Sentenza n.372 del 1988

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SENTENZA N.372

ANNO 1988

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

Prof. Francesco SAJA Presidente

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO

Prof. Giuseppe BORZELLINO

Dott. Francesco GRECO

Prof. Renato DELL'ANDRO

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

Prof. Antonio BALDASSARRE

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

Avv. Mauro FERRI

Prof. Luigi MENGONI

Prof. Enzo CHELI

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 2947, terzo comma, seconda parte, del codice civile e degli artt. 9, 11 (come modificato dalla legge 24 novembre 1981, n. 689) e 112, quinto comma, del d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124 (Testo unico delle disposizioni per l'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali), promossi con le seguenti ordinanze:

1) ordinanza emessa il 15 ottobre 1981 dal Tribunale di Pescara nel procedimento civile vertente tra l'I.N.A.I.L. e l'E.N.E.L. ed altro, iscritta al n. 784 del registro ordinanze 1981 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 75 dell'anno 1982;

2) ordinanza emessa il 14 dicembre 1982 dal Pretore di Verona nel procedimento civile vertente tra l'I.N.A.I.L. e Rotta Romeo, iscritta al n. 161 del registro ordinanze 1983 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 219 dell'anno 1983;

3) ordinanza emessa il 19 maggio 1983 dal Pretore di Siena nel procedimento civile vertente tra l'I.N.A.I.L. e la ditta Saletti Oreste ed altri, iscritta al n. 565 del registro ordinanze 1983 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 4 dell'anno 1984;

4) ordinanza emessa il 26 aprile 1983 dal Pretore di Roma nel procedimento civile vertente tra l'I.N.A.I.L. e Rossi Antonio, iscritta al n. 886 del registro ordinanze 1983 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 67 dell'anno 1984;

5) ordinanza emessa il 6 aprile 1984 dal Pretore di Trapani nel procedimento civile vertente tra l'I.N.A.I.L. e Pantalena Giuseppe ed altro, iscritta al n. 1027 del registro ordinanze 1984 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 50 bis dell'anno 1985;

6) ordinanza emessa il 30 ottobre 1984 dal Pretore di Siena nel procedimento civile vertente tra l'I.N.A.I.L. e la S.p.A. Emerson Electronics, iscritta al n. 1339 del registro ordinanze 1984 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 125 bis dell'anno 1985;

7) ordinanza emessa il 12 dicembre 1984 dal Tribunale di Nuoro nel procedimento civile vertente tra l'I.N.A.I.L. e Mulas Mariano, iscritta al n. 298 del registro ordinanze 1985 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 226 bis dell'anno 1985.

Visti gli atti di costituzione dell'I.N.A.I.L. e di Giorgi Antonio nonchè gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 12 gennaio 1988 il Giudice relatore Francesco Greco;

uditi gli avv.ti Mario Lamanna per l'I.N.A.I.L. e Stefano Varvesi per Giorgi Antonio e gli Avvocati dello Stato Oscar Fiumara e Luigi Siconolfi per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Considerato in diritto

1.- I sette giudizi, instaurati con le ordinanze di rimessione (Tribunale Pescara: R.O. n. 784/81; Pretura Verona: R.O. n. 161/83; Pretura Siena: R.O. nn. 565/83 e 1339/84; Pretura Roma: R.O. n. 886/83; Pretura Trapani: R.O. n. 1027/84; Tribunale Nuoro: R.O. n. 298/85), possono essere riuniti e decisi con un'unica sentenza in quanto prospettano questioni in parte identiche ed in parte connesse.

1.1.- Il Pretore di Roma (R.O. n. 886/83) ed il Tribunale di Nuoro (R.O. n. 298/85) hanno sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 10, quinto comma, del d.P.R. 30 giugno 1965 n. 1124, il quale prevede il termine triennale di decadenza, decorrente dalla sentenza di non doversi procedere o dalla data del decreto di archiviazione, emessi dal giudice penale nei confronti del datore di lavoro, in assenza dell'I.N.A.I.L., per la proposizione, in sede civile, a iniziativa degli <interessati>, tra cui, secondo i giudici remittenti, anche l'I.N.A.I.L., dell'azione di accertamento che il fatto addebitato al detto datore di lavoro costituisce reato e che e il fondamento della prevista azione di responsabilità civile.

A parere dei remittenti, risulterebbero violati gli artt. 3 e 24 Cost. per la irrazionalità della normativa, posta in un contesto che configura il diritto di regresso come situazione giuridica autonomamente tutelabile in sede civile, e per la compressione del diritto di difesa dei titolari di tali situazioni che non abbiano potuto partecipare al giudizio penale conclusosi con i detti provvedimenti giudiziali.

l.2 - La questione non é fondata.

