scopo nei casi di difficile esigibilità del credito, vale a dire di verificata incapacità del debitore di adempiere la relativa obbligazione o addirittura di inettitudine del suo patrimonio ad essere utilmente aggredito in executivis.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale della legge della Regione Toscana approvata il 21 febbraio 1978 e riapprovata il 26 aprile 1978 (Abbandono dei diritti di credito di modico valore), sollevate, in riferimento agli artt. 3, 25, comma secondo, 97 e 117 Cost., dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 25/03/88.

Francesco SAJA, PRESIDENTE

Aldo CORASANITI, REDATTORE

Depositata in cancelleria il 14 Aprile 1988.