Sentenza n.279 del 1988

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SENTENZA N.279

ANNO 1988

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

Prof. Francesco SAJA Presidente

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO

Dott. Aldo CORASANITI

Prof. Giuseppe BORZELLINO

Dott. Francesco GRECO

Prof. Renato DELL'ANDRO

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

Prof. Antonio BALDASSARRE

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

Avv. Mauro FERRI

Prof. Luigi MENGONI

Prof. Enzo CHELI

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 32 della legge della Regione Puglia 27 febbraio 1984, n. 10 (Norme per la disciplina

dell'attività venatoria, la tutela e la programmazione delle risorse faunistico-ambientali), promosso con ordinanza emessa il 27 febbraio 1986 dal T.A.R. per la Puglia -Sede di Bari-sul ricorso proposto da Pellegrino Giovanni contro la Regione Puglia, iscritta al n. 173 del registro ordinanze 1987 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 22, prima s.s., dell'anno 1987;

visto l'atto di costituzione di Pellegrino Giovanni;

udito nell'udienza pubblica del 26 gennaio 1988 il Giudice relatore Ettore Gallo.

Considerato in diritto

l. - L'ordinanza di rimessione, rifiutando ogni criterio interpretativo, ritiene di doversi attenere al tema letterale della disposizione impugnata che, non esprimendo alcuna deroga esplicita al sistema normativo generale e regionale, tiene fermo il principio fissato dal primo comma dell'art. 11 della legge, sostanziato nel divieto di caccia ad ogni altra specie non indicata nell'elenco.

Opina l'ordinanza conseguentemente che non possa esservi diversa soluzione, per decidere il ricorso sottoposto all'esame del Tribunale amministrativo, se non la declaratoria d'illegittimità dell'art. 32 della legge regionale, nella parte in cui non ha inserito il beccaccino fra le specie cacciabili.

2.-Non sembra, però, che una siffatta sequenza argomentativa sia rispettosa dei canoni ermeneutici fissati da consolidata giurisprudenza.

Il principio fondamentale che regge l'interpretazione é dato dalla considerazione che la legge non può entrare in contraddizione con se stessa, e che, perciò, va privilegiata l'interpretazione che attribuisce alla norma un senso nel contesto normativo, e non quella che la lascerebbe senza alcun significato.

Quando l'ordinanza afferma che, data l'esistenza di un divieto di caccia come principio generale, occorre che la deroga sia espressamente prevista mediante l'inserzione della specie nell'elenco di quelle cacciabili, esprime concetto esattissimo. Ma il ricorrente sosteneva appunto che la deroga esisteva, e che essa era desumibile da altra esplicita disposizione, quella di cui all'art. 42, comma primo, della stessa legge regionale, riproducente il divieto di cui all'ultimo comma dell'art. 14 della legge statale n. 968 del 1977: là dove é detto che <é vietato a chiunque...l'esercizio venatorio da appostamento sotto qualsiasi forma al beccaccino>. Divieto che necessariamente presuppone, sul piano della logica più elementare, la liceità della caccia vagante al beccaccino stesso, e perciò si sostanzia in una espressa inserzione di questa specie fra quelle cacciabili, proprio in forza dell'art. 42, comma primo, della legge regionale.

3. - Non tenere nessun conto di siffatta disposizione, equivale a lasciarla senza senso, ma é proprio ciò che le regole ermeneutiche suggerite da consolidata giurisprudenza non consentono.

D'altra parte, é la stessa ordinanza che, dando esclusivo rilievo all'asserita carenza di un'apposita previsione, mostra di voler trascurare i lavori preparatori della legge regionale, cui peraltro la Regione aveva fatto riferimento. La posizione non appare censurabile, se si ha riguardo al valore che detti lavori possono avere sul piano interpretativo a fronte di quello oggettivo che la norma assume una volta emanata. Ma é poi contraddittorio prescindere dalla norma stessa, come fa l'ordinanza.

Deve, quindi, concludersi che - secondo le indicazioni del diritto vivente- la questione va risolta sul piano interpretativo e non su quello della legittimità costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 32 della legge regionale pugliese 27 febbraio 1984 n. 10, sollevata dal T.A.R. della Puglia con riferimento agli art.li 3 e 117 Cost.

Così deciso in Roma, in camera di consiglio, nella sede della Corte Costituzionale, palazzo della Consulta, il 25/02/88.

Francesco SAJA, PRESIDENTE

Ettore GALLO, REDATTORE

Depositata in cancelleria il 10 Marzo 1988.