Sentenza n.374 del 1988

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SENTENZA N.374

ANNO 1988

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

Prof. Francesco SAJA Presidente

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO

Dott. Aldo CORASANITI

Prof. Giuseppe BORZELLINO

Dott. Francesco GRECO

Prof. Renato DELL'ANDRO

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

Prof. Antonio BALDASSARRE

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

Avv. Mauro FERRI

Prof. Luigi MENGONI

Prof. Enzo CHELI

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 3 della legge 20 maggio 1975, n. 164 (Provvedimenti per la garanzia del salario), promosso con ordinanza emessa il 16 ottobre 1981 dal Pretore di Reggio Emilia nel procedimento civile vertente tra Bertuzzi Domenico e l'I.N.P.S., iscritta al n. 98 del registro ordinanze 1982 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 185 del 1982.

Visti gli atti di costituzione di Bettuzzi Domenico e del l'I.N.P.S. nonchè l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 26 gennaio 1988 il Giudice relatore Francesco Greco;

uditi l'avv. Franco Agostini per Bettuzzi Domenico e l'Avvocato dello Stato Giorgio Zagari per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Considerato in diritto

l.-Il Pretore di Reggio Emilia dubita della legittimità costituzionale dell'art. 3 della legge 20 maggio 1975 n. 164 il quale, escludendo dalla contribuzione figurativa i periodi di intervento della Cassa integrazione guadagni per contrazione dell'orario di lavoro, violerebbe, a suo avviso, gli artt. 3 e 38 Cost. perchè i lavoratori che subiscono la riduzione di orario risulterebbero discriminati arbitrariamente rispetto ai lavoratori sospesi in toto dall'attività lavorativa, ammessi a contribuzione figurativa, sebbene in entrambi i casi si verifichi il medesimo evento della perdita incolpevole della retribuzione ed, inoltre, sarebbero privati della tutela previdenziale, pur in presenza di una perdita di retribuzione dovuta a fatto ad essi non imputabile.

1.1 - La questione non é fondata.

La posizione assicurativa e previdenziale dei lavoratori che continuavano a lavorare, sia pure ad orario ridotto, e subivano una diminuzione della retribuzione, compensata, pero, dalla integrazione salariale a carico della Cassa integrazione guadagni e, quindi, dello Stato, per molti anni e, quindi, anche nella vigenza della legge n. 164/75, é stata tenuta distinta da quella dei lavoratori sospesi in toto dall'attività lavorativa, per i quali la perdita della retribuzione era anche essa compensata dall'integrazione salariale di cui innanzi.

Per i primi, il versamento dei contributi per l'assicurazione generale obbligatoria contro la vecchiaia, l'invalidità e i superstiti continuava, sia pure con contribuzione ridotta, commisurata alla retribuzione effettivamente corrisposta; per gli altri, invece, siccome il rapporto di lavoro era sospeso e, quindi, anche la contribuzione obbligatoria, ad evitare il rischio della perdita dell'anzianità contributiva, della stessa assicurazione obbligatoria e financo del trattamento minimo di pensione, erano riconosciuti a carico dello Stato contributi figurativi.

La contribuzione figurativa é appunto un beneficio concesso agli assicurati della previdenza sociale nel caso in cui essi, per motivi indipendenti dalla loro volontà, non possono lavorare e, quindi, non possono ricavare dal lavoro i mezzi per far fronte alla contribuzione volontaria. Lo Stato contribuisce totalmente al funzionamento della previdenza sociale sotto forma di integrazione delle prestazioni, mentre il lavoratore e esonerato.

Si ricorre alla finzione di considerare quei periodi di inattività lavorativa coperti da assicurazione con l'effetto pratico di consentire la liquidazione della pensione mediante il raggiungimento del minimo contributivo oppure, in via mediata e sussidiaria, di garantire la misura della pensione in corrispondenza di aumenti periodici di contribuzione.

Con l'art. 8, quarto comma, della legge 23 aprile l95l n. 155, le posizioni previdenziali ed assicurative dei due gruppi di lavoratori sono state parificate con il riconoscimento per entrambi dei contributi figurativi.

La norma ha dato luogo a dubbi interpretativi in ordine alla sua applicabilità alle situazioni pregresse non definite.

L'art. 4, n. 16, del d.l. n. 463 del 1983, convertito nella legge n. 638/83 ha normativamente stabilito che i periodi di sospensione o di lavoro ad orario ridotto, successivi al 6 settembre 1972, ammessi ad integrazione salariale, erano riconosciuti utili di ufficio ai fini del diritto e della misura della pensione e dei supplementi di pensione, da liquidare a carico dell'assicurazione generale obbligatoria per la invalidità, la vecchiaia ed i superstiti con decorrenza successiva all'entrata in vigore della legge 23 aprile 1981 n. 155 (13 maggio 1981).