Secondo l'indirizzo giurisprudenziale, ormai costante, anche della Corte di cassazione, l'I.N.A.I.L. non é da annoverarsi tra gli <interessati> che, secondo la norma impugnata, nei casi in cui il giudice penale non abbia proceduto a carico del datore di lavoro o dei suoi preposti o altri, per morte dell'imputato, per amnistia, per prescrizione, per mancanza di indizi, ecc..., entro tre anni dalla data dei relativi provvedimenti giudiziali, possono proporre domanda al giudice civile per fare accertare incidenter tantum che il fatto causativo dell'infortunio costituisce reato e che, quindi, sussiste la responsabilità civile dei suddetti.

Invero, la nozione di <interessati> é inserita in un contesto normativo che disciplina la responsabilità civile del datore di lavoro nei confronti dei lavoratori danneggiàti o dei suoi eredi, mentre l'azione di regresso che l'I.N.A.I.L. promuove, ai sensi degli artt. 11 e 112 u.p. dello stesso d.P.R. n. 1124 del 1965 ha una sua peculiarità ed autonomia. Essa é in funzione delle finalità istituzionali dell'ente e tutela l'interesse dell'I.N.A.I.L. al recupero delle somme pagate all'infortunato o ai suoi eredi per indennità o per rendita, interesse che é di natura del tutto diversa dall'interesse delle parti private.

L'autonomia della detta azione che, peraltro, ha un termine di prescrizione proprio, trova fondamento, oltre che nell'interesse pubblico gestito dall'ente assicuratore, anche nella natura del credito fatto valere.

L'Istituto può promuoverla direttamente, senza attendere l'inizio, da parte dell'infortunato o dei suoi eredi, dell'azione di responsabilità per la quale soltanto opera il termine di decadenza.

Vero é che anche l'I.N.A.I.L. può giovarsi dell'accertamento, incidenter tantum, effettuato dal giudice civile del fatto-reato e che é condizione dell'azione di responsabilità, dato che la decisione, intervenuta in quella sede, a norma dell'art. 11 del d.P.R. n. 1124/65, é sufficiente a costituire l'Istituto in credito verso la persona civilmente obbligata anche per le somme pagate a titolo di indennità o di rendita; ma ciò non pregiudica affatto l'autonomia dell'azione di regresso e, comunque, la eventuale inerzia delle parti private non può assolutamente compromettere il diritto dell'Istituto assicuratore.

2.-Il Pretore di Pescara (R.O. n. 784/81), in un giudizio promosso dall'I.N.A.I.L. per regresso contro un datore di lavoro ritenuto penalmente responsabile, con sentenza divenuta definitiva, del fatto-reato che aveva causato l'infortunio e per surroga contro l'E.N.E.L., committente dei relativi lavori, il cui dipendente, pero, era stato assolto nella stessa sede penale, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 2947, terzo comma, cod. civ. e dell'art. 112, quinto comma, u.p., del d.P.R. n. 1124/65, in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost.

Il Pretore di Trapani (R.O. n. 1027/84), in un giudizio promosso dall'I.N.A.I.L. per regresso contro un datore di lavoro il cui preposto ai lavori era stato condannato in sede penale, quale responsabile del fatto reato causativo dell'infortunio, ha sollevato del pari questione di legittimità costituzionale dell'art. 112, quinto comma, u.p., del d.P.R. n. 1124 del 1965, sempre in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost.

I giudici remittenti sostengono che le norme censurate, facendo decorrere il termine di prescrizione delle due azioni dalla data del passaggio in giudicato della sentenza penale di accertamento della responsabilità anche nei confronti di soggetti rimasti estranei al relativo giudizio, violerebbero i richiamati precetti costituzionali in quanto riservano identico trattamento a situazioni diverse quali sono quelle in cui versano, rispettivamente, i suddetti soggetti e quelli che hanno partecipato al processo penale in cui si é formato il giudicato, con conseguente compressione del diritto di difesa dei primi.

2.1 - Le questioni non sono fondate.

L'azione di surroga é esperibile dall'I.N.A.I.L. nei confronti del terzo responsabile del fatto-infortunio per ripetere quanto sia liquidato all'assicurato o ai suoi eredi. Essa, pur disciplinata dall'art. 1916 cod. civ., configura piùttosto una peculiare forma di successione particolare nel diritto di credito, subentrando l'Ente nella stessa posizione, sostanziale e processuale, in cui si sarebbe trovato l'assicurato se avesse agito direttamente o succedendo a lui nel processo. La surroga si realizza quando l'assicuratore comunica al terzo, responsabile, l'avvenuto pagamento dell'indennizzo e manifesta la sua volontà di avvalersi dell'azione concessagli dalla legge.