Ed anche l'indirizzo giurisprudenziale formatosi sul punto ha escluso la possibile estensione della parificazione alle pensioni liquidate prima dell'entrata in vigore della legge anzidetta, limitandola solo alle pensioni da liquidare dopo la sua entrata in vigore.

2.-Il legislatore ha agito con gradualità. Trovano, quindi, applicazione i principi più volte affermati da questa Corte secondo cui, in materia di revisione o di riforma del sistema previdenziale, attesi anche i conseguenti oneri finanziari, la gradualità si presenta, proprio per le difficoltà finanziarie da superare, come un modo di essere necessario ed interamente coerente del fenomeno visto nel suo pratico atteggiarsi e appare come caratteristica, del pari necessaria e, comunque, compatibile del fenomeno stesso nella sua rilevanza costituzionale.

E' riservato al legislatore ordinario il compito di determinare, con una razionale considerazione delle esigenze di vita dei lavoratori e delle effettive disponibilità finanziarie, l'ammontare delle prestazioni o le modifiche della loro misura allo scopo di rendere sempre più attuale e costante il rapporto tra quei termini che subiscono variazioni nonchè la scelta dei tempi e dei modi, la completa parificazione dei trattamenti e delle discipline delle situazioni meritevoli di tutela che, fino a quel momento, erano state trattate in modo differente.

E tanto più non sussiste la violazione degli invocati precetti costituzionali se la diversa disciplina, per il tempo precedente alla parificazione, aveva anche essa una ragionevole giustificazione. Il che é nella specie.

2.1-Invero, la situazione dei lavoratori che continuavano a prestare la loro opera, sia pure ad orario ridotto, era diversa da quella dei lavoratori sospesi dal lavoro, onde la diversità dei trattamenti previdenziali non era del tutto arbitraria ed irrazionale. Per i primi sussisteva solo il rischio della riduzione della misura della pensione. Rischio, peraltro, molto limitato sia perchè la diminuzione del salario poteva trovare compenso in eventuali aumenti retributivi per la progressione per anzianità o per meriti o per la dinamica salariale, sia perchè, in base all'art. 26 della legge 3 giugno 1975 n. 160, ai fini della determinazione della misura della pensione sono assunti tre gruppi di retribuzione più favorevoli di 52 settimane scelte tra le ultime 520 (10 anni) di retribuzione precedenti la data di decorrenza della pensione.

Di contro, pero, attesa la limitata durata dei trattamenti di integrazione salariale e di corresponsione dei contributi figurativi, il lavoratore che continuava a lavorare ad orario ridotto, che avesse beneficiato dei suddetti trattamenti, era esposto al rischio, non del tutto impossibile, di non potere più avere i trattamenti predetti nel caso in cui alla riduzione di orario fosse succeduta la sospensione del lavoro. E, per avere consumato già i benefici previsti, poteva subire finanche il danno, certamente gravissimo, della perdita del trattamento minimo di pensione, non compensabile con la incerta garanzia della misura della pensione.

Diversa, fin dall'inizio, la situazione dei lavoratori sospesi.

Per essi la contribuzione figurativa era necessitata dalla perdita dell'assicurazione obbligatoria conseguente alla inattività lavorativa ed alla cessazione dell'obbligo contributivo. Onde era più attuale il pericolo della perdita del trattamento minimo di pensione, mentre meramente secondario era il rischio della riduzione della misura della pensione.

La diversa incidenza sui trattamenti previdenziali esigeva soprattutto la tutela della situazione di maggior bisogno in cui versavano i lavoratori sospesi rispetto a quelli che continuavano a lavorare ad orario ridotto, sicchè aveva giustificazione la manifestazione di solidarieta sociale che si attuava in maggior misura.

Rimaneva, pertanto, giustificata la diversità della disciplina normativa ed irrilevante la sola identità del presupposto, cioé la perdita incolpevole della retribuzione che, pero, per un gruppo di lavoratori era solo parziale e per l'altro, invece, era totale.

Successivamente, prima l'avvenuto aumento della durata dell'integrazione salariale e l'abolizione, poi, dei limiti temporali, hanno fatto venir meno ogni pericolo ed hanno reso attuabile la piena parificazione dei trattamenti per i due gruppi di lavoratori.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 3 della legge 20 maggio 1975 n. 164 (Provvedimenti per la garanzia del salario), sollevata dal Pretore di Reggio Emilia in riferimento agli artt. 3 e 38 Cost., con l'ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 23/03/88.

Francesco SAJA, PRESIDENTE

Francesco GRECO, REDATTORE

Depositata in cancelleria il 31 Marzo 1988.