Non deriva, quindi, dal contratto di assicurazione, al quale il terzo é del tutto estraneo, per cui, in ispecie, per la prescrizione non si applicano le norme sul contratto di assicurazione ma quelle del codice civile (art. 2947 cod. civ.).

Il termine di prescrizione e, di solito, quinquennale con possibilità di applicazione dell'art. 2953 cod. civ. (prescrizione decennale dell'actio iudicati).

2.2 - L'azione di regresso, invece, é esperibile dall'I.N.A.I.L. contro il datore di lavoro responsabile del fatto da cui é derivato l'infortunio, sia direttamente che indirettamente, per la colpa dei suoi preposti o del dipendente.

E' ritenuta come attuativa di un autonomo diritto dell'Ente derivante dal rapporto assicurativo e ha per oggetto la ripetizione della indennità o della rendita pagata.

E' soggetta al termine prescrizionale dell'art. 112, quinto comma, u.p., d.P.R. n. 1124 del 1965 (tre anni).

2.3-Entrambe le azioni hanno come presupposto l'accertamento della responsabilità degli obbligati (terzo e datore di lavoro).

L'accertamento può avvenire in sede penale.

Il processo può terminare con sentenza di condanna del responsabile penalmente.

Ora, secondo quanto questa Corte ha già ritenuto (sentt. nn. 102 del 1981, 118 del 1986) il giudicato fa stato a favore dell'I.N.A.I.L. ma non fa stato contro il datore di lavoro che non ha partecipato al processo penale per cause varie (impedimento giuridico ecc...).

In tal caso il giudice civile, incidenter tantum, può effettuare il detto accertamento anche in maniera diversa dal giudice penale.

Egualmente per l'Istituto assicuratore non fa stato il giudicato penale di assoluzione del datore di lavoro o del terzo o il giudicato contenente limitazioni pregiudizievoli del diritto di regresso o di surroga se non ha partecipato al processo penale.

L'Istituto può agire in regresso o in surroga e chiedere incidenter tantum al giudice civile il relativo accertamento.

Peraltro, le azioni in sede civile, secondo l'indirizzo giurisprudenziale anche della Corte di cassazione, possono essere esperite automaticamente, salvo il riscontro della pregiudizialità penale con tutte le conseguenze sul corso del processo civile.

Egualmente l'accertamento può essere chiesto dall'I.N.A.I.L. in sede civile e anche nei casi in cui, in sua assenza dal processo (penale), il giudice abbia emesso sentenza di non doversi procedere per cause varie (morte, prescrizione ecc...), abbia concesso il perdono giudiziale o abbia emesso decreto di archiviazione.

Il termine di prescrizione delle due azioni, surroga e regresso, secondo le norme censurate, decorre dalla data dei provvedimenti giudiziali penali.

3.-I principi affermati da questa Corte, siccome attengono alla esistenza del diritto fatto valere, non trovano applicazione nella fattispecie, che riguarda solo l'esercizio del diritto e il termine per effettuarlo.

Nè sussiste la dedotta violazione degli invocati precetti costituzionali.

Invero, é prevista uguale decorrenza del termine prescrizionale sia per coloro che hanno partecipato al processo, sia per coloro che non vi hanno partecipato, i quali, però, possono iniziare direttamente i relativi giudizi civili senza attendere l'esito di quello penale, salvo, come si e detto, i possibili provvedimenti che il giudice civile può emettere e che regolano il corso del giudizio civile.

Inoltre, la previsione dei termini di prescrizione e di decadenza é rimessa alla discrezione del legislatore e la determinazione della loro durata, al fine di non lasciare indeterminatamente pendenti e, quindi, incerte le situazioni giuridiche, specie quelle che hanno, come nella materia degli infortuni sul lavoro, profili pubblicistici per cui é maggiore l'esigenza di stabilità.

Sussiste anche la necessità di fissare un non lungo intervallo di tempo tra la pronuncia in sede penale e l'inizio delle azioni civili collegate ai possibili accertamenti effettuati in quella sede affinchè sia anche possibile l'apprestamento delle difese in epoca non lontana dalla commissione dell'illecito. E affinchè non risulti violato il precetto dell'art. 24 Cost., occorre altresì che i limiti temporali, e cioé il termine, non siano tali da rendere, per la loro lunghezza, impossibile o vana la tutela dinanzi al giudice del diritto preteso e ne sia, invece, garantita l'effettività. Il che é nella specie, essendo i termini rispettivamente di cinque anni per proporre l'azione di surroga e di tre anni per l'azione di regresso, abbastanza lunghi e certamente congrui.

Le scelte discrezionali del legislatore restano insindacabili nel giudizio di legittimità costituzionale perchè non concretano un mero arbitrio e non sono irragionevoli.

4. - Il Pretore di Siena (R.O. nn. 565/83 e 1339/84) dubita della legittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 10 e 11 del d.P.R. n. 1124 del 1965 che, dopo l'entrata in vigore della legge 24 novembre 1984, n. 689, modificativa dell'art. 590 cod. pen., esclude, in danno dell'I.N.A.I.L., l'azione di regresso anche nel caso in cui l'infortunato abbia riportato lesioni gravi o gravissime cagionate per colpa non riconducibile ad inosservanza di norme di prevenzione antinfortunistica, per essere anche tali lesioni perseguibili solo a querela della persona offesa. Secondo il remittente risulterebbe leso l'art. 3 Cost. per l'irrazionale conseguenza di consentire l'esclusione del diritto di regresso in casi nei quali la gravita delle lesioni ha prodotto conseguenze dannose di rilevante entità sul piano patrimoniale e di conservarlo, invece, in casi nei quali siffatte conseguenze sono meno significative solo perchè ricollegabili ad un comportamento lesivo perseguibile di ufficiò in quanto commesse in violazione delle norme di prevenzione antinfortunistica.

Il Pretore di Verona (R.O. n. 161/83), rilevando che l'azione di regresso dell'I.N.A.I.L. rimane esclusa nell'ipotesi in cui il giudice penale ha prosciolto in dibattimento il datore di lavoro o un suo dipendente per difetto di querela, con conseguente limitazione del potere del giudice civile di qualificare il fatto come reato perseguibile a querela o di ufficiò, non trattandosi di estinzione del reato per morte, amnistia o prescrizione, dubita della legittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 10 e 11 del d.P.R. n. 1124 del 1965 per violazione degli artt. 24, primo e secondo comma, e 3 Cost., in quanto l'Istituto non ha partecipato al processo penale e si e creata una disparità di trattamento rispetto al prestatore di lavoro che può costituirsi parte civile nel processo penale.

4.1 - Le questioni non sono fondate.

Anche la fattispecie sottoposta all'esame del Pretore di Verona trova la sua regolamentazione nella nuova legge n. 689 del 1981 che ha esteso l'ambito della necessita della querela per la perseguibilità delle lesioni cagionate all'infortunato tranne che il fatto concreti una violazione delle norme antinfortunistiche o di tutela dell'igiene sul lavoro.

Il legislatore ha modificato indirettamente il precedente criterio di differenziazione utilizzato per determinare l'effetto delle lesioni sulla responsabilità civile del datore di lavoro anche ai fini dell'azione di regresso spettante all'I.N.A.I.L.

Al criterio della gravità delle lesioni e del danno fisico cagionato al lavoratore ha sostituito quello della violazione delle norme di tutela antinfortunistica e dell'igiene sul lavoro.

Appare, però, indebolita la funzione espletata dalla precedente normativa di incentivare il datore di lavoro, quale responsabile dell'organizzazione aziendale, all'adozione di generiche misure di prevenzione, sebbene risulti, invece, accentuata, nella sostanza, l'osservanza delle norme di tutela antinfortunistica e dell'igiene sul lavoro perchè sia la responsabilità civile del datore di lavoro che il regresso dell'Istituto assicuratore sono legati alla detta tutela e conseguono anche a fatti di lieve entità allorchè importino violazione di dette norme. Allo stato, pero, risultano certamente ridotti l'ambito del recupero dell'I.N.A.I.L. delle somme corrisposte all'infortunato per indennità nei confronti del datore di lavoro e la possibilità del lavoratore di ottenere dal datore di lavoro la differenza dei danni conseguenti alla sua responsabilità civile essendosi aumentato l'ambito di applicazione del quarto comma dell'art. 10 del d.P.R. n. 1124 del 1965.

In tale situazione si rende necessario il contemperamento degli interessi, che é compito precipuo del legislatore il quale ha il dovere di effettuarlo tutte le volte che possano risultare violati precetti costituzionali ed, in particolare, diversi da quelli invocati nella fattispecie.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 2947, terzo comma, cod. civ.; 10, quinto comma, 11 e 112, quinto comma, del d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124 (T.U. delle disposizioni per l'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali), sollevate, in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost., dai Tribunali di Pescara e di Nuoro e dai Pretori di Siena, di Roma, di Trapani e di Verona con le ordinanze in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 23/03/88.

Francesco SAJA, PRESIDENTE

Francesco GRECO, REDATTORE

Depositata in cancelleria il 31 Marzo 1988.